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Intervento del Sottosegretario Giro all’evento: “Ventennale di Limes”

I cambiamenti più importanti in America Latina – intendendo con questo termine tutti i paesi dal Messico alla Patagonia, Caraibi compresi – sono due: le politiche pubbliche e il risveglio dei territori. La vera competizione mondiale non sarà tra chi cresce di più ma tra chi distribuisce meglio la ricchezza, tra chi propone il modello sociale più praticabile e compatibile con la crescita. La chiave è la riflessione sul ruolo dello Stato, non lo statalismo di vecchio stampo e il liberismo selvaggio caratterizzato dall’assenza di reti sociali di sostegno, tanto vissuto dai paesi dell’area.


In Brasile per esempio i programmi di welfare iniziati da Cardoso e ampliati da Lula sono stati usati come volano della crescita: 40 milioni di persone sono uscite dalla povertà e sono diventate consumatori, andando a formare la nuova classe media che ha aumentato le proprie aspettative e che chiede servizi di qualità, come abbiamo avuto modo di notare durante le proteste della scorsa estate. Vincerà chi troverà il miglior equilibrio tra crescita e politiche pubbliche ridistributive: finora l’Ecuador di Rafael Correa è il paese che concentra maggiormente i suoi sforzi in quella direzione.


Quanto al risveglio dei territori, si tenga conto che gli Stati latinoamericani – eccezion fatta per il Brasile e l’Argentina – si sono in genere evoluti come Stati centralizzati. Oggi assistiamo alla progresso dell’autonomia politica delle regioni. Ciò crea una maggiore vitalità e una maggiore circolazione delle idee, favorendo lo sviluppo di un dibattito più ampio e innovativo anche sulle politiche pubbliche.


Per quanto riguarda l’integrazione regionale, il discorso di Patria Grande è il classico discorso che tutti i leader fanno ma di là da venire, anche se rappresenta un simbolo rilevante. Le popolazioni ci credono molto, è un antico sogno dei fondatori latino-americani, rispettato da tutti. Al momento ci sono alcuni paesi che stanno assumendo un ruolo più assertivo di altri a livello regionale. Il Brasile e il Messico su tutti e comunque esiste un contenitore su scala continentale la CELAC che lascia ben sperare.


L’America Latina in questa fase sembra divisa tra paesi sull’Atlantico e paesi sul Pacifico.


La vera novità è l’Alleanza del Pacifico. L’America Latina è piena di organizzazioni subcontinentali, l’AdP è la più nuova e la più interessante anche perché si tratta di un foro privo di strutture. I suoi paesi, uniti da un’impostazione liberale dell’economia, sono i più dinamici della regione. Il ruolo di pivot all’interno dell’Alleanza spetta al Messico, che sta ricominciando ad avere una politica latinoamericana e internazionale dopo esser stato isolato per anni nel suo rapporto unico e privilegiato (per quanto contrastato) con gli Stati Uniti. Oggi il paese vuole essere il legame tra il Nord e il resto delle Americhe, anche perché la violenza del narcotraffico è concentrata in alcuni Stati e non intacca lo sviluppo globale del paese. In Perù si realizza l’incrocio tra l’AdP e il Mercosur, tramite il Brasile che è fuori dall’AdP ma vede nel vicino il suo accesso al Pacifico. Il prossimo ritorno della Bachelet in Cile potrebbe aprire spazi di avvicinamento dello stesso Brasile verso l’AdP. Dopo Chavez il Venezuela continuerà a contare, anche perché è un buon esempio dei processi politici latinoamericani degli ultimi 15 anni. Oggi in Venezuela i procedimenti decisionali sono un po’ più lenti a causa dell’articolazione tra linee politiche più o meno radicali. Tuttavia il chavismo – come attenzione ai temi sociali più che come metodo di governo- sopravvivrà e i suoi argomenti sono stati recepiti anche dall’’opposizione. Dopo Chavez non si tornerà allo status quo ante. Anche il partner più importante di Caracas, Cuba, non ha particolari motivi di preoccupazione. Fino ad oggi ha goduto dei sussidi petroliferi via PetroCaribe, ma sta compiendo un’attualizzazione economica e ha ottime relazioni con il Brasile, già attivissimo sull’isola – basti pensare agli investimenti nel porto di Mariel che diverrà zona franca. La destra cerca se stessa, dopo i decenni autoritari. Si deve reinventare. Viene spesso rappresentata come sostenitrice della globalizzazione anonima, legata agli Usa o alle grandi forze finanziarie responsabili della crisi. Una destra che deve tornare a riflettere e aggiornare il suo armamentario culturale. Tolto Capriles in Venezuela, in un certo senso spinto a rinnovarsi dal chavismo dominante, la destra oggi si presenta con le stesse ricette e le stesse parole d’ordine di 15 anni fa. Motivo per cui continua a perdere, con l’unica eccezione notevole della Colombia – un paese però dalle caratteristiche uniche, con un conflitto in corso da circa cinquant’anni tra governo e FARC. In questa fase, l’influenza degli Stati Uniti è diminuita. Gli Usa sono il punto di riferimento delle destre, all’opposizione quasi ovunque. Data la vicinanza geografica, il discorso per il Messico è per forza diverso: dall’economia alla politica, in molti settori i due paesi hanno rapporti quotidiani e va detto che il NAFTA è stato un vero successo. Tuttavia il Messico non può essere considerato soltanto un alleato di Washington ma sta cercando nuove partnership extra-emisferiche. Il vero alleato latinoamericano di Washington è la Colombia e Panama per via del canale in via di ampliamento. La Cina è molto presente con i suoi investimenti, anche se ha un problema culturale: deve riuscire a immergersi in un ambiente che non è il suo. Non basta costruire uno stadio o un ponte per diventare alleati. Le imprese cinesi contendono alle imprese brasiliane la leadership nei grandi lavori infrastrutturali. La Cina – come del resto l’Europa e gli Stati Uniti – non influisce realmente nel movimento di idee in atto oggi in America latina. Le sinistre latinoamericane si pongono il problema dell’evoluzione politica a prescindere dalla Cina: si tratta di un processo endogeno.


Pechino però è un alleato sul piano globale e può aiutare nei fori internazionali, come del resto già avviene. L’America Latina merita un’aggiornata e più consapevole attenzione da parte dell’Italia. Le relazioni che intratteniamo sono oggetto nel nostro Paese di una lettura che non riesce a registrarne l’intensità e la portata perché frutto di un eccesso di spontaneità e scarsa prospettiva. Lo spettro delle relazioni italo-latino americane si estende ben al di là dei rapporti politici od economici, arrivando a ricomprendere l’ampia gamma di relazioni e interessi che fanno capo agli organismi della società civile, alle università, ai centri di ricerca, agli enti territoriali, alle organizzazioni non governative, ai nostri oriundi ed alle comunità di immigrati latinoamericani.


Il posizionamento economico-commerciale dell’Italia presenta margini di potenziamento. La nostra quota di interscambio con l’America Latina rimane modesta (circa il 3,8% del totale) ben al di sotto di quella dell’UE nel suo complesso (6,3%). Oggi l’Italia in America Latina è essenzialmente due cose: le imprese, tante e vitalissime, e le comunità italiane, che sono più italiane di quanto si pensi. Cominciamo da queste ultime. Chi ne fa parte ha una doppia appartenenza, nel senso che si sente totalmente italiano e totalmente del paese in cui vive. Abbiamo decine di milioni di italodiscendenti che sognano e immaginano un’Italia forse un po’ passata. Roma non ha mai avuto un grande disegno su queste comunità, ma forse ciò ha anche un risvolto positivo: i paesi della regione apprezzano il nostro atteggiamento perché lo interpretano anche come rispetto e non ingerenza. Ci converrebbe ragionare sul fatto che siamo la seconda diaspora mondiale dopo i cinesi. Politicamente dobbiamo decidere cosa fare delle nostre comunità all’estero, cosa chiedere. Le nostre imprese sono molte e vitali ma hanno bisogno del sostegno istituzionale nei confronti de i giganti brasiliani o dei competitor tradizionali (statunitensi, francesi) e nuovi (cinesi). La lotta è spesso impari. L’Enel tramite Endesa è il più grande produttore e distributore di energia in America Latina. Le opportunità sono enormi: per questo occorre fare dell’America Latina una priorità della diplomazia della crescita.


Ricordiamoci che come italiani siamo ben accetti ovunque non avendo il peso di una storia coloniale o neo coloniale; non siamo minacciosi, ci integriamo bene nel tessuto locale, la nostra cultura interessa. L’America Latina è molto legata in questo senso al nostro paese. Ci vuole una maggior presenza istituzionale nell’area, anche per una questione di rispetto. Dovremmo creare più occasioni di contatto diretto, con la cultura, il turismo e le imprese. Dovremmo riuscire ad attirare le nuovi classi medie latinoamericane in Italia .


Discorso separato può esser fatto per l’America Centrale si tratta di un’America Latina più “aspra”. Honduras, Guatemala e El Salvador sono investiti in pieno dal passaggio del narcotraffico e non hanno le infrastrutture del Messico per farvi fronte. Noi abbiamo un grande programma di cooperazione. Con la partecipazione di magistrati, forze dell’ordine, esperti di riciclaggio e narcotraffico, cerchiamo di fornire un aiuto anche in campo giuridico. Come Italia, noi abbiamo l’expertise legata alla lotta contro le mafie e il nostro apporto è richiesto e molto apprezzato. Anche in America Centrale hanno capito che l’approccio puramente militare, in mancanza di una costante attività di intelligence e di un quadro giuridico appropriato, non è sufficiente.


Solo Cuba e Bolivia sono paesi prioritari di cooperazione allo sviluppo. In tutta l’America Latina è poi apprezzata l’eccellenza del nostro paese in materia di recupero del patrimonio culturale e c’è domanda di moltiplicare i contatti con alcuni settori dell’Amministrazione come Vigili del fuoco o Protezione civile, e in generale con i territori per nuove forme di cooperazione. A fronte di luci congiunturali permangono ombre strutturali. Il modello economico è ancora troppo basato sull’esportazione delle materie prime, i tassi di crescita si smorzano, l’inflazione sale, la diversificazione economica e l’industrializzazione sono ancora deboli. Il continente continua a soffrire di forti disuguaglianze all’interno dei paesi e tra paesi. Se sono usciti dalla povertà 100 milioni di persone in 10 anni ne permangono ancora 180 milioni in quella condizione. In America Latina il 10% più ricco possiede il 48% della ricchezza mentre il 10% più povero ne detiene l’1,6%.


Il problema delle sicurezza riguarda tutti i cittadini. Gli esperimenti dei servizi pubblici devono essere ripensati per garantirne sostenibilità finanziaria e inclusione sociale, non assistenzialismo clientelare. La classe media rappresenta circa la metà della popolazione di Uruguay, Cile e Messico e un terzo in Colombia e Bolivia. Negli ultimi venti anni è aumentata di 28 milioni in Brasile e 14 milioni in Messico, ma la metà della classe media ha redditi insufficienti a conservare la propria appartenenza di classe, si trova ai bordi della povertà ed è fonte di tensione.


Il tempo di trovare soluzioni stringe anche per l’America Latina perché monta la domanda sociale e rischia d’incepparsi il ciclo positivo dei prezzi delle materie prime che hanno sostenuto il risveglio di gran parte della regione. Si entra in un periodo delicato di transizione politica con elezioni presidenziali e legislative nella maggior parte dei paesi, che ne ridefiniranno le traiettorie economiche e il rapporto cittadini-stato.


Sul terreno di queste sfide si può innescare la nuova relazione con l’Italia e con l’Europa che devono vedere nella regione latinoamericana un partner cruciale per superare le loro crisi. In America Latina è diffusa la volontà di cercare nell’Italia e nell’Europa sponde per non cadere in un modello economico fragile e conflittuale, come le proteste di questi giorni mettono in evidenza. E’ un’opportunità da cogliere in questa fase perché le grandi potenzialità e la complementarità naturale delle sfide dell’Italia e dell’America Latina non dureranno per sempre.

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