Roma – Nell’accelerarsi della crisi, l’Italia ha l’esigenza di costruire qualcosa di fondamentale per la stabilità globale: passare da un’eurozona monetaria e finanziaria a un’integrazione delle politiche fiscali e di bilancio. La fase successiva, dovrà guardare alle politiche di sicurezza e di difesa». E’ appena rientrato da Parigi, Giulio Terzi di Sant’Agata, e racconta gli sviluppi di una crisi dell’eurozona nel giorno in cui Monti vede la Merkel a Berlino. La percezione dal fronte diplomatico non è ovviamente distonica, «Alain Juppé me lo ha detto esplicitamente: ma come avete fatto, in così poco tempo, a riformare il sistema pensionistico? In Francia se ne discute invano da 7, 8 anni…»
Lei dice, ministro, che c’è perfino sorpresa per la reattività italiana di fronte a una crisi che, sino a un certo punto, avevamo contribuito a determinare…
«Sì, c’è rispetto e perfino ammirazione per lo scatto di cui siamo stati capaci».
Ma ce la farà l’Italia, a convincere la Merkel a superare le rigidità di bilancio e a favorire la crescita?
«Siamo in una situazione unica, nella lunga storia dell’Europa. Forse un paragone è possibile solo con l’Atto Unico, con il salto di qualità del passaggio da un’unione doganale a un mercato comune che contiene in embrione il coordinamento politico. Un passaggio metabolizzato nel tempo, mentre qui l’Italia torna protagonista, giocando per se stessa e per l’Europa, in un vortice di tempo strettissimo».
Appunto, non è semplice: ci riusciremo?
«L’Italia è protagonista in questo negoziato. In questo momento, in vista dell’incontro a Roma con Merkel e Sarkozy, il punto è la solidarietà europea. Io l’ho avvertita nell’incontro con Alain Juppé, il presidente Monti l’ha ricevuta dalla Cancelliera Merkel a Berlino. Ora, quella solidarietà deve diventare consapevolezza e concretizzarsi nel fiscal compact e con la disponibilità dei fondi che verranno autorizzati dall’European Stability Mechanism e diventare la risposta che l’Europa dà all’andamento dei mercati, il cosiddetto «fire wall». In altre parole, l’Europa ha bisogno dell’Italia, ed è essenziale che la risposta dei partner europei sia omogenea, che ci venga incontro nella stessa direzione».
Monti, ricevuti i pubblici elogi da Merkel, ha detto di aspettarsi tassi di interesse più bassi. Un modo per accennare al tema della crescita. A che punto è il negoziato sul nuovo Trattato?
«I lavori a livello tecnico procedono speditamente, e si concluderanno per il Consiglio del 30 gennaio. Non abbiamo particolari problemi per quanto riguarda la regola del pareggio di bilancio, condividiamo in questo l’impostazione tedesca e la seguiamo, rassicurando i mercati. Il punto per noi più delicato è quello relativo al ritmo di riduzione del debito pubblico. L’obiettivo di abbattere di 1/20 all’anno la parte eccedente il 60 per cento di debito in rapporto al Pil già esiste, ma se si interpreta la norma in modo solo meccanico e rigido non tarderebbero a prodursi effetti recessivi molto pesanti. Si rischierebbe di morire di risanamento, il che non è interesse di nessuno, in Europa. Poi c’è un’esigenza di equilibrio tra disciplina fiscale e crescita, ed equilibrio tra disciplina fiscale e solidi meccanismi di stabilizzazione. Abbiamo alleati su questo: la Francia, e la Germania che sta assumendo un approccio realistico. La convocazione di un Consiglio europeo a fine gennaio dedicato a crescita ed occupazione conforta le nostre posizioni».
Lei presto sarà a Londra. Si tratta di recuperare al negoziato gli inglesi.
«Certo, avremmo preferito un’intesa a 27, ma abbiamo mantenuto fermo il principio che il nuovo Trattato venga integrato nei Trattati Ue non appena possibile. Vedremo dopo l’incontro di Monti con Cameron, e il mio con Hague questo 26 gennaio. Con la Francia ho invece potuto constatare un rapporto molto stretto e una condivisione molto forte. Abbiamo l’appoggio francese, e al di là del negoziato sul fiscal compact abbiamo un comune orientamento di spostare i due terzi dei fondi per la politica di vicinato sul Mediterraneo, ed è il nuovo progetto di bilancio dal 2014 al 2020. Con la Francia, siamo tornati partner paritari».
Ci tolga una curiosità, inizialmente sembrava che lei e Monti avreste affrontato insieme il dossier nuovo Trattato. Cos’è successo poi, Monti segue l’Europa e lei il resto del mondo?
«E’ il Trattato di Lisbona che per semplificare i negoziati a 27 li affida in prima persona ai capi di Stato o di governo. La Farnesina è in prima linea, sul Trattato, e i miei continui contatti con i responsabili della diplomazia francese, inglese, tedesca, danese, sono paralleli a quelli del presidente Monti. E certo, ci sono anche altri dossier. Con Alain Juppé abbiamo affrontato il tema del bilancio della Ue, dell’allargamento e in particolare della concessione dello status di candidato alla Serbia: anche qui, piena sintonia con i francesi, mentre c’è qualche riserva tedesca. E poi la politica mediterranea e la situazione incandescente in Siria».
Ministro, superata la crisi dell’eurozona, l’Europa si impegnerà a trovare ulteriore coesione? L’Italia continuerà a giocare da protagonista, o passata la bufera tutto tornerà all’ordinaria, burocratica, amministrazione?
«Dopo una maggiore integrazione nelle politiche di bilancio, credo si debba aprire il capitolo della politica di sicurezza e di difesa. La strategia attuale risale al 2008. L’Italia è all’origine di un’azione che a dicembre ha portato alla creazione di un centro di pianificazione operativo a Bruxelles, sebbene limitato specificamente alle operazioni per il Corno d’Africa, e senza con questo duplicare la Nato. E’ un punto di partenza: occorre andare avanti, costruire. L’Europa ha bisogno di una politica di sicurezza e di difesa comune, in chiave di complementarietà con la Nato. Ed è un salto di qualità necessario anche per il programma di diplomazia multilaterale dell’amministrazione Obama. Dobbiamo, noi europei, assumerci sempre maggiori responsabilità, dobbiamo avere una politica di difesa comune ed arrivare ad essere, per gli Stati Uniti, partner paritari anche nella sicurezza».