Un risultato totalmente insoddisfacente, che fa calare un velo di tristezza su ciò che era stato faticosamente raggiunto. Peraltro tutti i sondaggi davano in vantaggio il sì, ennesima dimostrazione di quanto poco ci si possa fidare di queste rilevazioni». Netto il giudizio del viceministro degli Esteri Mario Giro, che ha rappresentato il governo italiano alla firma degli accordi di pace in Colombia.
Nessuno poteva aspettarsi il no?
Innanzitutto bisogna considerare che l’astensione al 60 per cento si è tradotta in una battaglia all’ultimo voto, di per sé molto complicata. Inoltre bisognerebbe chiedersi se sia stata una buona idea indire un referendum sulla pace: io credo che su un tema cosi importante e delicato avrebbe dovuto esprimersi una leadership politica, che non fosse intaccata dalle emozioni del momento. Tra l’altro va notato che nelle zone più colpite dalle violenze ha prevalso il si in larga misura, mentre sono state le altre a far vincere il no.
Ora quali conseguenze?
Gli accordi di pace restano in vigore, il presidente Santos ha già detto che rinegoziare è impossibile. Bisognerà però vedere come reagiranno i diversi fronti delle Farc. Certo dispiace per il coraggio politico dei protagonisti delle trattative.
Perché un’astensione così alta?
In troppi non hanno votato perché confusi e perché la società è sempre più polarizzata. Cosi si è lasciato spazio a una parte della popolazione che ha votato con rabbia.
Forse non sono piaciute le concessioni alle Farc?
Sicuramente i punti più complicati degli accordi avevano riguardato la giustizia e la rappresentanza politica degli ex guerriglieri.
La pace è davvero a rischio?
Quanto è successo ci deve comunque preoccupare: c’è una minoranza agguerrita che rischia di destabilizzare l’intero processo. Dobbiamo fare tutto il possibile perché ciò non avvenga: l’Unione Europea non stia a guardare e appoggi finanziariamente la ricostruzione.