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Discorso dell’On. Ministro all’evento “The State of the Union” organizzato dall’Istituto Universitario Europeo

Firenze, 5 maggio 2017

(Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)

 

Rivolgo un caloroso saluto al Presidente Tajani e al Presidente Juncker. Vorrei anche ringraziare il Sindaco Nardella per l’ospitalità. [Abbiamo inoltre il piacere di avere qui con noi la Signora Maria Romana De Gasperi].

Un fortissimo ringraziamento va al Presidente Dehousse e  all’Istituto Universitario Europeo per aver organizzato lo “State of the Union 2017” in questa splendida cornice di Palazzo Vecchio.

Dopo aver irradiato il mondo con l’Umanesimo e il Rinascimento, Firenze è tornata ad essere in questi anni fucina di idee innovative nel dibattitto europeo. Grazie all’Istituto Universitario Europeo, questa città contribuisce con una brillante produzione intellettuale al pensiero europeista.

L’Istituto Universitario Europeo è come una moderna Corte dei Medici, che forma i migliori giovani talenti. Li orienta al pensiero critico, li stimola a porre il cittadino europeo al centro della riflessione europeista.

Come il Rinascimento mise l’uomo e le sue esigenze al centro della creazione artistica, scientifica e filosofica, così abbiamo urgente bisogno – oggi – di mettere il cittadino europeo al primo posto dell’agenda dell’Unione Europea.  

Duemila anni fa, il più grande motivo di orgoglio era dire: “Civis Romanus sum”  ovvero  “Sono cittadino romano”, per far valere i diritti che erano connessi alla cittadinanza romana.

In un’Europa divisa dalla guerra fredda, il Presidente Kennedy,  nel suo celebre discorso a Berlino Ovest nel giugno 1963, rievocò questa celebre frase romana per affermare che nel mondo libero l’orgoglio più grande era dire: “Ich bin ein Berliner” ovvero “Io sono berlinese”.

Oggi, in un’Europa unita, che ci ha garantito pace e libertà per oltre 60 anni, l’orgoglio è dire: “Civis Europaeus Sum” ovvero “Sono cittadino dell’Unione Europea”.  

In queste parole, tema centrale dello “State of the Union 2017”, è espressa una delle più grandi conquiste della nostra generazione!

Ma sarebbe un grave errore considerare queste conquiste come irreversibili.

Come la civiltà e i diritti dell’Impero Romano regredirono con l’avvento dei Barbari, oggi dobbiamo assolutamente evitare che i diritti connessi con la cittadinanza europea possano subire una regressione, a causa dell’ascesa al potere di movimenti populisti e nazionalisti.

Sono convinto che per evitare questa pericolosa regressione, occorra innanzitutto porre fine alle crisi nel Mediterraneo.

Fin dall’inizio del mio mandato alla Farnesina, mi sono impegnato a rimettere il Mediterraneo sulla mappa della politica estera europea.

E l’ho fatto certamente per ragioni di sicurezza e prosperità. Ma anche perché l’instabilità nel Mediterraneo è come un “vento caldo di scirocco” che soffia sul “fuoco dei populisti e demagoghi”.

Se vogliamo evitare che l’incendio populista si diffonda e bruci i cardini delle nostre democrazie, l’Europa deve contribuire a risolvere le crisi in Nord Africa.

L’Europa deve agire per spegnere questi pericolosi incendi che alcuni politici europei – sia chiaro – hanno contribuito irresponsabilmente ad appiccare.

Porre fine all’instabilità del Nord Africa è quindi una necessità vitale per la tenuta del progetto europeo. Perché sono convinto che il destino dell’Europa sia profondamente legato a quello del Mediterraneo!

Giorgio La Pira, un grande Sindaco di Firenze, diceva: “Il Mediterraneo è come la prosecuzione del Lago Tiberiade: un mare piccolo, un lago, dove ancora una volta giochiamo i destini del mondo, i destini di pace, di sicurezza e di libertà”.

Se vogliamo conferire razionalità e serietà al dibattito politico dei nostri Paesi e neutralizzare gli argomenti demagogici di tanti movimenti populisti, occorre inoltre contenere il flusso migratorio che attraversa la rotta del Mediterraneo Centrale.

La crisi migratoria prolifera soprattutto a causa della perdurante instabilità della Libia. Ma il fenomeno migratorio è sia il sintomo dell’instabilità in Africa, sia la causa della propagazione dei movimenti populisti in Europa. 

E allora è giunto il momento di affrontare la questione con una visione di lungo termine e di condivisione delle responsabilità: perché essa rimarrà nell’agenda europea per anni e non può essere affrontata in via emergenziale da uno o due Paesi in solitudine.

D’altra parte, non è possibile dire che con l’Accordo con la Turchia si sia risolto il problema, trascurando il fatto che la rotta del Mediterraneo Centrale continua ad essere sfruttata da trafficanti senza scrupoli che hanno fatto sbarcare in Italia, negli ultimi tre anni, più di 500.000 persone.

Il tema della sicurezza sta a cuore del cittadino europeo. Per questo, oltre a gestire i confini dell’Europa, bisogna avere anche le capacità per difenderli.

La Difesa Comune non è soltanto un modo per rilanciare l’integrazione europea, ma una risposta molto concreta alla domanda di sicurezza dei nostri cittadini.

Con questa forte consapevolezza, la Dichiarazione di Roma del 25 marzo, sottoscritta in occasione del 60mo anniversario dei Trattati di Roma, ha indicato la necessità di un’Europa più forte ed in grado di rafforzare le proprie capacità di sicurezza e di difesa.

Gestire e difendere in maniera efficace i nostri confini significa anche proteggere lo spazio di diritti che abbiamo costruito sul continente negli ultimi sessant’anni.

È essenziale dare ulteriore slancio al tema della Difesa Comune prima del Consiglio europeo di giugno. Per offrire alla cittadinanza europeo un progetto tangibile. Finora il dibattitto è stato tecnocratico. Dobbiamo renderlo politico, facendo appassionare i cittadini a un tema così cruciale per il nostro futuro!

Il cittadino ci chiede, oltre alla sicurezza, anche la stabilità economica.

Da esponente della famiglia popolare europea, sono un convinto europeista e ho sempre difeso l’Euro! Perché non dobbiamo mai dimenticare che l’Euro ha garantito il valore delle case, dei risparmi e delle pensioni dei nostri cittadini. Se l’Euro si frantumasse, ci sarebbe il serio rischio di un dimezzamento del loro valore e della ricchezza degli italiani.

L’Euro ci ha difeso da una crisi economica che poteva essere ancora più profonda  e ci offre tassi di interesse bassissimi che ci consentono di pagare i mutui e di finanziare la crescita. In passato con la “Lira” i tassi di interesse toccarono il 20%.

Ma allo stesso tempo – con oltre 15 milioni di disoccupati nell’Eurozona – l’Euro non fornisce oggi risposte adeguate.

Serve più Europa sociale, attenta ai più deboli, al ceto medio, ai giovani e alle loro prospettive di lavoro. Un’Europa più attenta ai bisogni dei cittadini. Più vitale e calorosa. Meno fredda e indifferente alle richieste delle persone. Solo così si rafforzerà la legittimità democratica delle Istituzioni UE. 

Finora è prevalsa una certa tendenza – sbagliata – ad affrontare i problemi sociali unicamente con la lente economica, in parte per colpa delle debolezze della politica.

Prendo ad esempio la fuga di tanti giovani dal Sud al Nord dell’Europa.  E’ una dinamica grave. Ma che troppo spesso è stata esaminata con una chiave di lettura tecnico-economica, ignorando le profonde cause politiche.

E’ un problema che è stato aggravato da eccessivi e persistenti squilibri economici dell’Eurozona. Se rimaniamo intrappolati in una logica tecnico-economica rischiamo soltanto di avvitarci su noi stessi, perché: in teoria, quando una delle nostre economie diventa una locomotiva, anziché correre da sola dovrebbe trainare i restanti vagoni; nella realtà, le locomotive europee vanno in solitario.

Mi spiego meglio: Paesi con saldi attivi perenni delle partite correnti bruciano la ricchezza dei Paesi in deficit. Perché chi è stato in deficit –  anziché essere trainato – ha dovuto recuperare competitività di prezzo e ridimensionare standard di vita, generando deflazione e riduzione della domanda, che non sono state compensate da politiche espansive nei Paesi in surplus commerciale.

Questi squilibri, all’interno dell’Eurozona, hanno prodotto un impatto devastante sulle vite e sulle aspettative di tanti giovani italiani ed europei.

Come possiamo dire a questi giovani cittadini di credere nell’Europa, quando sono stati le prime vittime? Quando hanno dovuto rinunciare ai loro progetti e ai loro sogni?

Non sono domande retoriche. Dalle risposte a queste domande dipende il futuro dell’Europa.

Ma sarebbe illusorio rifugiarsi dietro modelli econometrici e spiegazioni tecnocratiche per dire a milioni di giovani cittadini europei che la loro disoccupazione, la necessità di emigrare per trovare lavoro, è mera conseguenza di un riequilibrio inerente ad una “area monetaria ottimale”.

Il problema è politico e necessita di soluzioni politiche. Non “rattoppi” tecnici. E, in primis, se ne devono fare a carico i Governi dei Paesi che più di tutti hanno a cuore la tenuta dell’Unione Europea, insieme alle Istituzioni di Bruxelles.

E’ il momento di rispondere con slancio europeistico, ma non con un approccio fideistico, né tecnocratico.

Con la Dichiarazione di Roma del 25 marzo scorso abbiamo voluto trasmettere ai nostri cittadini un forte messaggio di fiducia nel futuro dell’UE.

Ma non esistono formule magiche o modelli predefiniti. In gioco c’è sempre  – quotidianamente  – la  volontà politica di sostenere il progetto di integrazione come riposta concreta alle sfide del nostro tempo.

All’inizio degli anni 50 De Gasperi ci aveva in qualche modo avvertiti, dicendo: se costruiremo soltanto amministrazioni comuni senza una volontà politica superiore rischieremo che l’attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale, senza calore e senza vita ideale … una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva.

La sfida è profondamente politica. Dipende dalla nostra capacità di visione, dal nostro livello di ambizione, dalla nostra volontà di conferire vitalità e calore al progetto europeo.   

Quindi, non dobbiamo avere paura di intraprendere la via dell’integrazione differenziata.

Per andare avanti è importante trovare un livello di “ambizione compatibile” fra i Paesi più ambiziosi e fare “massa critica”. Senza aspettare l’ambizione del meno ambizioso. Senza attendere che l’ambizione del meno ambizioso maturi in più grande ambizione.

E senza mai dimenticare: che i cittadini europei devono sempre rimanere al centro dello straordinario progetto comune europeo.

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