Gli investimenti esteri, nell’economia globalizzata, rivestono un ruolo essenziale per la crescita economica ed occupazionale di un Paese, contribuendo allo sviluppo dell’innovazione nei processi industriali e nei servizi. Essi, inoltre, apportano un significativo beneficio in termini di incremento della produttivita’, del valore aggiunto e delle perfomance delle imprese. Un’economia moderna deve aprirsi ai capitali stranieri per essere parte delle “global value chains“: gli investimenti esteri apportano capitali preziosi anche a quelle imprese le cui ridotte dimensioni non consentono di essere competitive sui mercati internazionali e introducono metodologie di lavoro innovative, nonché maggiore familiarità con mercati lontani, altrimenti difficilmente penetrabili.
Gli IDE permettono al Paese destinatario di specializzarsi ulteriormente nei settori in cui ha un vantaggio competitivo. Gli investimenti esteri costituiscono quindi un’opportunità di industrializzazione e crescita economica, sia per il Paese investitore sia per quello destinatario (secondo una logica di win-win solution).
Gli investimenti esteri appaiono indispensabili in un sistema produttivo come quello italiano, in gran parte basato su piccole e medie imprese (PMI), quando i tradizionali canali di finanziamento (bancario e da fonti interne) si rivelano insufficienti. La maggior parte delle imprese italiane che hanno superato il lungo periodo di crisi economica dei recenti anni vi è riuscita grazie alla capacità di innovare e di internazionalizzarsi, anche con una maggiore apertura agli investimenti esteri. Attrarre investimenti diretti, infatti, significa aumentare i flussi di capitali nel sistema produttivo italiano, caratterizzato da un’alta propensione all’innovazione tecnologica e da un know-how particolarmente avanzato, accrescendone i livelli occupazionali e gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Nella maggior parte dei casi, l’interesse degli investitori è di lasciare la produzione e soprattutto le fasi di ricerca e sviluppo in Italia, beneficiando della complementarietà tra la propensione all’innovazione e l’eccellenza tecnologica delle imprese italiane e la capacità operativa che i potenziali partner garantiscono.
Il rapporto di Confindustria / ABIE (Advisory Board Investitori Esteri), “Grandi Imprese Estere in Italia”, suddiviso in tre volumi, ha fatto emergere che ogni euro investito dalle multinazionali estere determina 3,3 euro di crescita complessiva nella produzione industriale e 5 posti di lavoro per ogni posto di lavoro creato dalle imprese estere in Italia.
Il nostro Paese è oggi uno dei primi 20 Paesi al mondo per stock di capitali esteri. Il peso sul PIL ha oscillato fra il 20% e il 25% del PIL, non distante da quanto fatto registrare dalla Germania nel 2018 (23%) ma significativamente inferiore alla Francia (30%) e soprattutto alla Spagna (46%).
Dietro questi numeri ci sono oltre 15mila imprese partecipate da gruppi esteri attive in Italia, un fatturato di circa 600 miliardi di euro e quasi 1 milione e mezzo di addetti. Un patrimonio produttivo che esprime il 18,6% del fatturato nazionale e il 23,6% della spesa italiana in R&S con un ruolo primario della meccanica (oltre 100mila gli addetti del settore occupati da aziende multinazionali) e di altri comparti a media-alta tecnologia.