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Intervento del Vice Ministro Dassù al Convegno “I Costi della Non-Europa della Difesa” (Centro Alti Studi per la Difesa – 27 giugno 2013)

Gentile Sottosegretario Roberta Pinotti,


Onorevoli Deputati,


Onorevoli Senatori,


Signore e Signori,


Voglio ringraziare innanzitutto l’Istituto Affari Internazionali e il Centro Studi sul Federalismo per avere organizzato questa giornata di riflessione, che ha il merito di portare l’attenzione su un tema, la Difesa europea, di cui non si parla quanto si dovrebbe, e naturalmente il Centro Alti Studi per la Difesa per averla ospitata.


A tutti i presenti, naturalmente, porto i saluti del Ministro degli Affari Esteri, Emma Bonino, che a causa di altri impegni non può essere qui, ma che condivide la nostra attenzione per il tema della difesa europea.


1.


Mi spiace di non essere stata qui oggi. E’ sempre difficile concludere una mattina di lavoro a cui non si è partecipato. Cercherò di essere breve e di indicare qualche linea per le scelte future che dovremo compiere quale governo italiano.


Partirei da dato ovvio.


L’Europa è integrata in molti settori – commercio, mercato unico, moneta – lo è invece pochissimo in quello della difesa e sicurezza. Questa circostanza è senz’altro dovuta alla storia: il fallimento della Comunità Europea di Difesa nel 1954, dovuto come sapete alla scelta sovranista dell’Assemblea nazionale francese, portò allo stop di uno dei grandi progetti di integrazione politica. E indirizzo la Comunità di allora verso un’integrazione “funzionale”, che passava attraverso la creazione di istituzioni comuni in altri settori industriali e nel mercato interno.


Forse un po’ provocatoriamente, si potrebbe dire che gli scarsi passi in avanti compiuti verso la Difesa Europea sono anche una conseguenza del successo dell’Europa come area di integrazione pacifica. In realtà, se è vero che la costruzione europea è stato un grande esperimento di pacificazione interna al Continente attraverso l’integrazione economica, la mancanza della dimensione Difesa è nata appunto dai limiti politici messi in evidenza dal fallimento della CED. E dal fatto, certamente non secondario, che la Difesa dell’Europa fosse sostanzialmente garantita dalla NATO. Per queste due ragioni, l’Europa ha potuto fare a meno di avere una difesa europea.


Questo stato di cose -che ovviamente misura il successo non solo dell’integrazione europea, ma anche della NATO – ha tuttavia avuto come conseguenza che gli Stati membri e i cittadini non percepiscono più minacce esistenziali alla sicurezza delle loro nazioni e non sentono la pressione a investire in forme di cooperazione più spinte nelle politiche di difesa. In questi anni sono stati pubblicati una quantità di sondaggi in merito: l’insicurezza diffusa nelle nostre società a poco a che fare con la percezione di minecce esistenziali, convenzionali, alla sicurezza nazionale.


Nell’attuale mondo globale la UE è esposta a una quantità di rischi di varia natura (come il terrorismo), ma non percepisce una minaccia esistenziale. Il che naturalmente non elimina ma cambia notevolmente la nostra idea relativa agli strumenti di sicurezza di cui dovremmo dotarci.


Se questo è un rapidissimo back ground, il punto è che entrambi i fattori che hanno permesso all’Europa di disinteressarsi della Difesa – la protezione garantita da parte americana attraverso la NATO; l’idea dell’Ue come peace-building exercise interno – sono entrati in crisi.


Da una parte, gli usa premono da anni per un diverso burden sharing: qui l’evoluzione è stata molto netta, da una sostanziale ostilità alla Difesa europea all’obiettivo di rendere possibile un maggiore contributo europeo,


d’altra parte, tale contributo, in epoca di austerità e quindi di riduzione dei bilanci nazionali, è pensabile solo con le economie di scala rese possibile da una difesa europea integrata.


In sostanza: il progetto molto nel 54 per ragioni politiche, torna in primo piano mezzo secolo dopo per ragioni economiche.


effetti come riflessione sulle sfide della sicurezza nel XXI secolo.


La conseguenza di questo stato di cose è che l’attuale dibattito sul rilancio delle politiche di difesa europee non appare come il risultato di una riflessione strategica sulle sfide della sicurezza nel XXI secolo, bensì come una conseguenza di pressioni economiche e interne sia negli Stati Uniti che in Europa. La crisi economica fa apparire più chiaramente la realtà per quella che è: l’attuale configurazione di 27 diverse difese nazionali è costosa e inefficiente.


2.


Tuttavia come dicono gli anglosassoni, never waste a crisis. Cerchiamo di sfruttare questa situazione per gettare le basi di una maggiore collaborazione europea che eviti sprechi, sfrutti le possibili sinergie e utilizzi in modo più efficiente le scarse risorse ancora disponibili.


Una difesa europea più integrata, tra l’altro, è necessaria anche in assenza di minacce “chiare ed imminenti” al territorio europeo. Non possiamo dimenticare, infatti, che lo scenario internazionale è altamente insicuro e questo vale in particolare per il vicinato europeo, dopo il travagliato Arab awakening, o per il Medio Oriente. Difesa europea significa difesa da minacce diffuse esterne, stabilizzazione ai confini, più che difesa territoriale classica.


Credo che l’Europa debba vedere nel Vicinato una priorità di sicurezza e difesa, anche se non può limitarsi a questo, dal momento che una serie di minacce sono globali e transnazionali. Ma sono dell’idea che l’Europa abbia nell’arco di instabilità ai propri confini compiti prioritari e che si possa immaginare una divisione del lavoro con gli Stati Uniti



3


Sulla base di queste premesse, cosa vogliamo e possiamo fare in vista del Consiglio Europeo di dicembre? Risponderò a questa domanda cercando di individuare alcuni dei risultati a cui, secondo l’Italia, potrebbe arrivare il Consiglio.


L’Italia è molto attiva nella preparazione del Consiglio Europeo di dicembre.


Grazie a una stretta collaborazione fra Mae e Ministero della Difesa, abbiamo presentato lo scorso novembre il documento “More Europe” e abbiamo poi organizzato alla Farnesina, lo scorso marzo, un seminario che ha visto la presenza di tutti gli Stati membri, delle Istituzioni UE, della NATO e dei più importanti istituti di ricerca. Nelle ultime settimane, inoltre, l’Italia ha presentato altri documenti di posizione su specifici aspetti delle politiche di difesa europee: dal necessario rafforzamento della collaborazione UE-NATO al migliore utilizzo dei “raggruppamenti tattici” (Battlegroups). Assieme al Ministero della Difesa, stiamo adesso riflettendo su quali potrebbero essere i risultati, o deliverables, del Consiglio Europeo di dicembre, nei tre filoni di lavoro – i famosi tre clusters – identificati dai Capi di Stato e di Governo a fine 2012.


Nel primo filone, quello relativo all’aumento dell’efficacia, visibilità e impatto della Politica di Sicurezza e Difesa Comune, il Consiglio Europeo potrebbe dare mandato di aggiornare la Strategia di sicurezza europea del 2003, anche alla luce del lavoro svolto sulla bozza di European Global Strategy, tra l’altro proprio dallo IAI. Sappiamo che è un tema controverso. Ma è importante che la UE abbia una visione strategica aggiornata e condivisa dei propri interessi e priorità. Se gli Europei non saranno capaci di elaborare una strategia che sappia anticipare le minacce, saranno queste ad imporre dall’esterno agli Europei “priorità strategiche”.


Sarebbe poi opportuno riformare le procedure di gestione delle crisi per un dispiegamento più rapido ed efficiente delle missioni UE, che hanno bisogno di una gamma di nuove capacità, da quella di intervenire anche lontano dal territorio (“proiettabilità”), a quella di operare in ambienti caratterizzati dalla presenza di civili, limitandone al massimo il coinvolgimento nelle azioni militari (“discrezionalità”).


In terzo luogo, occorre sviluppare collaborazioni nella formazione e addestramento militare, per favorire una cultura condivisa nel personale militare degli Stati membri.


Passiamo ora al secondo filone, relativo allo sviluppo di capacità di difesa comuni.


In questo settore, il Consiglio Europeo potrebbe decidere di migliorare le capacità di pianificazione e condotta delle missioni PSDC attraverso una maggiore integrazione degli aspetti civili e militari. Si potrebbe poi cercare un modo per impiegare i Battlegroups (che come sapete sono multinazionali) nelle missioni PSDC, trasformandoli in una forza europea di intervento/reazione rapida. Se ci pensate, il grande problema legato alla force generation della missione in Mali era connesso all’elemento di protezione (force protection), ovvero un ruolo non specialistico, quindi adatto ad un Battlegroup.


La tesi dell’Italia inoltre, è che la UE favorisca la creazione di capacità militari comuni, andando oltre il pur importante pooling and sharing delle risorse, per dare vita a progetti europei originali e credibili in settori ad alta tecnologia (droni, spazio) ed in cui le capacità sono scarse. Naturalmente, vanno sostenuti i progetti già avviati dall’Agenzia Europea di Difesa (rifornimento in volo, ospedali da campo, sicurezza cibernetica, sicurezza marittima, comunicazioni militari satellitari, ecc.). Ma abbiamo anche bisogno di nuove capacità militari comuni.


E’ infine decisivo coordinare i processi nazionali di pianificazione e ristrutturazione delle politiche di Difesa, per evitare che scelte nazionali non coordinate (ad esempio nei tagli ai bilanci pubblici) compromettano irreparabilmente le capacità militari della UE nel suo insieme. Anche in questo esercizio, è essenziale mantenere uno stretto coordinamento con la NATO.


4


Arrivo così al terzo e ultimo cluster, relativo al rafforzamento dell’industria di difesa europea e della sua base tecnologica.


Va anzitutto favorita la creazione di un mercato unico europeo della Difesa, completando l’attuazione delle due Direttive del 2009 e aumentando la partecipazione delle aziende europee (e solo europee – non filiali pseudoeuropee di entità extracontinentali) alle gare di appalto nazionali.


Stati Membri e Commissione Europea, inoltre, devono incoraggiare la ricerca tecnologica nel settore dei beni e delle tecnologie duali, anche nel quadro del programma “Horizon 2020”, utilizzando più sistematicamente requisiti tecnici e certificazioni europee per questo tipo di prodotti.



Questi sono alcuni specifici settori di azione per i quali auspichiamo che il Consiglio Europeo di dicembre approvi linee-guida e mandati operativi per le Istituzioni Europee e gli Stati membri. L’Italia avrà nell’attuazione responsabilità particolari, dato che assumerà la Presidenza del Consiglio UE nella seconda metà del 2014.


* * * *


Vorrei concludere con due riflessioni sugli obiettivi più importanti e delicati fra quelli che ho appena menzionato: lo sviluppo di capacità militari comuni (europee) e il coordinamento fra Stati membri nelle scelte di pianificazione, ristrutturazione e di bilancio.


Sviluppare capacità comuni riducendo allo stesso tempo la spesa complessiva per la Difesa sarà possibile, è inutile negarselo, solo se gli Stati membri rinunceranno a possedere in proprio, a titolo nazionale, alcune specifiche capacità militari (spesso ridondanti) per svilupparle invece con rilevanti economie di scala in una cornice europea. In altri termini: la scala europea impone la fine delle duplicazioni.


Tradotto in termini politico-istituzionali, questo significa che gli Stati Membri dovranno rinunciare al “simulacro” di sovranità statale che ancora esiste in questo settore per muoversi verso un’ Europa integrata anche in un settore così sensibile per la sovranità nazionale.


Si tratta di un cambio di paradigma radicale e delicato, ma inevitabile nel lungo periodo, se vogliamo sviluppare politiche e capacità di difesa all’altezza delle sfide del XXI secolo e del ruolo globale della UE in una fase in cui le risorse pubbliche sono destinate a diminuire.


Un cambio delicato ma possibile, se sapremo trarre tutte le lezioni dalla crisi finanziaria e sviluppare una visione strategica.


Come viene sottolineato nello studio IAI-CSF sui costi della non-Europa della difesa, solo una reale dimensione europea della difesa potrà garantire la sicurezza e gli interessi dell’Italia.


Esistono dubbi più che legittimi sulla fattibilità della Difesa europea, in una fase in cui la crisi economico-finanziaria mina alle radici la fiducia dei cittadini nella UE e spinge alcune capitali decisive per le questioni sicurezza/ddifesa, come la Gran Bretagna, a ipotizzare forme di disimpegno dall’Unione.


Vanno considerati, tuttavia, due punti importanti. Primo, la difesa comune è vista dalla maggioranza dei cittadini europei – lo indicano i sondaggi – come un vantaggio e non come un costo ulteriore. Secondo: anche se non tutti gli Stati membri saranno pronti a decisioni conseguenti, si potranno esplorare cooperazioni strutturate. E’ possibile, lo studio IAI lo sottolinea. E’ possibile anche se la mia convinzione in materia è che una difesa europea che funzioni debba includere sia la Francia che la Gran Bretagna. Faremo sforzi conseguenti in questa direzione.


L’Italia sta preparando il Consiglio Europeo di dicembre con la necessaria dose di ambizione politica, ma anche con realismo.


La storia dell’integrazione europea è sempre stata caratterizzata da una certa dose di flessibilità. Non solo: gruppi ristretti di Stati membri hanno spesso avviato progetti che hanno aperto la strada anche ai restanti Partner. Il mio messaggio oggi è: non escludiamo dall’inizio la possibilità che, in forme da definire, un gruppo di Stati membri possa decidere di avanzare nell’integrazione delle politiche di difesa e nello sviluppo di capacità militari comuni, restando nel quadro istituzionale della UE e mantenendo aperta la porta ai Partner che volessero entrare.


Se questa strada si aprirà percorriamola con convinzione e pragmatismo, in quello spirito europeista che ha sempre contraddistinto l’Italia.


Vi ringrazio per l’attenzione.