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Giro: «Due visioni diverse per il Brasile che vuole tornare a volare» (www.ilsole24ore.com)

Tutto può cambiare in Brasile. Le elezioni presidenziali del 5 ottobre possono segnare la fine di un ciclo economico e politico durato quasi vent’anni. Il Paese è entrato in recessione tecnica e l’attuale Presidente Rousseff è data al primo turno in pareggio con il candidato rivale più accreditato, un’altra donna Marina Silva. Dopo le manifestazioni di piazza dello scorso anno, già da alcuni mesi l’entourage della presidente si era ormai rassegnato alla possibilità del ballottaggio, escludendo la vittoria al primo turno. Ora il partito di Lula rischia un esito impensabile fino a poche settimane fa. L’accidentale scomparsa di Edoardo Campos, candidato proveniente da un piccolo partito (PSB), ha trasformato Marina Silva, prima destinata a rimanere numero 2, nella sfidante più pericolosa per Dilma.


Il Brasile potrebbe avere la sua prima presidente di colore, nata raccoglitrice povera che ha imparato a leggere e scrivere solo a 15 anni, poi leader dei contadini del caucciù. Una storia personale simbolica, con una forte carica umana. Marina è un candidato telegenico, talento indispensabile per un Paese dove i risultati delle elezioni sono fortemente influenzati dai dibattiti televisivi. La Silva è evangelica mentre, sin dalla sua origine, la leadership del PT è legata al cattolicesimo di base della teologia della liberazione. L’elezione segnerebbe politicamente la forza degli evangelici, rappresentati trasversalmente in tutte le formazioni partitiche. Marina incarna per molti brasiliani la novità e l’alternativa al PT e, al tempo stesso, un riavvicinamento allo spirito del “primo Lula”, di cui essa stessa fu ministro. A spingerla nei sondaggi non è solo l’emozione legata alla scomparsa di Campos nell’incidente dell’aereo su cui avrebbe dovuto esserci anche lei, ma anche la disaffezione per gli ultimi anni del PT, percepito come un partito-sistema, inquinato dalla gestione del potere e afflitto da gravi accuse di corruzione (“mensalão”).


Marina vuole rappresentare una svolta di cambiamento fuori dai partiti tradizionali. Incarna quasi un populismo gentile che viene dal basso: “voglio ciò che è buono –dice- e scarto ciò che è cattivo”. Marina non ha partito. Ciò che i critici definiscono la sua maggiore debolezza, ossia l’assenza di apparato e struttura, diventa agli occhi di un elettorato disilluso un punto di forza: non è legata a nessun interesse. A chi sostiene che l’assenza di quadri la rendono impotente, Marina risponde che formerà una squadra di “ministri perbene” provenienti da tutte le forze. Altri sostengono che l’assenza di un partito con rappresentanza parlamentare la rende ostaggio dall’abituale trasformismo del parlamento brasiliano. Ma molti le riconoscono una robusta abilità negoziale –che mancherebbe alla Dilma- grazie al suo passato sindacale e all’esperienza in Senato.


Con l’idea di un governo “sem rótulos” (senza etichette), Marina Silva fa intravedere il superamento delle annose divisioni all’interno della sinistra brasiliana. La creazione di un’area unitaria a sinistra è un’idea che Lula stesso da tempo condivide. L’ex-Presidente –sempre popolarissimo- è ormai convinto della necessità di “andare oltre il PT”, appesantito dagli scandali e consumato da anni di potere, per puntare su una “nuova sinistra” con elementi più giovani per un ricambio di classe dirigente. Lula tra l’altro è rimasto colpito dalla novità Matteo Renzi e immagina un’operazione dal sapore renziano che tenta di ridefinire il centro-sinistra brasiliano per intercettare anche le domande della nuova classe media. La riconferma della Rousseff darebbe al PT quattro anni di tempo per portare a termine tale disegno da una posizione di forza. Una sua eventuale sconfitta determinerebbe un’accelerazione di tale processo ad opera di Marina Silva, quindi fuori dal controllo dell’attuale leadership. Sul risultato finale delle prossime elezioni brasiliane, la partita rimarrà aperta fino all’ultimo istante. Quel che è certo è che la prossima donna presidente si troverà a chiudere un ciclo politico ed affrontare tre sfide: far ripatire la crescita del paese, iniziare la riforma istituzionale che freni la frammentazione partitica e avviare la ricomposizione a sinistra.

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