L’Amministrazione statunitense ha adottato due ordini esecutivi con l’obiettivo di rendere i farmaci più accessibili per i cittadini e rafforzare l’industria farmaceutica nazionale.
Il primo provvedimento introduce il principio del “prezzo della nazione più favorita” per i farmaci da prescrizione. Secondo l’Amministrazione, le case farmaceutiche praticano all’estero prezzi significativamente più bassi rispetto a quelli applicati negli Stati Uniti, al fine di restare competitive. L’ordine prevede inoltre misure per facilitare la vendita diretta ai pazienti, sanzionare pratiche anticoncorrenziali e valutare, caso per caso, l’opportunità di aumentare le importazioni di farmaci sicuri da Paesi sviluppati a costi inferiori.
Il provvedimento incarica anche il Segretario al Commercio e lo US Trade Representative di intervenire contro pratiche commerciali discriminatorie o sleali, come le politiche di prezzi artificialmente bassi all’estero, che potrebbero mettere a rischio la sicurezza nazionale.
Il secondo ordine esecutivo mira a rafforzare la capacità produttiva farmaceutica interna, eliminando ostacoli regolatori che rallentano la costruzione e l’espansione degli impianti. L’Amministrazione ritiene in effetti che i lunghi tempi richiesti per aprire nuovi stabilimenti siano dovuti a normative complesse, frequenti ispezioni e procedure autorizzative onerose, che scoraggiano gli investimenti. Per questo motivo, la U.S. Food and Drug Administration (FDA), la U.S. Environmental Protection Agency (EPA) e altre Agenzie sono state incaricate di rivedere i regolamenti entro sei mesi, rimuovendo requisiti superflui e accelerando i processi di approvazione.
L’ordine rafforza anche i controlli della FDA sulle strutture produttive estere, che d’ora in poi saranno ispezionate senza preavviso, al pari degli impianti statunitensi. L’obiettivo è eliminare disparità di trattamento tra produttori nazionali ed esteri e potenziare il ruolo della FDA nella tutela della salute pubblica e della sicurezza delle forniture.
Per quanto riguarda l’eventualità di introdurre dazi sui farmaci importati, le associazioni di categoria hanno espresso forte preoccupazione. Ritengono che tali tariffe potrebbero compromettere la complessa catena di approvvigionamento globale del settore farmaceutico, con effetti negativi sui prezzi, sulla disponibilità dei medicinali e sull’accesso alle cure.
Le associazioni hanno quindi richiesto l’esclusione dei farmaci da qualsiasi misura tariffaria, sottolineando che il rafforzamento della produzione nazionale richiede tempi lunghi. I dazi, inoltre, potrebbero avere ripercussioni sui programmi sanitari pubblici come Medicare e Medicaid, che si troverebbero a sostenere costi più elevati per dispositivi essenziali.
Ciononostante, numerose aziende del settore, tra cui Gilead, Johnson & Johnson, Roche, Bristol Myers Squibb, Eli Lilly, Novartis, AbbVie, Merck, Regeneron, Amgen e Abbott, sembrano aver accolto positivamente le iniziative dell’Amministrazione statunitense, annunciando importanti investimenti per espandere la propria presenza produttiva e di ricerca negli Stati Uniti.