ROMA «Ministro, lei è una profonda conoscitrice dell`Egitto e delle sue dinamiche politiche. Cosa accadrà al processo democratico avviato con la primavera araba? E come reagirà la Fratellanza Musulmana, messa all`angolo manu militari?
«Non ci eravamo mai illusi che il percorso dell`Egitto verso la democrazia sarebbe stato lineare. Continuo ad essere convinta che nel lungo periodo sia inarrestabile, anche se in questo momento assistiamo ad una drammatica involuzione. L`utilizzo brutale della forza da parte dell`esercito contro il suo popolo è inaccettabile, va deplorato senza mezzi termini. Esistono precise responsabilità dei Fratelli Musulmani. Penso all`incapacità di governo dimostrata in un anno e mezzo ed alla volontà di impadronirsi di ogni struttura istituzionale e di potere senza tenere in minima considerazione quella parte di Egitto che, pur non essendo laica nel senso occidentale del termine, crede nella laicità dello Stato».
È possibile mettere al bando la Fratellanza Musulmana, come vorrebbe il premier Beblawi?
«Di certo le conseguenze sarebbero devastanti, significherebbe mandarli in clandestinità, rischiando di potenziare l`estremismo dei gruppi».
Lei ha detto più volte che il Medio Oriente è scosso da una lotta interna alla famiglia sunnita. L`Egitto è un potente catalizzatore di tutta l`area, quale potrebbe essere il punto di riequilibrio nella regione?
«Se l`Egitto precipita nel caos, le onde d`urto della sua instabilità si ripercuoteranno in tutta l`area, non c`è dubbio. L`Egitto è parte essenziale del “grande gioco” per il potere geopolitico regionale, basti guardare da chi vengono le offerte di aiuto all`attuale regime di Al Mansour e dei generali. E’ in atto un epocale scontro geo-politico all`interno della famiglia sunnita che vede schierati da un lato Emirati, Arabia Saudita e Kuwait, e dall`altro Qatar e Turchia. E tutto ciò si riverbera drammaticamente in Siria, Libia, Tunisia oltre che in Libano, alimentando anche le tensioni fra la galassia sciita e quella sunnita».
È possibile, in prospettiva, una ripresa del terrorismo, come sta già accadendo in Sinai?
«Se la componente islamista non trova una sua espressione di rappresentanza politica, il rischio è che le componenti più estremiste optino per la scelta terroristica, e non solo in Sinai, dove già abbiamo una presenza jihadista preoccupante che non è stata sgominata. Rischi ce ne potrebbero essere ovviamente persino in Europa».
È vero che la maggioranza degli egiziani vede con favore la «nasserizzazione» di Al Sisi, e l`autoritarismo come esito della «primavera araba», perchè ordine e autorità sono la storia dell`Egitto moderno?
«Di sicuro l`autoritarismo dei governi precedenti non può essere considerato un modello di riferimento da quanti hanno a cuore i valori della democrazia. Una parte della popolazione egiziana, per quanto minoritaria, non ha mai smesso di essere nostalgica di regimi `non democratici che garantivano i privilegi di pochi a scapito di milioni di persone. È vero che la crisi economica, l`instabilità sociale, la criminalità in continuo aumento, che hanno reso difficilissima la vita di milioni di persone in questi due anni e mezzo, possono aver convinto molti egiziani che vale la pena di barattare la democrazia con la stabilità e la sicurezza. Ma non è quella la strada da seguire».
L`Egitto ri-nasserizzato con la violenza sarebbe comunque stabile?
«Ripeto, credo che un ritorno al passato, al modello di autoritarismo alla Mubarak, non sia nelle cose: il genio è uscito dalla bottiglia e non lo si può rimettere dentro. Da Piazza Tahrir ad oggi la società egiziana nel suo complesso è maturata, pur-pagando prezzi molto dolorosi. Ma certo non è con le violenze e con le violazioni dei diritti umani che si può percorrere un cammino, per quanto lungo e accidentato, di democrazia. Tutte le forze politiche egiziane in campo, e il governo interinale prima e più di tutti, hanno il dovere di dare prova di responsabilità e trovare un compromesso. Il che vale anche per i Fratelli Musulmani, che devono cessare di incitare la piazza a manifestazioni che diventano sempre più violente con connotazioni religiose e settarie contro i copti e i luoghi di culto».
Cosa può fare concretamente l`Unione Europea? E` praticabile quel che chiede oggi Le Monde, la sospensione degli aiuti? Ne parlerete al prossimo Consiglio dei ministri degli Esteri?
«Vorrei dire che abbiamo lavorato per settimane alla ricerca di una mediazione, purtroppo fallita, per evitare gli eccidi che poi si sono verificati. Non c`è dubbio che ora dobbiamo seriamente pensare a riposizionare la politica europea verso l`Egitto e non solo: serve un vero “reset” delle relazioni. Fra qualche giorno ci riuniremo a 28 e ne discuteremo. Ma dobbiamo capire che la garanzia d`impegno da parte dell`Europa non è una garanzia di successo: il mondo è ormai multipolare, e per le leve che ha in mano -500 milioni di euro in aiuti per Il Cairo- l`Europa, come pure gli Stati Uniti, rischiano di sembrare pulci davanti ai mezzi che possono usare il Qatar o l`Arabia Saudita».
Lei ha proposto l`embargo alle armi. Non sembrerà una misura tardiva, dopo che la polizia ha avuto via libera dall`esercito di sparare sulla folla, mitragliata anche dagli elicotteri?
«L`Italia ha sospeso ogni tipo di fornitura di armamenti fin da giugno, prima ancora del golpe. Ci batteremo perché i Paesi dell`Ue adottino la stessa misura».