È entrata in vigore il 29 agosto 2014 la nuova Legge ”Disciplina Generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo” (L. 11 agosto 2014 n. 125), approvata in via definitiva dal Senato il 1 agosto 2014. La nuova legge da un lato ha l’obiettivo di aggiornare in modo sistematico la fotografia del sistema dopo 27 anni dall’approvazione della Legge 49/1987 sulla Cooperazione allo sviluppo, rimettendo in ordine soggetti, strumenti, modalità di intervento e principi di riferimento maturati nel frattempo nella comunità internazionale; dall’altro, quello di adeguare il sistema italiano di cooperazione allo sviluppo ai modelli prevalenti nei paesi partner dell’Ue. La nuova legge definisce una nuova architettura di “governance” del sistema della cooperazione, la cui coerenza e coordinamento delle politiche saranno sono garantiti attraverso il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics), una regia costituita dai dicasteri che hanno competenze in materie che sono oggetto di attività di cooperazione allo sviluppo.
La nuova legge indica gli obiettivi della cooperazione nello sradicamento della povertà, nella riduzione delle disuguaglianze, nell’affermazione dei diritti umani e della dignità degli individui – compresa l’uguaglianza di genere e le pari opportunità -, nella prevenzione dei conflitti e nel sostegno ai processi di pacificazione. È prevista l’adozione di un Documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo, approvato dal Consiglio dei ministri, previa acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 marzo di ogni anno
Sul fronte domestico, la politica di cooperazione contribuisce, anche per il tramite delle comunità di immigrati presenti sul territorio nazionale, alla delineazione di politiche migratorie condivise mentre, sul versante esterno, l’appropriazione (ownership) dei processi di sviluppo da parte dei Paesi beneficiari è indicata nella nuova legge come uno dei presupposti per l’efficacia degli aiuti, che non possono, neppur in forma indiretta, essere utilizzati per finalità militari. Il provvedimento afferma, quanto al canale multilaterale, il principio di armonizzazione delle politiche nazionali di cooperazione con quelle dell’Unione europea mentre, per il partenariato territoriale, riconosce alle Regioni ed agli altri Enti territoriali la possibilità di attuare iniziative di cooperazione allo sviluppo con organismi di analoga rappresentatività territoriale. Nell’ambito dell’aiuto pubblico allo sviluppo rientrano anche gli interventi di emergenza umanitaria deliberati dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale.
Essendo la cooperazione definita come ”parte integrante e qualificante della politica estera”, spetta al Ministero degli Esteri, nella figura del Vice Ministro delegato, il compito di tirare le fila di questo esercizio unitario e coerente. Anche le risorse, fino ad ora distribuite sui capitoli di diversi ministeri, saranno facilmente leggibili attraverso un apposito Allegato al bilancio. La Legge 125/2014 definisce inoltre una nuova struttura di gestione, con la nascita dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo (1°gennaio 2016). L’Agenzia, un modello che esiste in tutti i principali Paesi europei, corrisponde ad un’esigenza che era stata fortemente richiesta dagli attori della cooperazione e avanzata nelle proposte di riforma di iniziativa parlamentare; essa consente di valorizzare le professionalità già esistenti e di attirarne di nuove; permette infine di potersi cimentare, grazie alla maggiore flessibilità, con le modalità più innovative di cooperazione oggi esistenti, alcune delle quali non normativamente compatibili con l’assetto individuato dalla legge 49/1987. Per gli interventi maggiormente onerosi (oltre 2 milioni di euro) l’Agenzia lavora assieme al Ministero degli Esteri in un apposito Comitato Congiunto. La convenzione triennale stipulata tra il Ministro ed il Direttore dell’Agenzia definisce le modalità di collaborazione tra il MAECI e l’Agenzia e gli obiettivi che quest’ultima è tenuta a conseguire nell’arco del triennio di riferimento.
La riforma disegna infine un rapporto di partecipazione del Parlamento, che esercita le funzioni di indirizzo e controllo sul documento triennale di programmazione, e della Conferenza nazionale, un organo di discussione e di consultazione, che conferisce stabilità all’esperienza di dialogo fra soggetti pubblici e privati.