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Tajani «Vogliamo mettere al tavolo Usa e Iran. I colloqui possono avvenire a Roma» (La Stampa)

Interviste Ministro Tajani 23-06-2025
Interviste Ministro Tajani 23-06-2025

«L’attacco americano era nell’aria, ma non siamo stati avvisati». A sera, Antonio Tajani, reduce da una giornata cominciata poco dopo le due di notte, riceve un gruppo ristretto di giornalisti nel suo studio della Farnesina. Subito dopo un lungo confronto con una ventina di ambasciatori coinvolti nella crisi – compresi i diplomatici di stanza a Mosca, Pechino e Washington -, il ministro degli Esteri prova a fare ordine in una situazione che al momento galleggia tra l’attesa per la reazione iraniana e la necessità di fidarsi degli Stati Uniti quando sostengono di non aver in programma di procedere con nuovi attacchi. «Non faccio l’aruspice» dice un po’ interdetto il ministro, rifacendosi alle garanzie offerte dal segretario di Stato americano Marco Rubio. Un’indicazione, quest’ultima, che è solo un flash delle lunghe ore spese ieri «ad aspettare notizie» e «a cercare di capire cosa potesse accadere». Ore a tratti convulse, cominciate con la telefonata all’alba con l’ambasciatrice in Iran Paola Amadei e, a meno di aggiornamenti, culminate con il suo tentativo di parlare con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, nel pomeriggio in volo verso Mosca.

Tajani segue la linea stabilita in mattinata nel videocollegamento con Giorgia Meloni e gli altri ministri interessati: salvaguardare i circa 50mila cittadini italiani che vivono nell’area, evitare l’escalation e candidare Roma – «lasciando lavorare la diplomazia» – ad ospitare per la terza volta un round di dialogo tra Iran e Stati Uniti. Un obiettivo quantomeno ambizioso in questa fase. Ma d’altro canto arriva da chi, poche ore prima dell’attacco, venerdì, ha provato a mettere in contatto proprio Araghchi e Rubio, invocando la necessità di un confronto diretto ed esclusivo. «Non ho ricevuto risposta da Teheran» spiega però il ministro. In ogni caso, «l’obiettivo è farli sedere allo stesso tavolo senza intermediari» ripete candidando la Capitale mentre sul tavolone, accanto agli appunti, sfiora una serie di mappe in cui sono evidenziati i punti di impatto delle bombe sganciate dagli americani e, soprattutto, le vie di fuga che la Farnesina sta utilizzando per portare in salvo quegli italiani che, tra i 50mila residenti nell’area, ne hanno fatto richiesta. Da Tel Aviv sotto i bombardamenti, e da Gerusalemme, nelle scorse ore sono partite due carovane: sono famiglie, residenti, connazionali che vivono da anni in Israele. Raggiunta la frontiera, vengono presi in consegna dai diplomatici italiani in Egitto per essere condotti a Sharm el-Sheikh, da dove un charter ne ha già riportati alcuni a Verona. Lo stesso avverrà tra oggi e domani per coloro che vivono a Teheran, passando per il confine azero e la città di Astara, sul mar Caspio. «Non è un’evacuazione – precisa il ministro – ma un rientro ordinato».

Se sul piano logistico fervono le attività, sul piano militare, invece, a prevalere pare essere l’attesa. Come già raccontato da La Stampa nei giorni scorsi il governo ha disposto la redistribuzione di alcuni reparti e il rimpatrio di un contingente di Carabinieri. In questa fase però, spiega Tajani, «nessun altro riposizionamento è in corso». Né, aggiunge alludendo al nodo delle basi Usa in Italia, c’è ora la possibilità che la Penisola si ritrovi coinvolta in manovre di guerra: «nessuna richiesta è arrivata dagli Usa» sottolinea. Almeno fino a questo momento, è chiaro. Le incognite in ogni caso restano molte. A preoccupare l’esecutivo c’è, ad esempio, il possibile effetto domino nello Stretto di Hormuz. Il rischio che l’Iran reagisca colpendo i traffici navali è preso in considerazione, anche se – secondo Tajani – l’azione sarebbe «autolesionistica e nuocerebbe anche alla loro stessa economia», data l’importanza dello snodo che divide la penisola arabica dalle coste dell’Iran e costituisce una solida rotta commerciale verso l’Asia e, nello specifico, la Cina. Nessuna ipotesi, però, viene esclusa. «Tutto può accadere – ammette il ministro – per questo la nostra ambasciata a Teheran resta aperta: vogliamo continuare a dialogare, spingendo affinché non ci siano attacchi alle basi americane e si eviti ogni ulteriore escalation». Per quanto riguarda un ipotetico allargamento del conflitto, alla Farnesina prevale ancora la convinzione che Russia e Cina si limiteranno ad assumere «posizioni politiche di condanna» degli attacchi Usa, senza aver intenzione «di far alcun tipo di intervento».

Meno ottimista, invece, il ministro appare quando si parla dei ribelli Houthi in Yemen, che potrebbero cogliere l’instabilità del momento per rimettere sotto assedio la missione UE Aspides (di cui l’Italia è parte), che tutela il passaggio delle navi tra il golfo di Aden e il Mar Rosso. Le valutazioni di rischio, insomma, in questo momento sono concentrate verso l’interno del nostro Paese. Tajani si rifà al Viminale e alle misure di sicurezza rafforzate attorno a tutte le sedi diplomatiche, ai luoghi di culto ebraico e agli obiettivi sensibili. Nella lettura del ministro, infatti, quella in corso è una delle crisi più complesse degli ultimi decenni, forse paragonabile per impatto politico all’11 settembre o all’invasione del Kuwait. E proprio per questo, aggiunge, serve un salto di qualità anche sul piano europeo: «Finché agiamo come singoli Stati, non avremo mai il peso politico necessario. Serve una politica estera comune, serve che l’Europa conti davvero». Una speranza che il ministro porterà sul tavolo del Consiglio ministeriale di oggi.

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