This site uses technical (necessary) and analytics cookies.
By continuing to browse, you agree to the use of cookies.

Sereni “In Libia abbiamo perso un anno inseguendo le ossessioni di Salvini” – (Il Foglio)

Al direttore – L’avvicinarsi del rinnovo del Memorandum con le autorità libiche ha prodotto un dibattito acceso nell’opinione pubblica e anche all’interno delle forze di governo. II Pd ha proposto di modificare i contenuti del Memorandum, con particolare attenzione all’attività della guardia costiera e ai centri di detenzione dei migranti, e in questa direzione il ministro Di Maio si è pronunciato positivamente ieri in Parlamento. Il risultato raggiunto, con la decisione di convocare la riunione della Commissione congiunta italo-libica, premia innanzitutto i nostri sforzi e pone le basi per garantire un più forte coinvolgimento delle Nazioni Unite, della comunità internazionale e delle organizzazioni della società civile per migliorare l’assistenza ai migranti e le condizioni nei centri. Personalmente, apprezzo moltissimo il coraggio e l’impegno di tutti coloro che si sono battuti assieme a noi per migliorare la situazione dei migranti in Libia. Ma la politica richiede compromessi e, spesso, obbliga a sporcarsi le mani per raggiungere un risultato che forse non sarà ideale, ma permetterà comunque di salvare più vite umane e di ridurre le sofferenze di molte più persone.

E per me questo è un risultato molto più importante rispetto alla testimonianza “dura e pura” di un impegno che alla fine rischia di cambiare poco o niente sul terreno. Non dobbiamo farci illusioni, e soprattutto non possiamo ingannare i cittadini italiani. Le soluzioni facili non esistono né in un senso né nell’altro. La realtà è che la tragedia libica – del popolo libico e dei migranti – è un evento di enorme complessità, in cui non esiste quick fix. Una tragedia che è stata presa in ostaggio nell’ultimo anno e mezzo da un ministro dell’Interno e da una forza di governo (e ora di opposizione) a soli fini di creazione del consenso. E in cui l’ossessione anti-migranti e antieuropea – di un ministro che non si è quasi mai recato né in Libia né a Bruxelles – si sono tradotti in un vuoto di pensiero e azione che, come tutti i vuoti, è stato purtroppo riempito dal caos del conflitto e ha leso in maniera gravissima gli interessi del nostro paese. Il dibattito politico italiano sulla Libia è stato cosi monopolizzato da un equivoco di fondo, che nasce dalla lettura della situazione solo attraverso il prisma italo-italiano della crisi migratoria.

La crisi libica è molto di più e la sua complessità richiede una risposta a 360 gradi (“olistica” nel senso più proprio del termine). E’ innanzitutto una crisi interna e internazionale, in cui il collasso di un sistema dittatoriale (ma basato su una rete consolidata di interessi e scambi) e l’inesistenza del tessuto istituzionale possono essere affrontati solo attraverso un progetto complessivo di ricostruzione della società, delle istituzioni e della economia libica che prima del 2011 riusciva a garantire lavoro a più di 2,5 milioni di stranieri. Il contributo che può dare l’Italia a questo processo è fondamentale, e richiede da parte nostra capacità di visione e senso di responsabilità: rifiutando inutili protagonismi; rafforzando l’ownership collettiva, multilaterale e europea, della crisi; contenendo l’assertività degli attori regionali e il loro coinvolgimento nelle dinamiche intra-libiche; e cercando il più possibile, nei limiti dell’attuale situazione, l’apporto costruttivo degli Stati Uniti, che restano in potenza l’attore chiave nel Mediterraneo e Medio oriente. Il sostegno all’azione del rappresentante speciale delle Nazioni Unite Salamé e all’organizzazione della Conferenza internazionale di Berlino in programma entro l’autunno e, auspicabilmente il prima possibile, della conferenza intra-libica, sono il prossimo passo nell’attuazione di questa visione. Negli ultimi anni moltissimo è cambiato, e continua a cambiare, in Libia.

L’Italia resta però, anche per la continuità della nostra presenza sul terreno, il paese occidentale con la conoscenza più profonda e capillare della Libia e delle sue dinamiche. Questo patrimonio di conoscenza riguarda due temi fondamentali perla costruzione della Libia del futuro: l’inclusività del processo politico, la creazione dello stato di diritto, le riforme economico- finanziarie e del settore della sicurezza. Il conflitto militare in corso tra le forze del generale Haftar e il governo del presidente Serraj ha posto in secondo piano una questione-chiave: la condivisione del processo politico da parte di tutto il popolo libico e delle sue espressioni regionali, tribali, cittadine e della società civile. Identificare queste espressioni e garantire che ognuna di esse possa far sentire la propria voce è una condizione fondamentale perla costruzione della Libia del futuro. E nello stesso senso la ricostituzione del tessuto istituzionale libico e l’avvio delle riforme non possono partire dal nulla e richiedono la messa a sistema di tutti coloro che meglio conoscono la Libia e la sua complessità. L’Italia ha buttato più di un anno in Libia inseguendo le ossessioni securitarie e elettorali di un ministro degli Interni palesemente inadeguato.

Non possiamo permetterci di sprecare altro tempo. La politica estera richiede coraggio e umiltà, risorse intellettuali e spessore morale, capacità di analisi e comprensione dei problemi. Richiede un senso dell’identità nazionale e dei valori e interessi del nostro paese lontani anni luce da quelli del ministro deejay che fa ballare in costume da bagno l’inno di Mameli. E richiede infine fatica e sudore, certamente non quello delle estati al Papeete.

You might also be interested in..