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Discorso dell’On. Ministro alla Presentazione del Rapporto “At the Root of Exodus: food security, conflict, and international migration”

Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato

 

Direttore Esecutivo David Beasley

Prof. Enrico Giovannini

Signori Ambasciatori,

Signore e Signori,

Sono molto grato al Programma Alimentare Mondiale, all’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e alla Cooperazione Italiana per il lavoro di squadra che ha prodotto questa iniziativa per presentare più approfonditamente il nesso fra sicurezza alimentare, conflitti e migrazioni.

Nel Mediterraneo abbiamo visto soltanto la “punta dell’iceberg” di un “esodo” – come giustamente titola il Rapporto – di proporzioni bibliche: le migrazioni a livello globale coinvolgono 244 milioni di persone. E le migrazioni forzate (rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni) hanno raggiunto un picco di 65,3 milioni di persone.

In particolare, il Rapporto conferma che l’insicurezza alimentare rappresenta molto spesso il fattore decisivo delle migrazioni: il punto di svolta che induce gli individui a lasciare le loro case e i loro affetti.

Il documento contiene spunti di grande interesse sul legame tra migrazione, sicurezza alimentare e il mantenimento della pace, su cui si concentrano in maniera crescente le politiche di aiuto umanitario e di sviluppo, nella visione sempre più integrata dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

Altro punto qualificante e che certamente non ci sorprende: i migranti vogliono restare il più vicino possibile ai loro luoghi d’origine. Non ci sorprende perché questo è il sentimento più naturale della persona umana. Infatti, in Africa, 9 migranti su 10 sono “migranti interni”, cioè migrano all’interno del Continente, da Paesi in crisi verso Paesi non troppo distanti dalle loro case e dai loro affetti.   

Il Rapporto è un richiamo alla Comunità Internazionale a fare molto di più per risolvere questo problema alla radice. E per fare ciò, sono convinto che “responsabilità” e “solidarietà” siano le parole chiave con cui la Comunità Internazionale deve confrontarsi … ed agire.

Quelle parole descrivono anche l’approccio italiano: abbiamo dimostrato che non vi è alcun “derby” tra rigore e umanità, tra regole e solidarietà, tra sicurezza e diritti umani.

La sicurezza alimentare è sempre stata centrale, per noi, in questo sforzo. Vi ricorderete come soltanto un paio di anni fa, all’Expo di Milano, abbiamo fatto della sicurezza alimentare il filo-conduttore di un evento visitato da più di 20 milioni di persone.

Un esempio più recente è il Comunicato Finale del Vertice G7 di Taormina che prevede un ampio impegno politico, definito in stretta collaborazione con il Polo Romano dell’ONU, per rafforzare l’azione di cooperazione allo sviluppo, sia per la sicurezza alimentare, sia per l’agricoltura sostenibile, in particolare nell’Africa sub-sahariana. Confidiamo sul Polo Romano come partner fondamentale per continuare assieme questa missione.

Abbiamo una leadership in questo settore, perché possiamo ispirarci al tradizionale modello di sviluppo agro-industriale italiano. E perché possiamo contare sullo straordinario contributo del Polo Romano con il quale ogni giorno compiamo concreti passi insieme verso l’obiettivo della “fame zero”.

Le raccomandazioni indipendenti del Rapporto convalidano molti aspetti centrali della “via italiana”. Ne menziono soltanto due:

Innanzitutto, l’accento posto, in egual misura, sull’assistenza umanitaria e sulla tutela dei diritti umani delle persone più vulnerabili.

Ho letto con attenzione l’approfondimento sui Paesi di Transito, realizzato grazie a numerose interviste, in particolare sulle condizioni di vita nei campi libici. Alcuni degli intervistati, dopo mesi di sofferenze, hanno persino dichiarato di “non sentirsi più esseri umani”. Questo è inaccettabile!

Sui diritti umani non si possono fare compromessi. L’Italia è un Paese che ha salvato centinaia di migliaia di vite in mare e così facendo ha salvato l’onore dell’Europa. Adesso, non possiamo permettere che l’Europa volti la faccia e si rischi una nuova tragedia umana sulla terra ferma: di sfollati, di rifugiati, di richiedenti asilo e di migranti che non solo soffrono la fame, ma anche indicibili violenze.

L’Italia intende fare la propria parte finanziando bandi della Cooperazione che consentano alle NGO di migliorare le condizioni di queste persone nei centri di accoglienza libici.

Resta ancora tanto da fare insieme sul piano della protezione e dell’assistenza umanitaria, sul buon esempio della Cooperazione Italiana, che ha aumentato il budget umanitario annuale a 121 milioni di euro quest’anno, e grazie alla determinata azione dell’Agenzia ONU dei Rifugiati, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dello stesso Programma Alimentare Mondiale.

Seconda considerazione: è necessario un più forte sostegno all’economia dei Paesi che ospitano grandi comunità di rifugiati e di migranti. Questo è uno degli obiettivi principali della Cooperazione Italiana in Paesi partner come la Giordania, il Libano e l’Iraq.

Ed è un impegno importante per l’Italia anche in Paesi di Transito come la Libia e il Niger. Per esempio: le intese più importanti che stiamo concludendo con la Libia riguardano le municipalità, del nord e del sud, per sviluppare l’economia e per creare occupazione.

La nostra strategia di breve e di medio periodo punta sia sul canale umanitario che sul Fondo Africa di 200 milioni di euro, che ho lanciato all’inizio di quest’anno e che ha reso possibile gli accordi migratori e l’accresciuta cooperazione con la Libia, il Niger, la Tunisia, il Ciad e il Sudan. Gli effetti li abbiamo già visti quest’estate, nei mesi caldi in cui tipicamente i flussi aumentano: nel maggio del 2016 c’erano ben 70.000 migranti in Libia dal Niger. Nel luglio del 2017, quel numero è diminuito a 4.000.

Nel medio e lungo periodo investiamo soprattutto sulla Cooperazione allo Sviluppo. E vorrei ricordare, con una certa fierezza, che negli ultimi anni i Governi ai quali ho fatto parte hanno pressoché raddoppiato l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo: dallo 0,14% del Reddito Nazionale Lordo nel 2012 (2,1 miliardi di euro) allo 0,27% nel 2016 (4,5 miliardi di euro). Siamo ancora lontani dall’impegno internazionale dello 0,7%. Ma siamo determinati a rimanere su questa rotta positiva.

La Cooperazione allo Sviluppo è molto bene equipaggiata per continuare ad affrontare le “cause profonde” che determinano insicurezza alimentare e i grandi movimenti di persone; obiettivi centrali della Strategia italiana di Cooperazione.

Convinti di questo impegno di lungo periodo, la Cooperazione Italiana è inoltre tra i fondatori del Fondo Fiduciario dell’UE per l’Africa. L’Italia è anche il primo donatore di questo Fondo, con un contributo di oltre 90 milioni di euro. Il contributo italiano è quasi la metà dei contributi di tutti gli altri Paesi europei sommati insieme. E quindi stiamo chiedendo ai nostri partner europei di fare molto di più!

L’Italia ha poi sostenuto il Piano di Investimenti Esterni dell’UE a favore dell’Africa e dei paesi del vicinato. Con 3,35 miliardi di euro di risorse iniziali, grazie all’effetto leva sui mercati, il Fondo dovrebbe generare 44 miliardi di investimenti in settori come l’energia, i trasporti, le infrastrutture sociali, l’economia digitale, l’uso sostenibile delle risorse naturali e i servizi locali. Incoraggerà il settore privato a investire in paesi fragili o afflitti da conflitti, offrendo garanzie per sostenere i progetti più rischiosi.

Il nostro impegno in Africa è una sorta di  “investimento verticale”:

…così come gli Stati Uniti e il Canada hanno trainato la crescita e lo sviluppo dell’America centrale e meridionale…

…così come la Cina e il Giappone hanno trainato la crescita e lo  sviluppo del Sud Est asiatico…

…è ora che l’Europa investa senza paura nell’Africa, perché il ritorno di crescita e di sviluppo va in entrambi i sensi.

Solo così risolveremo anche la grande crisi dell’insicurezza alimentare e dei flussi migratori. In altre parole: riconoscendo che l’Europa e l’Africa sono su un sentiero comune di crescita e di sviluppo.

Sappiamo che – se ben governata – la migrazione può contribuire positivamente allo sviluppo umano ed economico, promuovendo opportunità di crescita sia nei Paesi di destinazione che di origine, anche tramite la valorizzazione delle comunità delle diaspore e dell’investimento produttivo delle loro rimesse.

Concludendo e ringraziando il Programma Alimentare Mondiale per l’approfondita analisi, vorrei ricordare quanto fu lungimirante e importante per l’Italia la scelta di ospitare il Polo agricolo ed alimentare dell’ONU a Roma. Tutto incominciò con il voto sulla sede della FAO nel 1949, primo tassello che poi diede vita anche al Programma Alimentare Mondiale (nel 1962) e oggi la più grande organizzazione umanitaria al mondo che si occupa di assistenza alimentare per combattere la fame.

Siamo fieri di cooperare con il Programma Alimentare Mondiale per raggiungere l’obiettivo della “fame zero”.

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