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Tajani: “Solo l’America può frenare Netanyhau” – (La Stampa)

Antonio Tajani si ferma a rispondere a qualche domanda su Gaza e sul discorso di Sergio Mattarella. Poche ore prima, chi ha ascoltato dalla viva voce le parole del presidente della Repubblica rivolte al corpo diplomatico, racconta di un’espressione raggelata nei volti del ministro degli Esteri e della premier Giorgia Meloni, seduti in prima fila. Anche perché la politica estera compete al governo, non al Capo dello Stato, come qualche ministro fa notare durante la cerimonia per la Festa della Repubblica.

«Non è così, nessun imbarazzo», risponde invece Tajani. «Riconoscere ora la Palestina servirebbe solo a incattivire ancora di più Netanyahu. Basta vedere cosa è successo con Macron. La verità è che solo gli americani possono fermare Netanyahu».

 ”Fermare Netanyhau? Solo gli Usa possono farlo”

Il ministro degli Esteri: riconoscere la Palestina farebbe incattivire Israele. C’è chi augura a mio figlio la fine dei bimbi di Gaza. Ma io che c’entro?”

Ha detto
Come se Mattarella avesse dichiarato qualcosa di diverso da quello che ho detto pure io… Ce lo siamo detti dopo anche con la premier, servono gli Stati Uniti come nei negoziati sull’ Iran. Mi sento spesso con Rubio su questo. Le parti si fidano di noi e si vedono a Roma.

Antonio Tajani si ferma a rispondere a qualche domanda su Gaza e sul discorso di Sergio Mattarella. Mentre la luce del tramonto avvolge i giardini del Quirinale. Poche ore prima, chi ha ascoltato dalla viva voce le parole del presidente della Repubblica rivolte al corpo diplomatico, racconta di un’espressione raggelata nei volti del ministro degli Esteri e della premier Giorgia Meloni, seduti in prima fila.
Anche perché la politica estera compete al governo, non al Capo dello Stato, come qualche ministro fa notare durante la cerimonia per la Festa della Repubblica, chiedendo però di non riportare il nome.

«Non è così, nessun imbarazzo», risponde invece Tajani: «Ho sentito dire che ci avrebbe scavalcato, come se il presidente avesse detto qualcosa di diverso da quello che detto pure io. Ce lo siamo detti anche con la premier Meloni subito dopo».

Forse la scelta delle parole è stata meno morbida, forse Mattarella — proviamo a sostenere — ha sentito il dovere di compensare una timidezza del governo.

«Ma cosa non stiamo facendo noi, in concreto?»

chiede con il tono stanco di chi passa le giornate a difendersi dalle accuse delle opposizioni e di una fetta di opinione pubblica che accusa di complicità il governo Meloni con l’operazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu e con l’orrore quotidiano di Gaza.

«Vi sembra normale che devono augurare la morte anche di mio figlio, augurarmi che possa passare anche io quello che i genitori palestinesi stanno vivendo. Cosa c’entro io con Netanyahu? Io sono un cattolico praticante. Pensate che non abbia effetto su di me vedere i bambini morire in quel modo?».

Insistiamo sul punto: e allora perché non fare come la Spagna e l’Irlanda, ma soprattutto come ha annunciato di voler fare il presidente francese Emmanuel Macron, e riconoscere la Palestina?

«Quale Palestina? Mi dica di quale Palestina parliamo».

Per esempio la Cisgiordania, e nel frattempo continuare a spingere sul fronte diplomatico per trovare una soluzione di garanzia internazionale a Gaza.

«Quindi riconosciamo l’Autorità nazionale palestinese? Servirebbe a cambiare qualcosa?».

E’ un atto certamente simbolico che potrebbe servire come pressione. Così la pensa Macron. Così la pensano sempre più Paesi europei. Se lo faranno anche altri, l’Italia potrebbe restare isolata.

«Riconoscere ora la Palestina servirebbe solo a incattivire ancora di più Netanyahu. Basta vedere cosa è successo con Macron. A che livello è arrivato lo scontro tra Israele e la Francia? Vuole la verità? La verità che conoscono tutti è che solo gli americani possono fermare Netanyahu».

Fermare il massacro, cercare una via d’uscita umanitaria, riportare a un tavolo le parti.

«Non sono i singoli Paesi, non è nemmeno l’Europa che riuscirà a farlo. Sono gli Stati Uniti», ripete Tajani.

Si legge tutta la frustrazione di chi cerca di confessare un’impotenza, nella parole del ministro degli Esteri. È un’ammissione: è Donald Trump che può fermare Netanyahu. O lui, il presidente americano che pensava di avere il tocco magico e che sosteneva avrebbe fermato la mattanza in Ucraina di Vladimir Putin in un paio di giorni. Qualcosa nelle convinzioni ferme del governo italiano sembra vacillare. Questa è l’impressione degli ultimi giorni. Anche se Meloni tace, o cerca di commentare il meno possibile. Perché anche lei sta aspettando di capire cosa vogliono da Washington. Tajani vede un’unica soluzione e, per rende più chiaro il ragionamento, cita l’Iran:

«Quella è la strada. Ne parlo spesso con Rubio (il segretario di Stato americano, suo omologo».

L’Italia è coinvolta nei negoziati degli Stati Uniti con Teheran sul nucleare. Sono mediati dall’Oman, e servono a scongiurare un’escalation e un attacco contro il regime degli ayatollah, che Netanyahu farebbe partire anche domani:

«Le parti si incontrano a Roma. Non a caso, ma perché si fidano di noi». 

Tajani viene assalito dai saluti. L’ambasciatrice della Mongolia lo colma di complimenti e si fa scattare una foto con lui. Il clima della serata è leggero, ma la solita spensieratezza di questo evento annuale è stato comunque infranto dal discorso di Mattarella. E anche Tajani, quando si parla dei troppi morti nella Striscia, non sorride più, e pesa ogni concetto. Ci tiene a rivendicare, ripetutamente, soprattutto una cosa: il ruolo che l’Italia ha, non nella prima linea delle trattative, ma in quella degli aiuti umanitari:

«L’unico convoglio sotto egida Onu che hanno fatto passare era il nostro. Ma per riuscire a garantire gli aiuti bisogna parlare con Israele. Questa è la realtà dei fatti che le opposizioni non comprendono. A sinistra indossano la kefiah mentre dovrebbero parlare con quelli che la kefiah la portano dalla nascita. A loro interessa se facciamo arrivare cibo, acqua e medicine, e non se parliamo con Netanyahu». 

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