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Della Vedova: «Libia, era difficile sostenere Prodi C’era già De Mistura per la Siria»

Sottosegretario Della Vedova, Romano Prodi dice che la sua possibile nomina a mediatore per la Libia non fu sostenuta da Matteo Renzi. Le risulta?

«Non mi risulta che il nome di Prodi, del quale pure si parlò, sia mai stato formalmente proposto al governo italiano. Mi pare comunque che per quanto riguarda la Libia la questione rilevante sia la nascita del nuovo governo di unità nazionale, l’avvio di un percorso istituzionale. E mi pare che finalmente il processo, pur tra mille difficoltà, si sia avviato».

In Libia molti non sono entusiasti: la strada per avere il via libera dei due parlamenti sembra tutta il salita…

«Era in buona parte prevedibile. L’accordo sul nuovo governo annunciato da Leon non è una acquisizione definitiva, ma un punto di partenza avanzato. Dobbiamo lavorare con molta attenzione e impegno nel prossime settimane per far sì che tutti gli attori in gioco scommettano sul successo».

La versione ufficiale della Farnesina sulla nomina dell’inviato in Libia è sempre stata: “Non si poteva fare un italiano perché c’è una regola non scritta che vieta a rappresentanti delle ex potenze coloniali di assumere ruoli di mediatore in quelle zone”. Prodi dice che quella regola “non esiste”.

«Non credo che per un uomo come Romano Prodi, che ha avuto e ha un ruolo politico così importante, una polemica di questo tipo abbia un senso. Guardiamo agli interessi nazionali e agli interessi dell’intera comunità internazionale. E l’interesse di tutti è la stabilizzazione della Libia. Ergo, credo che dobbiamo lavorare tutti per supportare la mediazione Leon. E poi, nel valutare se quel ruolo da mediatore poteva finire a noi, ricordiamoci che non c’è solo la Libia. Pochi mesi prima della nomina dell’inviato speciale per la Libia, c’era stata quella dell’inviato speciale per la Siria. Ed era stato nominato un italiano, Staffan De Mistura, che è stato anche membro del governo italiano. E anche questo conta, ovviamente…».

La risoluzione del Consiglio di sicurezza sulla Libia che limita l’azione antiscafisti alle acque internazionali significa rinunciare a estenderla alle acque nazionali libiche e alle conte?

«Qualsiasi upgrade delle operazioni necessita di un interlocutore statuale libico che sia affidabile e in grado di operare sull’intero territorio. Premesso questo, la risoluzione del Consiglio di sicurezza è un primo passo che consente di operare in mare aperto. Non vedo perché non potrà essere affiancata da una nuova risoluzione che, una volta che ci sarà un governo di coalizione in Libia, allarghi ii mandato, d’intesa con quell’esecutivo».

Una missione in Libia a guida italiana significherebbe evitare di cambiare le regole d’ingaggio in Iraq e quindi non mandare i nostri Tornado a bombardare?

«I due temi non sono in contrapposizione, né in alternativa. Certo, in Iraq siamo uno degli attori, mentre in Libia siamo, per ragioni geopolitiche, l’attore principale. In ogni caso l’uso diverso del dispositivo militare in Iraq in funzione anti Daesh (l’Isis, ndr)  è uno dei temi, ma non il principale: la priorità va data al negoziato per metter fine alla guerra in Siria. Perché solo se finisce la guerra in Siria l’obiettivo della sconfitta dello Stato islamico può farsi davvero concreto».