Questo sito utilizza cookie tecnici, analytics e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.

Preferenze cookies

Assad non può restare al potere

Giulio Terzi di Sant’Agata, lei è ministro degli Esteri da poco più di sei mesi. Le piaceva di più fare l’ambasciatore?


«Non si tratta di preferenze. La presenza di tecnici nei vari settori rafforza questo governo, non lo indebolisce. E io ho ricevuto un grande onore e una grande responsabilità, non penso ad altro».


E tuttavia il ruolo della Farnesina appare ridimensionato, la politica europea si fa più che mai a Palazzo Chigi, la cooperazione è stata affidata a un altro dicastero. E poi ci sono i tagli finanziari…


«La Farnesina nell’arco di tre anni è passata da un bilancio di due miliardi e mezzo a uno di un miliardo e seicento milioni. La struttura ha dovuto essere riadattata in profondità, sono stati fatti molti sacrifici, ma credo che il nostro sia ancora un ministero di eccellenza. Per quanto riguarda le competenze non mi sento diminuito dall’inserimento nel governo di forti personalità che si occupano di cooperazione o di negoziati con Bruxelles, anzi, è un bene».


Sarà stato spiacevole, comunque, dover trattare un caso come quello di Mario Vattani, il console a Osaka segnalatosi per un concerto «fascio-rock»…


«Quando si verificano episodi che devono essere valutati in sede disciplinare non si tratta mai di una cosa piacevole per l’amministrazione. E non è piacevole per il ministro constatare che servono misure di censura. Quel che è accaduto è stato valutato e sanzionato (quattro mesi di sospensione, ndr) dagli organi competenti, e ho ritenuto che il ministro si dovesse attenere alle conclusioni raggiunte».


Nel mondo d’oggi i focolai di crisi sono numerosi, ma quel che colpisce di più è l’impotenza della comunità internazionale davanti ai massacri in Siria. Che fare?


«Il primo passo deve essere quello di avviare un vero dialogo con le forze dell’opposizione, i cui diversi gruppi, una quindicina, devono trovare una unità di indirizzo. L’Italia sta lavorando molto su questo. Poi bisogna convincere Russia e Cina della ineluttabilità del ricambio di potere a Damasco, spiegando a Mosca che questo è il modo migliore di conservare amicizie nel mondo arabo. Assad e i suoi se ne devono sicuramente andare, bisogna costruire un processo di transizione. In questa cornice il monitoraggio internazionale è fondamentale, e deve essere credibile e più autonomo anche nel garantire la propria sicurezza».


Ma Putin, nei viaggi appena compiuti a Berlino e a Parigi, non è parso autorizzare le sue speranze…


«La Russia non vuole un intervento armato internazionale in Siria, ma qui bisogna essere chiari. Una cosa è fornire armi agli oppositori, altra molto diversa sarebbe intervenire militarmente. Nessuno ha intenzione di ripetere l’esperienza libica. Sulla Russia mi è parso di percepire sfumature importanti: Mosca non vuole difendere Assad a tutti i costi, punta piuttosto a una transizione verso nuovi assetti politici. Si tratta di lavorare su queste basi per rendere possibile l’applicazione del piano Annan».


A proposito di Libia, le elezioni stanno slittando, l’aeroporto di Tripoli viene occupato per mezza giornata da una milizia armata, si susseguono le violazioni dei diritti umani, crescono i rischi di frammentazione. Siamo lontani dagli obbiettivi della guerra…


«Le elezioni saranno rinviate di poche settimane, avranno luogo prima del Ramadan, e la registrazione degli elettori sta andando bene. Certo ci sono problemi sul piano della sicurezza, ma altri settori, come la ricostruzione, progrediscono. Stiamo lavorando molto con i libici, e premiamo sugli europei per ottenere un marcato riorientamento delle politiche comunitarie verso tutto il Nord Africa. Mi sono appena trovato molto d’accordo su questo con il collega francese Fabius. Chiediamo che due terzi dei programmi di vicinato, invece del terzo attuale, vadano all’area mediterranea. La caduta di Gheddafi ha comunque creato una nuova Libia e un processo istituzionale, malgrado tutte le sfide che sono ancora in piedi».


La concessione della libertà sotto cauzione ai nostri due marò in India è una buona notizia, ma non garantisce nulla, siamo già alle udienze preliminari del processo…


«I nostri due militari sono stati fatti sbarcare a Kochi nelle condizioni che sappiamo, con l’inganno prima e con la forza poi. Da quel momento il governo ha gestito la situazione in condizioni di estrema difficoltà, i due sono stati sin dalle prime ore minacciati fisicamente da folle ispirate da atteggiamenti xenofobi nei nostri confronti. Abbiamo ottenuto che continuassero a indossare la divisa, abbiamo ottenuto che non fossero rinchiusi in un carcere per reati comuni, li abbiamo assistiti in ogni forma possibile. Contemporaneamente agivamo e agiamo ancora sul piano diplomatico internazionale. Il presidente Monti ha sollevato la questione al recente G8, e a tutti, europei e non, chiediamo di essere sostenuti nel nostro buon diritto e nella questione più generale della lotta alla pirateria. Siamo riusciti a delimitare i capi di imputazione, evitando l’assurda accusa di terrorismo. Siamo presenti a livello legale e politico nei confronti delle competenti autorità indiane. Io stesso andai a New Delhi e a Kochi, anche se lei giudicò “opinabile” la mia iniziativa».


É vero, e resto di quel parere. Ma tornando ai marò, cosa può venire dopo il processo? E se tornassero in Italia, i due dovrebbero fornire qualche spiegazione?


«Se mai si dimostrasse in modo ultimativo il coinvolgimento dei due militari nell’incidente, di incidente si sarebbe comunque trattato. E la Procura della Repubblica ha notificato per rogatoria l’avvio di una procedura penale in Italia. Noi non vogliamo scordarci l’episodio, ma rivendichiamo la nostra giurisdizione. E in ogni caso stiamo lavorando per ottenere una soluzione, anche dopo il processo, che riporti a casa i nostri militari».


Le sembra ancora valida l’ipotesi di un attacco israeliano all’Iran se i negoziati sui programmi nucleari di Teheran non dovessero portare risultati?


«Che una opzione militare esista è fuor di dubbio, e questo del resto riguarda oltre a Israele anche gli Usa, si veda l’intervista di Obama a The Atlantic. Una azione di questo tipo avrebbe effetti catastrofici, per la stabilità complessiva della regione e anche nel rilancio del terrorismo a livello globale. La nostra valutazione è chiara. Nel contempo crediamo che vada accresciuta la pressione sull’Iran attraverso le sanzioni, prime fra tutte quelle petrolifere che faranno il loro debutto il primo luglio. Si tornerà a trattare a Mosca, c’è ancora tempo per scongiurare il peggio».


A proposito delle sanzioni, l’Italia ha già sostituito le forniture iraniane che verranno a mancare tra meno di un mese?


«Siamo pronti, c’è stato un processo di diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Naturalmente pagheremo uno scotto, in termini di prezzi più alti e di contratti persi. Ma abbiamo ritenuto che premere su Teheran fosse una priorità di interesse generale».


Le Primavere, la Siria, l’Iran: la questione palestinese è passata in secondo piano?


«A livello europeo discutiamo molto di questioni come gli insediamenti israeliani, la progressiva erosione di territorio che poi rende più difficile la nascita di uno Stato palestinese, la nuova forza politica che ha ora il governo Netanyahu. Il nostro convincimento è che ci sia un dibattito in corso a Gerusalemme, le recenti dichiarazioni di Ehud Barak rientrano in questa discussione. Certo, tutto è troppo lento, ma la chiave sta nel dibattito interno israeliano. L’immobilismo non è più una opzione, questa è la novità che conta. Ovviamente è anche importante che Autorità palestinese e Hamas raggiungano un accordo tra loro, allora potrebbe maturare qualche novità anche nella posizione europea».


Da oggi si gioca. Ministro, lei usa le armi della diplomazia per difendere l’immagine dell’Italia. Ma non crede che sia più forte il danno d’immagine causato da calciopoli?


«Guardi, in questi mesi ho riscontrato un apprezzamento e un interesse verso l’Italia che rendono la sua credibilità ben superiore a certi aspetti dolorosi. Ma, detto questo, va detta con forza anche un’altra cosa: quelli che hanno investito il mondo del calcio sono comportamenti di pochi che tradiscono l’impegno e i sacrifici di un intero Paese rivolto al proprio futuro».

Ti potrebbe interessare anche..