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Tajani: «Cancelleremo ogni balzello sulla casa per tutelare le famiglie»

Intervista del Ministro
Intervista del Ministro

I Balcani devono riunificarsi nella famiglia europea. I Balcani sono parte dell’Europa, sono parte dell’Occidente. Sono nostri amici e alleati, devono far parte del mercato unico, sono strategici per la crescita e l’export e li vogliamo membri dell’Ue». Sottrarre i Paesi ex comunisti dall’influenza maligna della Russia: dal meeting londinese sul rapporto con i Paesi dell’Est Europa, il ministro degli Esteri Antonio Tajani lancia un messaggio politico. Allargare stabilmente il diametro del compasso Ue ad Albania, Bosnia-Erzegovnia, Kosovo, Montenegro e Serbia, Macedonia del Nord, «serve anche ad alzare il livello di sicurezza, fronte cruciale per fare un lavoro comune contro trafficanti di droga, armi ed esseri umani».

Ma da leader di Forza Italia, Tajani tiene in queste ore i contatti con Palazzo Chigi su un rialzo delle tasse per gli affitti brevi che vuole sia cancellato dalla manovra. E, raggiunto al telefono a Londra, non elude i nodi politici della maggioranza: dalla legge di bilancio, fino al ruolo di Zaia e Tosi nella prossima giunta in Veneto.

Ministro, non va bene la versione modificata della tassa sulla casa?

«Ci sono punti da modificare su casa, dividendi e forze dell’ordine e lo si farà in Parlamento. Sulle banche il compromesso attuale rende meno vessatorio l’atteggiamento, ed è importante, perché le banche devono aiutare, ma non sono un nemico. La mia preoccupazione va soprattutto alle banche popolari e al credito cooperativo, istituti di territorio preziosi. Io non sono nemico, non sono amico delle banche: dico che un atteggiamento arrogante fa danni alle imprese e spaventa gli investitori, soprattutto gli stranieri. Sulla casa, non voteremo alcuna tassa aggiuntiva. In Consiglio dei ministri non si è parlato né di case né di dividendi. La casa in particolare è un valore centrale per le famiglie, per la loro economia, non dobbiamo accanirci sulle case».

Sul fronte delle regionali, pensate che in Veneto darà le carte ancora Zaia? «Auguro buona fortuna a Zaia, noi abbiamo Tosi capolista e cresceremo sopra le due cifre perché c’è voglia, anche tra gli imprenditori, di una forza moderata, cristiana e garantista, di una forza rassicurante. In Veneto, oltre che sui Trasporti, c’è da fare molto per la sanità e Tosi sarebbe un ottimo assessore».

Ma si opporrebbe a un ingresso di Zaia nel governo?

«No, ma allora bisognerebbe fare un rimpasto di ministri. Non credo sia possibile, si aprirebbero troppe discussioni. Perché in quel caso noi dovremo essere rappresentati per i consensi che Forza Italia ha oggi: dopo il voto alle europee e alle regionali sono cambiati i rapporti di forza».

Oggi che ha lo sguardo rivolto a Est, ci dica quando verrà ripristinato Schengen al confine tra Fvg e Slovenia. I disagi per pendolari e imprese sono forti.

«Aspettiamo che finisca la guerra in Medio Oriente. Certo, due anni fa l’Italia ha adottato una misura temporanea di ripristino dei controlli alla frontiera con la Slovenia. Si tratta di un provvedimento dal carattere eccezionale, mirato, e fondato su esigenze specifiche legate alla tutela della sicurezza nazionale e alla gestione dei flussi migratori irregolari. Comprendiamo i disagi che questa misura può comportare per i pendolari transfrontalieri, per le famiglie che vivono a cavallo del confine e le imprese locali. L’obiettivo del governo è tornare quanto prima alla piena operatività dello spazio Schengen, che rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell’Unione».

A proposito di guerre aperte, il rinvio continuo del vertice Trump-Putin fa pensare che un cessate il fuoco in Ucraina sia ancora lontano.

«Io spero che il piano Usa per la pace in Ucraina possa accelerare, come lo è stato il piano di pace per Gaza. Sosteniamo gli sforzi americani affinché Putin e Zelensky si siedano al tavolo del negoziato. Capisco però che su un particolare decisivo, quello del cessate il fuoco, Putin non ha offerto aperture al presidente Trump. Ma l’obiettivo immediato dev’essere la riduzione dell’escalation: gli attacchi russi vogliono minare la resilienza della popolazione con l’inverno alle porte. Aggiungo che qualsiasi incontro, a Budapest o altrove, deve partire dal presupposto che il concetto di “pace giusta” include l’integrità dell’Ucraina. Lo ribadisco: solo l’Ucraina può decidere cosa fare dei suoi territori. Nel frattempo, l’Italia e l’Europa devono continuare ad aumentare la pressione su Mosca. Lo stiamo facendo con il 19° pacchetto di sanzioni dell’Ue».

Quanto può durare la tregua a Gaza?

«C’è molto da fare perché la tregua diventi una pace vera, solida. La durata della tregua è condizionata da un fattore critico, e cioè dalla volontà delle parti – e in particolare di Hamas – di accettare la mediazione e rispettare gli impegni. Penso al rispetto del cessate il fuoco, al rilascio dei corpi degli ostaggi ancora reclamati da Israele, o al disarmo. È poi necessario l’avvio di un monitoraggio internazionale e garantire il pieno funzionamento di una Autorità palestinese rinnovata. Senza questi fattori, la tregua è vulnerabile. Per dare solidità al piano di Trump occorrono quattro elementi: un mandato internazionale chiaro e credibile per la forza di stabilizzazione, che l’Italia potrebbe sostenere; un impegno finanziario e tecnico per la ricostruzione; il miglioramento delle condizioni umanitarie, su cui pure ci siamo impegnati, e un dialogo politico per arrivare alla soluzione dei due Stati».

Dunque l’Italia è pronta a fare la sua parte?

«Certo, lo è. La scorsa settimana i Dialoghi Mediterranei di Napoli hanno ospitato per la prima volta dal cessate il fuoco e nella stessa cornice, i due ministri degli Esteri israeliano e palestinese. È stato un segnale importante di speranza, dialogo e distensione. Per quanto ci riguarda, con Food for Gaza abbiamo portato migliaia di tonnellate di aiuti umanitari e stiamo preparando ora un altro invio di aiuti, il più grande dall’inizio della crisi: 100 tonnellate, raccolte grazie al contributo delle principali realtà del Sistema Italia. Ho nominato un Inviato speciale per la ricostruzione di Gaza, con attenzione anche agli aspetti umanitari che proprio in questi giorni è alla guida di una delegazione tecnica a Ramallah e ad Amman, con tutte le amministrazioni dello Stato competenti, per valutare gli effettivi bisogni».

E perché la voce dell’Europa non si fa sentire in questo delicatissimo dossier?

«Nell’Unione europea gli Stati nazionali mantengono ancora un controllo importante sulla politica estera: alla Ue sono delegate solo le azioni su cui di fatto si riesce a raggiungere un consenso totale. E noto che gli Stati membri hanno posizioni differenti sulla guerra di Gaza e sul riconoscimento dello Stato palestinese. Ma Bruxelles non ha mancato di parlare con una voce forte e coerente. L’Ue è stata tra i primi attori internazionali a sostenere l’iniziativa Usa per la tregua e a mettere sul tavolo un pacchetto umanitario e di ricostruzione per Gaza. Lavoriamo affinché l’Europa sia protagonista di un processo di pace che passa per diplomazia, aiuti e sicurezza del quadrante mediorientale».

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