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Dassù: Il mondo al femminile (L’imprenditore)

Di recente ha partecipato al G20 dei Ministri degli Esteri che si è svolto in Messico. Qual è l’analisi prevalente che è emersa sull’andamento della crisi e quali le misure per affrontarla?


Il G20 è un meccanismo di consultazione informale, che riunisce su un piano di parità i paesi industrializzati e le principali economie emergenti, insieme responsabili per l’85% del Pil del pianeta. Funziona meglio di fronte alle crisi che nella costruzione di nuovi accordi di governance: i paesi occidentali devono accettare di non essere più i soli a detta e le regole e le nuove potenze sono riluttanti ad assumersi maggiori responsabilità. Nel quadro del G20 si cerca una sintesi, con l’obiettivo comune di rilanciare la crescita attraverso misure che mirino, soprattutto, a restituire fiducia al settore privato. In questa prospettiva, l’introduzione di riforme strutturali dal lato dell’offerta, il rafforzamento dei sistemi finanziari e il miglioramento dell’architettura finanziaria internazionale sono tutti temi prioritari. Ma vorrei sottolineare un punto essenziale: era una riunione informale a livello di ministri degli Esteri, dedicata quindi non a decisioni tecniche di natura economica e finanziaria, ma a questioni trasversali per la governance globale, quali, per esempio, la sostenibilità dello sviluppo.


Europa, crisi dell’euro e pacchetto di aiuti alla Grecia. I prossimi mesi saranno strategici per il Vecchio Continente. Cosa serve per far ripartire un gigante malato?


Intanto bisogna dire che non c’è una vera e propria crisi dell’euro in quanto currency, moneta. L’euro, come moneta comune, ha retto bene allo shock nato dalla crisi finanziaria del 2008: è un punto sottolineato spesso dal premier Mario Monti. C’è stata, e in parte c’è ancora, una crisi di governance economica e politica dell’Europa. Una crisi che penso sia in via di superamento, anche se la strada per il ritorno alla crescita resta lunga e accidentata. I prossimi mesi ci riveleranno quanto la firma del compact fiscale, combinata alle nuove misure per la crescita adottate in sede europea, riusciranno a rivitalizzare i mercati europei. È chiaro che il lavoro da fare è ancora molto. La ricetta indicata dal governo italiano e condivisa da molti partner europei (è indicativa la lettera dei dodici, all’ultimo Consiglio Ue) è la seguente: completamento del mercato unico, con un monitoraggio accurato degli adempimenti nazionali, investimenti in infrastrutture e nella ricerca, utilizzo dei project bonds. In prospettiva, se ci saranno le condizioni, dovrà essere creato un mercato del debito europeo ed emissione di eurobonds. Certo, restano molte incognite, dall’impatto del pacchetto Grecia all’ipotesi di un’impennata dei prezzi del petrolio, qualora la crisi iraniana dovesse prendere una brutta piega. Ma vedo il bicchiere mezzo pieno.

Di quali nuovi strumenti avrebbe bisogno il sistema Italia per competere al meglio nel mercato internazionale? E cosa intende fare il governo italiano? In primo luogo guardiamo ai dati: l’export è essenziale per una ripresa dello sviluppo ed è in crescita. Più del 60% delle esportazioni italiane, tuttavia, va ancora in Europa. Il Nord America conta per circa il 7%, l’Asia il 9%, l’area Medio Oriente/Nord Africa il 9%, l’America Latina solo il 3%. È chiaro quindi che il sistema Italia è ancora troppo concentrato sui mercati tradizionali, che restano importanti, ma pesano in modo eccessivo sul volume globale. Un rebalancing geografico verso i paesi ad alti tassi di crescita, che poi sono quelli dove la classe media è cresciuta in questi anni (mentre in Occidente si è ridotta), mi sembra necessario. Le imprese lombarde si sono già mosse in questo senso, come risulta da una recente ricerca di Assolombarda: il 60% del loro export è ormai extra-europeo. Il dato nazionale è meno dinamico, se così si può dire. Quanto alle misure per favorire l’internazionalizzazione, le mie preferenze vanno a una struttura di supporto alle imprese leggera, invece che pesante; concentrata su poche priorità geografiche e settoriali e affidata a pochi nuovi strumenti capaci di integrare visione internazionale e supporto all’espansione del nostro sistema produttivo. Dovrebbe essere la filosofia della nuova Ice, cui andrebbero abbinati un braccio operativo che si occupi dei finanziamenti (banche, Simest, Cassa depositi e Prestiti) e un nuovo Comitato Strategico per l’attrazione degli investimenti. Sono cose che stiamo facendo. La direzione è quella giusta, credo. Ma dobbiamo essere più rapidi nell’attuazione.

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