Questo sito utilizza cookies tecnici (necessari) e analitici.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookies.

Discorso dell’On. Ministro presso l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro sul tema “Diritti Umani e Crisi della Tolleranza”

Catanzaro, 16 giugno 2017

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)

 

Chiarissimo Rettore, Cari Studenti, Signore e Signori,

E’ per me un grandissimo piacere visitare l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.

Dire “Magna Graecia” evoca l’eccezionale influenza di queste terre, un tempo legate ad Atene, sul pensiero e sulla civiltà occidentali, fondati sul dialogo, sulla democrazia, sul primato dei diritti rispetto alla violenza dell’intolleranza.

Zaleuco di Locri è considerato il primo legislatore del mondo occidentale. Si dice che le norme da lui scritte per i Locresi furono le prime leggi scritte della Grecia. Un codice di leggi e di pene, che era conosciuto nel mondo antico anche e soprattutto dai Romani.

Poi toccò ai Romani compiere passi in avanti sul piano dei diritti e un giorno divenne grande motivo di orgoglio dire “Civis Romanus sum” ovvero  “Sono cittadino romano”, per far valere i diritti che erano connessi alla cittadinanza romana. Quelle norme – di “diritto romano” – che sono la radice del nostro diritto moderno.

Con ogni passaggio di civiltà, l’umanità ha preso coscienza di quello che la generazione poco prima della nostra – quella che ha vissuto l’orrore della guerra – ha scritto nell’art. 1 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo: “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

E’ la stessa generazione verso la quale saremo sempre in debito per aver ideato e realizzato il più bel progetto istituzionale di pace e di prosperità al mondo: l’Unione Europea.

E’ davvero straordinario ricordare che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, cuore del progetto Europeo, fu scritta soltanto tre anni dopo le barbarie della guerra, in un clima di distruzione e di povertà totale. La sua forza sta nella grande convergenza di tradizioni religiose e culturali distinte, ma tutte motivate dal comune desiderio di porre la dignità della persona umana al di sopra di ogni cosa.

Perché i diritti umani sono diritti che si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona. Sono diritti “basati sulla legge naturale ed universale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà” ha scritto Papa Benedetto.  

Da Ministro degli Esteri posso dire: che i diritti umani sono per noi quei diritti iscritti nel “patrimonio genetico” della politica estera italiana, delle nostre istituzioni, della società civile, del mondo produttivo e del nostro universo culturale.

La tutela e la promozione dei diritti umani è una componente essenziale ed irrinunciabile della politica estera, che trova forza nell’art. 11 della Costituzione, con cui si stabilise il fine ultimo della proiezione esterna dell’Italia: “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”.

La pace e il pieno rispetto dei diritti umani sono strettamente correlati. Ho ricordato questo concetto nel mio primo intervento al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, lo scorso gennaio, appoggiando la “Sustaining Peace Agenda”. Perché crea un collegamento tra la tutela dei diritti umani, la sicurezza e lo sviluppo sostenibile.

In tutti i contesti multilaterali – dall’ONU all’UE, dall’OSCE al Consiglio d’Europa – l’Italia incoraggia un approccio dialogante, trasparente, inclusivo, senza mai un filo di condiscendenza. La nostra credibilità e coerenza derivano dal pieno adeguamento dell’ordinamento interno agli impegni assunti sul piano internazionale. Quindi, chi vuole essere ascoltato deve mettere in pratica i valori che proclama.

Un caso emblematico è l’abolizione della pena di morte. Era il 1786 quando in Italia, per la prima volta al mondo, il Granducato di Toscana cancellò completamente dal suo ordinamento la pena di morte. E’ un momento della nostra storia che dimostra come nella società italiana sia profondamente radicato un umanesimo genuino, liberale e solidale.

Tutt’oggi, l’abolizione della pena di morte è una battaglia che caratterizza la diplomazia italiana, alla pari di altre sfide importanti come: i diritti delle donne e delle bambine, in particolare le campagne contro le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati; i diritti dei bambini in situazioni di conflitto; i diritti delle persone con disabilità; la libertà di religione e di credo; e i diritti delle minoranze religiose.

Ho citato alcuni diritti umani su cui la diplomazia italiana ha dedicato molte energie, ma attenzione a fare una classifica di diritti umani “di serie A” o “di serie B”. Non bisogna mai cadere in questo errore!

Purtroppo, è un equivoco piuttosto diffuso. Ma seguire delle priorità non significa stabilire una gerarchia di valori. I diritti umani hanno una natura intrinsecamente universale e quindi costituiscono un corpus unitario, inderogabile e indivisibile. Per esempio: la libertà di religione non può essere disgiunta dal diritto alla libertà di espressione e di riunione.

Dall’interdipendenza tra i diritti umani consegue la necessità di una strategia condivisa tra vari attori che sono interessati a difenderli e a promuoverli.

A livello nazionale, significa incoraggiare un intenso dialogo che tenga conto di tutti i punti di vista. Ricordo qui il grandissimo impegno del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani, incardinato alla Farnesina, che nel suo costante lavoro con la società civile ha prodotto recentemente:

-Il Primo Piano d’Azione italiano su Imprese e Diritti Umani.

-Il Terzo Piano d’Azione italiano su Donne, Pace e Sicurezza.

I diritti umani vanno difesi ogni giorno e con queste due nuove strategie, ampiamente condivise, la diplomazia italiana ha due  strumenti in più per avere successo.

Difendere, tutelare e promuovere i diritti umani è nel nostro interesse di sicurezza. Fateci caso: laddove i diritti fondamentali sono violati in maniera macroscopica, proprio lì scoppiano i conflitti e i focolai di crisi che minacciano la nostra sicurezza. 

Oggi, nel Mediterraneo, quasi tutte le crisi che viviamo hanno radice nell’intolleranza e nell’estremismo, che strumentalizzano quelle differenze etniche, culturali e religiose, che invece hanno garantito prosperità – per millenni – in questo straordinario mare. 

C’è il terrorismo, che sfrutta la religione per fomentare l’odio e alimentare l’instabilità. Come ricordo sempre agli amici mussulmani: l’obiettivo dei jihadisti non è solo quello di dividere Occidente e Islam, ma anche di seminare discordia all’interno della comunità islamica. I mussulmani sono le prime vittime del terrorismo.

La contrapposizione non è tra cristiani e mussulmani, o tra laici e religiosi, ma tra persone di pace e fanatici intolleranti.

In vari Paesi – del mondo mussulmano come di quello cristiano – è in gioco la scelta tra una visione della società aperta che rispetta le minoranze e le categorie più vulnerabili e un’altra chiusa, integralista e oppressiva, centrata sul dominio egemonico delle maggioranze e sul rifiuto dell’eterogeneità.

La sfida è separare chi prega da chi spara. Dobbiamo estirpare le radici da cui trae alimento la furia distruttiva di chi, lungi dal professare una fede, intende piuttosto prendere in ostaggio una religione.

Dobbiamo focalizzarci ancora di più sui giovani. La scuola, le associazioni, i leader religiosi di ogni fede, noi tutti, dobbiamo fare di più per prevenire la radicalizzazione, l’intolleranza e la violenza. In tutti i luoghi dove si forma la gioventù va diffuso un messaggio compatibile con il carattere pluralista e democratico della contemporaneità.

L’educazione ai diritti umani, in particolare, è uno strumento di importanza fondamentale affinché ogni individuo acquisisca consapevolezza dei propri diritti, dai primi anni della scuola al liceo.

C’è poi la grande sfida dei flussi migratori, che è ancora un cantiere aperto dei diritti umani e che sarà sempre più sotto il “radar” delle Nazione Unite, fra quest’anno e il prossimo, con il negoziato e la definizione dei Compact ONU sui rifugiati e sui migranti.

L’Italia può dire la sua, perché abbiamo sempre perseguito un approccio che ha armonizzato solidarietà e sicurezza. “Solidarietà” perché abbiamo salvato e continueremo a salvare vite nel Mediterraneo. “Sicurezza” perché non abbiamo mai abbassato la guardia nell’identificare ed annientare estremisti e trafficanti di esseri umani.

La questione va sempre affrontata con una visione di lungo termine e di condivisione delle responsabilità: perché essa rimarrà nell’agenda europea per anni e non può essere affrontata in via emergenziale da uno o due Paesi in solitudine.

L’attuale carico di ogni responsabilità sulle spalle di un solo Paese guardiano della frontiera esterna non solo è politicamente ingiusto, ma è anche giuridicamente controverso, come sta emergendo in diverse cause di fronte alla Corte di Giustizia UE.

E non rimaniamo a guardare. Nel frattempo ho convocato a Roma, il 6 luglio, una Riunione ministeriale con i Paesi di transito della crisi migratoria. Ci saranno tutti i principali Paesi africani interessati, i Paesi europei e le Organizzazioni internazionali specializzate.

Vogliamo affrontare la questione con quello spirito di cooperazione e responsabilità condivisa che è alla radice del multilateralismo. Chiederemo a Paesi come il Niger e la Libia di fare di più, ma incoraggeremo tutti anche a sostenere organizzazioni come UNHCR e OIM per difendere diritti e dignità dei migranti che si trovano nei campi di accoglienza africani in condizioni drammatiche.

Questa nostra azione di contenimento dei flussi, pur nella salvaguardia dei diritti, è anche essenziale per contrastare la principale minaccia per la tenuta delle nostre istituzioni democratiche e della stessa Unione Europea: la retorica dei populisti e nazionalisti che diffonde un clima di paura fra la gente.

Quando la paura si diffonde, la storia ci insegna che la ruota del fanatismo può riprendere a girare. Non possiamo stare a guardarla da lontano. Per fermarla, dobbiamo prendere posizione e intraprendere azioni coraggiose.

Oggi, con i nazionalisti e populisti condividiamo la stessa democrazia, la stessa arena politica, ma non gli stessi valori ed obiettivi. Viviamo sotto lo stesso cielo, ma non vediamo lo stesso orizzonte.

I fattori di rischio esistono eccome: negli ultimi anni, abbiamo visto crescere in Europa e in Italia razzismo, xenofobia, discriminazioni ed antisemitismo.

Non è per caso che l’anno scorso in Parlamento abbiamo approvato la Legge sul negazionismo, stabilendo una pena fino a sei anni di prigione per la negazione dell’Olocausto. Inoltre, la Legge sanziona tutte le forme di istigazione basate sulla discriminazione religiosa, etnica o razziale.

A proposito di discriminazioni, vorrei concludere con un pensiero su Costantino Mortati, nato in questa regione, a Corigliano Calabro, membro dell’Assemblea costituente, professore di diritto costituzionale e giudice della Corte Costituzionale.

A questo grande calabrese si devono molti principi e norme fondamentali delle nostra Costituzione, ma mi piace ricordarlo come “il giurista dalla parte dei diritti delle donne”.

Alla fine degli anni ‘50, nonostante la parità di genere fosse sancita dalla Costituzione, molte donne italiane restavano escluse dalle carriere pubbliche e dai vertici della pubblica amministrazione, a causa di vecchie leggi ancora in vigore.

Rosa Oliva, una giovane laureata in Scienze Politiche, con l’aiuto del Professore Mortati, divenuto suo avvocato difensore, portò il caso alla Corte Costituzionale che nel maggio 1960 dichiarò illegittime quelle leggi.

Fu un passo fondamentale della storia del nostro Paese e per realizzarlo non servirono grandi manifestazioni o battaglie, ma solo coraggio ed intelligenza. Non servirono armi, ma solo giuristi, aule e sentenze. E’ questa la bellezza dei diritti umani. 

Ti potrebbe interessare anche..