Roma. Mentre il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, è pronto a combinare la disciplina di bilancio con l’attenzione alla crescita, il cancelliere Angela Merkel ha fatto sapere, attraverso il suo portavoce, che il Patto di stabilità firmato da 25 su 27 paesi della Ue è un risultato assodato, che non è più passibile di ulteriori negoziati. Eppure il socialista francese Francois Hollande, è stato eletto dal 51,62 dei suoi connazionali dopo essersi impegnato a rinegoziare il trattato di stabilità, per assicurare la crescita e non solo l’austerità. Come vede la cosa il sottosegretario agli Esteri del governo Monti, Marta Dassù? Hollande vuole riaprire il Fiscal compact? “No, credo che cercherà soprattutto una mediazione con Berlino. L’unica mediazione possibile, mi pare, è di aggiungere al Fiscal compact un Patto o una Dichiarazione – aggiuntiva, appunto – sulla crescita. Cosa che farà bene all’Europa. Già prima della vittoria elettorale, il direttore della campagna di Hollande, Pierre Moscoviti, aveva rassicurato Berlino su questo punto. La Francia dunque non chiede di riaprire tutto, buttando alle ortiche un Trattato fortemente voluto dalla cancelliera tedesca. La Francia di Hollande, come del resto l’Italia, è convinta che la disciplina di bilancio sia una medicina necessaria (visto che entrambi i paesi restano a rischio sui mercati), ma non sufficiente. L’Europa deve anche stimolare la ripresa economica attraverso una serie di strumenti, che vanno dai nuovi finanziamenti della Bei ai Project bond, alla liberalizzazione dei servizi, etc. L’accento di Hollande è più keynesiano, in senso classico. L’accento di Monti verte di più, oltre che su nuovi investimenti europei, sulla liberalizzazione dei mercati, le riforme strutturali.
Ma la sostanza è che, una volta rassicurata la Germania sul rigore di bilancio, la Germania deve a sua volta concedere qualcosa alle economie in affanno nel resto della zona euro. Come sarebbe, del resto, nel suo stesso interesse. Non è un dibattito nuovo. E su questo sfondo il fattore Hollande va visto con qualche dose di equilibrio: Hollande ha vinto, viva Hollande. Ma senza illudersi che ciò possa creare facili scorciatoie; portare gran parte dell’Europa fuori dalla crisi del debito e dalla recessione sarà comunque difficile, visti gli squilibri strutturali esistenti”.
La pressione dei mercati e la forza della realtà quale compromesso renderanno possibile? “Il contorno è chiaro: Fiscal compact più strategia per la crescita. I dettagli, naturalmente, lo sono molto di meno. E saranno i dettagli a contare. E’ il dibattito già in corso da mesi ma che oggi si riapre, e a cui Roma partecipa da protagonista. Sarà interessante vedere come funzionerà la chimica tra Merkel e Hollande. Dopotutto quella tra Merkel e Sarkozy non era ottimale. Se la storia insegna qualcosa, il mix Cdu tedesca e Ps francese ha spesso dato buoni risultati. Monti ha tutte le carte per essere influente, sia perché culturalmente è in grado di mediare tra Parigi e Berlino, sia perché gode di grande prestigio personale presso le istituzioni comunitarie. E’ un punto importante: il Fiscal compact è un Trattato intergovernativo, lo sappiamo, ma sia sulla disciplina di bilancio sia sulle future misure perla crescita, le istituzioni comunitarie conteranno. Conteranno – nell’attuazione, nel monitoraggio, nella valutazione – più di quanto non si pensi. Aggiungerei un dato forse un po’ trascurato: l’esito delle elezioni nel Land dello Schleswig-Holstein indica che la Spd sta rientrando in gioco. Sarà decisiva per la ratifica parlamentare del Fiscal compact. Insomma, al di là delle singole dichiarazioni, le cose si muovono anche a Berlino”. Ma per l’Italia che cambierà con Hollande? “Non è Hollande che può cambiare l’Italia. Siamo noi stessi. L’Italia, però, insieme alla Francia, alla Germania, alla Spagna, a Bruxelles, può tentare di rispondere alla sfida della crescita prima che sia troppo tardi. La disperazione sociale, in molti paesi dell’Unione europea, è un dramma evidente. Il voto greco di domenica è un potente campanello di allarme sia per l’euro, sia per le stesse dinamiche europee. La vera divisione politica, nell’Europa di oggi, non passa solo o non tanto tra destra e sinistra. Passa tra forze costituzionali pro europee (siano esse di centrodestra odi centrosinistra) e partiti antisistema di vario tipo, che sono anche anti-europei. Paradossalmente, l’Europa politica è nata senza che ce ne accorgessimo, nel mezzo di una crisi finanziaria che ha generato anche i suoi mostri. Se vogliamo salvare gli europei insieme all’euro, bisogna battere la recessione”.