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Intervento del sottosegretario Mario Giro in occasione degli Stati Generali della Lingua Italiana nel Mondo

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Cari amici,


Ricordatevi tre semplici cifre: 4,5 milioni, 80 milioni, 250 milioni. Sono questi i numeri dell’Italia nel mondo. E dell’italiano.


Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto recentemente che “c’è grande voglia di Italia nel mondo”. E’ così, molto di più di quanto pensiamo. Sono 4,5 milioni gli italiani all’estero, 80 milioni gli italo-discendenti, 250 quelli che Piero Bassetti chiama gli italici, cioè coloro che anche se non in senso etnico o nazionale, si riconoscono nella nostra cultura e lingua, la “sentono”.


Noi siamo uno stato giovane ma un popolo antico che nel mondo ha attraversato le frontiere e si è integrato ovunque senza mai perdere la sua identità. Ciò si deve al fatto di aver vissuto l’identità come un processo e non come un dato fisso. Nel Quattrocento fiorentino c’era un proverbio: “passeri e fiorentini son per tutto il mondo”. La nostra diaspora è la seconda al mondo, la nostra lingua la quarta-quinta insegnata. C’è tanta Italia e simpatia per l’Italia: di questo possiamo essere fieri. E’ una storia antica e recente assieme, dobbiamo guardarla con una visione dinamica, come per la nostra lingua. La stessa grande emigrazione di fine 800 inizio 900, è stata un enorme successo: integrazione e legame assieme, senza creare fratture, malgrado le sofferenze. Così può essere anche per i nostri immigrati. La lingua italiana ci insegna una nuova geografia del mondo, importante oggi tempo in cui domina la geopolitica e tutti cercano nuove frontiere di identità. In un mondo di guerre, la frontiera della lingua italiana è pacifica e trasversale.


Lingua e culture possono separare i popoli, se considerate espressioni di identità contrapposte, aggressive o chiuse. Diventano strumenti di disprezzo e rifiuto dell’altro che genera conflitti, “identità assassine” dice Maalouf. E’ impresa pericolosa cercare la purezza nella cultura: porta ad identità ingessate, costruite sulla paura. Ma noi sappiamo che “le culture non si s’incontrano né si scontrano… sono gli uomini a farlo”. Se li possono dividere, le lingue possono anche unire popoli diversi, fare da ponte, essere elementi di conoscenza, dialogo e una scommessa di pace. Dobbiamo riconoscere perciò alla nostra lingua il suo vero statuto: strumento comunicativo nel senso di bene culturale (immateriale), parte fondante della nostra identità e strumento per conoscere la realtà, per analizzarla con uno sguardo particolare.


Tale è la prospettiva di questi due giorni: dare un impulso alla promozione della nostra lingua, consci che mai essa si è tradotta in politica di potenza né di ingerenza politica. La nostra lingua è stata un modo di restare uniti ai tanti italiani nel mondo, quasi una nostalgia, ma anche cultura, simbolo di creatività e qualità, di un particolare modo di fare impresa (made in Italy ma anche made by italians). Si tratta di un tesoro di reale influenza e di reputazione. La nostra lingua, come tutte, è un bene dell’umanità: non appartiene solo all’Italia ma vive ed abita in tutti coloro che la parlano.


Nel Rinascimento e fino al 600, l’italiano era una koinè nel Mediterraneo e oltre. Lo è sempre in alcune (grandi) nicchie che vanno continuamente valorizzate. Ma occorre andar oltre. Oggi c’è di nuovo una domanda crescente di insegnamento della lingua italiana così come di diffusione della nostra cultura. Abbiamo avviato dunque (e ringrazio MAE e Mibact e Miur e tutti del loro contributo) un programma di ridefinizione e rafforzamento degli strumenti di promozione della lingua italiana di cui sentirete i dettagli. Solo l’analisi di dati certi è stata per noi una sorpresa.


Un fatto certo è che la nostra lingua si afferma senza che la si imponga. L’italiano è in genere la lingua della scelta, del cuore, o la “lingua sposa” come direbbe ancora Maalouf. Non sto dicendo che non si debba insegnare l’italiano, anzi: si ottiene molto di più riuscendo a dimostrare che l’italiano (ma direi l’Italia stessa) possiede una potenzialità espressiva, una forza interna legata alla storia e alla cultura. Tra le lingue romanze è chiamata lingua del SI, accanto alla lingua d’oc e d’oil. Ecco: ci deve essere un SI, ci unisce questo SI. Basta con i NO pessimisti e rassegnati: noi siamo quelli della lingua del SI!


Nel mercato delle lingue il nostro errore è quello di pensare di avere una lingua debole. Non è così. C’è molta richiesta che dobbiamo accompagnare. Dobbiamo rendere consapevoli gli italiani della ricchezza della loro lingua. Tanti sono gli esempi a provare tale intrinseca forza. Alcuni ve li mostreremo e racconteremo: sono tutti segni dell’internazionalizzazione del paese.


Aggiungo: non farei una battaglia di retroguardia contro il world english. E’ necessario impararlo. Tuttavia sovrastimiamo in modo insensato il potere degli strumenti della comunicazione, in particolare quello di una lingua veicolare comune. Anche se parlassimo domani tutti inglese, non avremmo fatto un passo verso l’ unità. Lo strumento di una lingua internazionale non produce di per se stesso vera intesa. Serve molto di più. A riguardo della lingua occorre piuttosto un’alleanza con altre lingue (non solo le più diffuse) e culture, perché l’italiano diventi ovunque lingua curriculare, com’è accaduto proprio recentemente in Russia negli esami di maturità, com’è in Quebec ecc.


Non propongo quindi un ghetto linguistico in nome di una gracile identità chiusa, ma uno strumento aperto di comunicazione plurale. Tale è il nostro obiettivo perché è così che l’italiano viene percepito: una lingua scelta. La nostra lingua trasporta qualcosa di bello e di buono, un di più che viene dalle profondità della storia e che ci è stato donato. Non abbiamo meriti: vi sono momenti bui nella nostra storia, impazzimenti, indurimenti sempre in agguato. Tuttavia gli altri ci riconoscono qualcosa. Tutti sappiamo, ad es., che l’Italia è bella e gli stranieri –giustamente- si sorprendono che noi viviamo in un così bel paese senza nemmeno accorgercene. In un certo senso è vero; in un altro no, nel senso che ci viene riconosciuta una certa capacità di vivere-nello-sguardo. Vivere nello sguardo: ecco cosa ci distingue… la “lingua sposa” è figlia di quello sguardo, cuore e sguardo sono uniti. E’ quella italsimpatia di cui ha scritto Andrea Riccardi: un’identità italiana non minacciosa, senza pretese egemoniche, estetica, affettiva, intuitiva, universalista. In una parola: umana.


Se la presenza della lingua italiana all’estero in questi anni di ripiegamento introverso del nostro Paese ha resistito, è anche grazie all’impegno delle imprese e dei nostri italo-discendenti e degli enti locali. Per questo ci siamo raccolti qui con gli Stati Generali della lingua italiana: per dare e darci consapevolezza di questo strumento. Credo che questa occasione possa generare uno slancio di iniziative e idee che diano energia a tutto il sistema della promozione linguistica. Il sottotitolo dell’evento è “l’Italiano nel mondo che cambia”: la nostra lingua come una “destinazione futuro”.


Ci proponiamo di ottenere un impatto sull’opinione pubblica E sulla politica che possa sostenere il lavoro di operatori e esperti. Vorrei creare una constituency (e uso appositamente un termine inglese) per l’italiano. Chiedo il vostro contributo per aiutare a creare una mobilitazione dell’italofonia e italofilia a livello mondiale. Il nostro impegno non si conclude qui ma prosegue. L’idea delle due giornate fiorentine è dimostrare che la lingua è frutto di una storia di pluralismo ed ibridazione che la rende ricca, come la nostra cultura. E’ un patrimonio che può generare molte opportunità per il futuro: la lingua come fattore di crescita economica, pensate alle imprese (ringrazio gli sponsor) che sono Italia nel mondo, al turismo, a quante opportunità per i giovani.


Auspico che il movimento d’idee e proposte che avete contribuito a creare, sintetizzato provvisoriamente nel “libro bianco sulla lingua italiana nel mondo” (e ringrazio tutti quelli che vi hanno lavorato), possa provocare un soprassalto di coscienza nel paese e un movimento culturale diffuso che veda e faccia dell’Italiano una delle lingue protagoniste della globalizzazione, una lingua che ha già dato prova di saper superare le frontiere senza impaurire nessuno, senza escludere né dividere. Una lingua fortemente connessa con l’umanesimo italiano, quello della “grande bellezza”, del bello, del buono e del creativo, del dialogo, del pluralismo, dell’appartenenza culturale più che etnica, dell’universalismo e della pace.


Vi ringrazio