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Della Vedova: «Più investimenti e canali legali per gli ingressi» (Il Mattino)

La tragica deriva dell’immigrazione rischia di trasformare l’Europa in una fortezza blindata. L’allarme è di Benedetto Della Vedova, sottosegretario al ministero degli Affari esteri.

Un Paese che sgancia granate sui profughi in fuga dalla disperazione…

«Anche questa della Macedonia è l’ulteriore conferma del fatto che un’emergenza epocale con flussi di profughi in cerca di salvezza non può davvero essere gestita con slogan e soluzioni del tipo rimandiamoli tutti a casa subito perché qui non li vogliamo. O minacciando i governatori che accolgono immigrati nelle proprie regioni».

Allude alle recenti sortite di Salvini e company?

«Infatti. Esternazioni come le sue e di qualche altro governatore del Nord, quando l’Italia va a sedersi al tavolo comunitario per discutere di immigrazione non depongono certo bene. Sono scontri da campagna elettorale. Nient’altro».

A proposito, anche lei come molti ultimamente pensa che Bruxelles se ne stia un po’ troppo alla finestra lasciando i singoli Paesi a fare come gli pare con risultati che vanno dalle granate al filo spinato?

«Affatto. Non si può continuare a pensare che l’Unione Europea sia una sorta di agenzia estera che fa o non fa. L’Ue è composta dai governi dei singoli Stati che hanno il dovere di confrontarsi e scegliere insieme una strategia unitaria. Persino la Gran Bretagna da sempre la più isolazionista in tema di immigrati, ha capito che il fenomeno andava affrontato e si è giunti all’intesa di Calais».

Dopo questa ulteriore deriva sul confine greco crede che il trend migratorio crescerà ancora?

«È chiaro che non si fermerà. Potrà accadere che con l’arrivo dell’autunno gli sbarchi per le condizioni del mare subiscano una battuta d’arresto, ma visto che i flussi dei profughi sono adesso molto intensi anche via terra, è certo che continueranno a crescere. Insomma, il fenomeno aumenterà perché è la spinta a muoversi e fuggire dalla guerra e dalla povertà che è molto forte. Abbiamo centinaia di milioni di persone che non pensano ad altro. E dunque non si può davvero pensare di fronteggiare l’emergenza solo mettendo in salvo questo o quel barcone nel canale di Sicilia, interventi che naturalmente vanno fatti, ma occorre attrezzarsi per fronteggiare un’ondata sempre più forte».

In che modo?

«Mettendo a punto una strategia comune con più risorse da investire e più strumenti operativi da usare. È innegabile che il primo passo senza il quale non si può proseguire sia l’individuazione di canali legali di ingresso. Le decisioni vanno prese tra i singoli Stati membri dell’Ue che poi possono chiedere a Bruxelles di modificare questa o quella normativa».

Come ad esempio gli accordi di Dublino?

«Questo è sicuramente un punto importante perché se è vera la logica globale europea allora non si può far i conti con un teorema che dice ”ciascun Paese è sovrano a casa sua”. Il governo italiano sta facendo a tutti i livelli passi avanti verso la modifica di questo accordo, ma prima vanno create le condizioni necessarie. Il che vuol dire strumenti di cooperazione economica, politica e di sicurezza per arrivare ad uno screening sui richiedenti asilo prima ancora che partano. L’obiettivo finale deve essere quello di riuscire tutti insieme ad arginare i fattori di spinta degli immigrati: guerre, terrorismo, carestie, economia a picco creando un know how che gli dia autonomia nelle loro terre».

L’Italia, però, è la porta accanto di questi Paesi dilaniati dalle crisi…

«Sì ma diversamente da un po’ di anni fa quando il problema sembrava essere solo nostro e forse di Malta, adesso il fenomeno è europeo. Il rischio è che l’Europa si chiuda a riccio. Diventi una fortezza. E il rischio delle fortezze è di essere assediate. Ora il governo italiano sta affrontando il primo tassello dell’emergenza che è la questione libica. Ma è evidente che la strada da fare per quel che ci riguarda è ancora molto lunga e in salita. Bisogna lavorare ancora, impiegare risorse nuove e mezzi. In Italia abbiamo un problema di consenso e le cose vanno fatte bene con una adeguato livello di sicurezza. Quel che è certo però è che abbiamo davanti a noi una emergenza epocale che non può essere gestita a colpi dei assurdi slogan o di piattaforme dell’Eni».