(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)
Signore e Signori,
è con grande piacere che vi accolgo alla Farnesina.
Ho innanzi tutto l’onore di leggere il messaggio che il Signor Presidente della Repubblica ha voluto rivolgere agli organizzatori ed ai partecipanti del Convegno.
“Signor Ministro,
desidero per il suo tramite salutare cordialmente il Sottosegretario Marta Dassù, gli organizzatori e i partecipanti alla conferenza ‘’Women in diplomacy’’ che si tiene al Ministero degli Affari Esteri sotto la sua guida.
Le donne occupano oggi, e non solo da oggi, posizioni centrali e determinanti nelle relazioni internazionali, nella conduzione della cosa pubblica e nel settore privato.
Naturali portatrici di creatività, solidarietà, empatia, realismo, esse infondono fiducia nel futuro delle nostre società.
Mi rallegro che l’Italia ospiti questo convegno internazionale che ci sensibilizza tutti al peculiare contributo delle donne alla politica estera.
L’aprirsi dei ranghi e dei vertici diplomatici a una crescente, qualificata e giovane presenza femminile è una tendenza inarrestabile e sono perdenti i paesi incapaci di abbracciarla.
Non ho bisogno di ricordare le numerose personalità femminili che, al vertice della politica estera e delle Organizzazioni internazionali, hanno lasciato e lasciano un segno positivo e illuminante.
Mi auguro che il loro successo in campo internazionale sia d’ispirazione ad amministrazioni pubbliche e imprese private.
In questo spirito, auguro un costruttivo dibattito e buon lavoro a tutti i partecipanti alla conferenza.
Giorgio Napolitano”.
Al Sottosegretario Marta Dassù vanno anche i miei più vivi ringraziamenti per aver ideato questo evento. Sono inoltre grato agli sponsor per il loro generoso contributo finanziario e all’associazione delle donne diplomatiche, la DID, per l’impegno profuso nell’organizzazione di questo incontro.
Desidero indirizzare un caloroso saluto a tutti i presenti e in particolare alla Vice-Presidente del Senato, Emma Bonino, e ai Ministri che intervengono al Convegno: al Ministro degli Esteri croato, Vesna Pusic; alla Segretaria di Stato per le Relazioni Estere del Messico, Patricia Espinosa Castellano; al Ministro francese per i diritti delle donne, Najat Vallaud-Belkacem; al Ministro tunisino per gli affari della famiglia, Sihem Badi; al Ministro albanese per gli affari europei, Majlinda Bregu; al Ministro kosovaro per gli affari europei, Vlora Çitaku; al Ministro algerino dell’educazione e della ricerca scientifica, Souad Bendjaballah; al Vice-Ministro degli esteri bosniaco, Ana Trisic-Babic; e ai Ministri Elsa Fornero, in collegamento telefonico, e Francesco Profumo. La vostra adesione e l’onore che ci farà con la sua presenza il Presidente del Consiglio, Mario Monti, sono la testimonianza evidente del grande interesse riscosso dall’iniziativa. Rivolgo infine uno speciale ringraziamento al Segretario di Stato Hillary Clinton, che ha risposto al mio invito con un video messaggio che vedremo tra poco.
Il nostro obiettivo è duplice: accrescere la consapevolezza dell’esigenza di una maggiore partecipazione femminile alla governance mondiale – a partire dalla diplomazia – e promuovere la formazione professionale delle donne. SIOI e ISPI – che ringrazio nelle persone dei rispettivi presidenti, l’On. Franco Frattini e l’Ambasciatore Giancarlo Aragona – collaboreranno all’organizzazione di corsi di formazione di una ventina di giovani laureate del nostro Vicinato meridionale e orientale.
Signore e Signori,
La dimensione dei diritti è centrale nella politica estera italiana, orienta il nostro guardare al mondo e segna il senso della nostra partecipazione alle diverse organizzazioni internazionali. Tale dimensione ispira anche le numerose azioni promosse dall’Italia in favore dell’eguaglianza di genere e contro ogni abuso e discriminazione nei confronti delle donne, a partire dalla campagna per l’eliminazione della disumana pratica delle mutilazioni genitali femminili.
Ricordo inoltre il forte sostegno italiano alla decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di istituire UN WOMEN per la parità di genere e l’empowerment delle donne. Il riconoscimento universale del ruolo dell’Italia nel campo dei diritti delle donne è stato di recente confermato dall’elezione di Bianca Pomeranzi al Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. Su 25 candidati, la Dottoressa Pomeranzi è stata la prima eletta con 132 voti ricevuti da Stati di ogni area del mondo. Un’altra conferma l’abbiamo ricevuta con l’elezione di Gabriella Battaini alla carica di Vice Segretario Generale del Consiglio d’Europa, istituzione che pone la promozione dei diritti delle donne tra i propri obiettivi statutari.
Signore e Signori,
la storia è piena di esempi di donne che hanno agito per la pace. Dal Trattato di Cambrai del 1529, negoziato da Luisa di Savoia e Margherita d’Asburgo, ai casi più recenti, come quello delle tre donne premi nobel 2011 per la pace. Una di loro è la liberiana Leymah Gbowee, che ho avuto il piacere di incontrare alcuni giorni fa. Leymah Gbowee ha guidato un movimento di donne cristiane e musulmane che ha avuto un ruolo determinante nel porre fine alla guerra civile in Liberia.
Le donne sono “potenti agenti di pace, sicurezza e prosperità”, come le ha definite il comunicato dell’ultima riunione ministeriale dei Paesi G8. Ma sono troppo spesso escluse dai negoziati di pace e dai processi di transizione. I processi decisionali in cui la componente femminile è assente o marginalizzata perdono legittimità politica perché trascurano sensibilità, esperienze e prospettive di una parte essenziale della società. Quest’ultima si priva di energie vitali alla sua riconciliazione, stabilità e coesione. L’inclusione delle donne è allora necessaria non solo all’avanzamento in senso più liberale e democratico della società, ma anche alla sua sicurezza. Tanto più che le donne sono le principali vittime dei conflitti insieme ai bambini. Una donna coraggiosa, che ho incontrato alla Farnesina, la yemenita Tawakkol Karman, altro Premio nobel 2011 per la pace, ha osservato che: “quando le donne sono trattate in modo ingiusto e private dei loro diritti ne soffre l’intera comunità, uomini e donne”.
Anche in quei Paesi, come il nostro, in cui i diritti e le libertà delle donne sono costituzionalmente garantiti, non sempre l’enorme potenziale femminile è valorizzato. Ostacoli culturali e sociali, condizionamenti del passato creano un “soffitto di cristallo”, che limita la progressione verso l’alto di tante energie. Con un danno per la comunità, soprattutto quando l’esigenza prioritaria e indifferibile è la crescita. Occorre favorire l’assunzione di maggiori responsabilità da parte delle donne, incoraggiandole a sentirsi protagoniste del rinnovamento della società su basi paritarie e su criteri di efficienza e meritocrazia.
Ciò vale in primis per la diplomazia. Troppe volte è prevalsa in passato la visione che per la diplomazia fossero necessarie qualità preminentemente maschili. Negli anni venti, il diplomatico britannico Harold Nicholson affermava che: “women are prone to qualities of zeal, sympathy and intuition which, unless kept under the firmest control, are dangerous qualities in international affairs”. Questi pregiudizi hanno fatto sì che la carriera diplomatica fosse per tanto tempo un club riservato ai soli uomini. Come notava in modo salace Madeleine Albright, il solo modo per una donna di far sentire il proprio punto di vista in politica estera era “sposare un diplomatico e poi versare del tè sulle gambe di un ambasciatore molesto”.
I tempi sono cambiati. Le sensibilità che in passato erano erroneamente considerate eminentemente femminili, come la gentilezza d’animo, sono diventati punti di forza del diplomatico moderno che lavora per la pace e la sicurezza con gli strumenti della comprensione e dello spirito di umanità. “La gentilezza – ha osservato Aung Sang Suu Kyi nel discorso di accettazione del Premio Nobel – può cambiare la vita delle persone” perché “essere gentili vuol dire dare risposte cariche di sensibilità e di calore alle speranze e ai bisogni degli altri”.
Restano ancora poche le donne in diplomazia. Gli ambasciatori donne accreditati presso il Quirinale sono 20 su 139 residenti: poco più del 14%. Nella diplomazia italiana, sono 168 le donne su un totale di 909 diplomatici: il 18,5%. Per l’Italia, tali numeri riflettono in parte un ritardo generazionale: le donne furono ammesse nella diplomazia solo nel 1964, e per anni in poche cercarono di accedervi; in altra parte, tali dati indicano un fenomeno più generale, che investe la ridotta presenza di donne anche nei vertici delle aziende del Paese. Sono solo il 3,1% le amministratrici delegate nelle società private.
Negli ultimi anni abbiamo però registrato un’inversione di tendenza in diplomazia, che ho incentivato fortemente fin dall’inizio del mio mandato. Nei bandi dei concorsi diplomatici sono espressamente incoraggiate le candidature femminili e il 30% dei vincitori degli ultimi concorsi è donna.Nel 2011 e 2012, la Farnesina si è imposta come obiettivo strategico quello di incrementare anno dopo anno, in termini assoluti, le donne diplomatiche in posizioni di responsabilità. E finora abbiamo centrato l’obiettivo. Mi fa piacere anche rilevare – nell’ottica di condivisione delle responsabilità della famiglia – che è crescente il numero di diplomatici uomini che usufruiscono del congedo parentale facoltativo.
Oggi ci sono sette donne che occupano posizioni di vertice al Ministero, due Direttori Generali su sette sono donne. Il Capo del mio Ufficio Legislativo è donna così come uno dei miei due Vice Capi di Gabinetto. La componente femminile è sempre più presente all’estero. Sono stato ricevuto alcuni giorni fa, insieme al Presidente Napolitano, dal nostro Ambasciatore a Lubiana: una delle 49 donne a Capo di una Missione diplomatico-consolare italiana. Anche nelServizio Europeo di Azione Esterna la percentuale di donne è più del 20% del totale dei funzionari diplomatici che vi abbiamo distaccato.
Puntiamo ora a un incremento minimo degli incarichi di responsabilità per le donne del4-5% nell’arco di un biennio. Un obiettivo che contiamo di raggiungere anche con politiche del personale flessibili che mettano al centro la famiglia e permettano di conciliare le esigenze di lavoro con la vita privata. Vogliamo mettere le donne diplomatiche nelle condizioni di non dover scegliere tra carriera e famiglia. Contiamo anche sul piano triennale di azioni positive proposte dal Comitato unico di garanzia per le pari opportunità e sui servizi che il Ministero offre da tempo, come l’asilo nido che funziona dal 1978 nel palazzo della Farnesina.
Signore e Signori,
Negli ultimi anni la comunità internazionale ha acquisito maggiore consapevolezza dell’esigenza di un ruolo più profilato delle donne nei processi decisionali. Ne è prova la Risoluzione 1325 del 2000 su “Donne, pace e sicurezza” con la quale il Consiglio di Sicurezza ha sollecitato una maggiore rappresentatività femminile nelle fasi di prevenzione, gestione e risoluzione delle crisi.
Nei suoi ultimi due anni di permanenza al Consiglio di Sicurezza, l’Italia ha promosso un practically minded 1325 informal group per il rafforzamento della partecipazione delle donne ai processi politici. Tra il 2008 e il 2009, abbiamo contribuito all’adozione in Consiglio di Sicurezza di altre tre risoluzioni a tutela della condizione femminile nei conflitti e nelle fasi di ricostruzione. Molto resta però ancora da fare, come ha indicato anche il Segretario Generale Ban Ki-moon nel suo rapporto del 2010 sulla partecipazione delle donne alle attività di peacebuilding.
L’Italia continuerà questo suo impegno. Abbiamo adottato un Piano di azione triennale per dare concreta attuazione alla Risoluzione 1325. Tra le azioni previste, l’aumento del numero delle donne nei contingenti di pace delle nostre Forze Armate, la maggiore partecipazione femminile ai processi di pace, la protezione dei diritti delle donne nelle situazioni di conflitto e post-conflitto, la lotta contro l’orribile fenomeno dei bambini soldato. Abbiamo indicato l’empowerment delle donne come tema prioritario della nostra cooperazione allo sviluppo, finanziando progetti in Afghanistan, Liberia, Sierra Leone e Sudan.
Il principale banco di prova per misurare il successo di questo approccio volto all’empowerment delle donne è ora rappresentato dalla condizione della donna nei Paesi che stanno vivendo processi di transizione. Penso alla sponda sud del Mediterraneo e all’Afghanistan.
Le donne sono state protagoniste della primavera araba. Sono scese coraggiosamente nelle vie di Tunisi, a Piazza Tahrir e per le strade di Sana’a, hanno partecipato in massa alle prime consultazioni elettorali e sono ora presenti nelle nuove istituzioni democratiche. In Libia, le donne registratesi per il voto sono state il 47% degli elettori e l’affluenza femminile è stata almeno pari a quella maschile. Un quarto dell’Assemblea costituente tunisina, davanti alla quale il Presidente Napolitano ha pronunciato il suo discorso il 17 maggio, è composto da donne. Ci attendiamo che le nuove leadership arabe rispettino i diritti delle donne nelle Costituzioni, nella vita politica e sociale. La stretta connessione tra diritti delle donne e stabilità, inclusione e ricostruzione è la bussola con cui orienteremo il nostro sostegno ai processi di transizione.
Grazie anche all’intervento internazionale che vede l’Italia protagonista, in Afghanistan le donne possono partecipare alla vita politica, accedere a molti lavori e studiare. Il 38% degli studenti sono ragazze. Questi progressi non sono però stati sufficienti a estirpare pratiche discriminatorie e violente contro le donne afghane. Ci hanno scosso la settimana scorsa l’ignobile omicidio di Hanifa Safi, la Direttrice del Dipartimento per le questioni femminili della provincia di Laghman e la brutale esecuzione di una donna accusata di adulterio. Ma ci ha anche colpito la reazione di protesta delle donne afghane. Nel loro interesse, alla conferenza di Tokyo l’Italia ha assunto una posizione negoziale ferma. Grazie alla nostra azione è stata affermata la tutela dei diritti delle donne quale indicatore del pluralismo nella società afghana. E, in base al principio di mutua responsabilità, abbiamo ottenuto il rafforzamento della condizionalità tra gli aiuti promessi dalla comunità internazionale e l’avanzamento della condizione femminile nel Paese.
Signore e Signori,
vorrei concludere con un omaggio a una donna sconosciuta al grande pubblico. Nei mesi in cui ho rappresentato l’Italia al Consiglio di Sicurezza, organizzai un’iniziativa sui bambini soldato. Una giovane donna ugandese raccontò la sua esperienza. E ricordò il coraggio di una suora italiana, Sorella Rachele, responsabile del convitto da cui la giovane era stata sequestrata dalla Lord’s Resistance Army insieme a oltre cento compagne. La suora inseguì per giorni i sequestratori e, nonostante le minacce di morte, riuscì a ottenere la liberazione delle ragazze rapite.
Il coraggio di Sorella Rachele per affermare i valori di umanità e pace deve incoraggiarci ad aumentare il nostro impegno per un mondo più giusto, più pluralista e più sicuro. Possiamo ottenere questo risultato solo con una collaborazione virtuosa tra la società civile, i Governi e le Istituzioni. Per questa ragione, vi ringrazio ancora una volta per questo nostro incontro.