In un’ora e mezza di conversazione Emma Bonino fuma solo due sigarette («solo» per i suoi standard) e risponde a una telefonata-lampo: «Mi informano che l’audizione dei quattro marò si è conclusa. Siamo sulla strada giusta per chiudere questo incidente con l’India». Il ministro degli Esteri, 65 anni, ha partecipato ieri a un forum con i giornalisti del Corriere della Sera, rispondendo a domande sui dossier più importanti. Dal l’Iran alla Siria, dall’Europa all’Oriente. «Qualche volta mi chiedo se non sono io che mi tiro dietro tutte le crisi possibili…».
Il ruolo internazionale dell’Italia appare spesso marginale. Nel negoziato sul nucleare iraniano, per citare il caso più vistoso, siamo poco più che spettatori.
«Siamo stati tra i primi a cogliere l’importanza dell’elezione del nuovo presidente Rouhani in maggio. Ricordo che ancora pochi mesi fa diversi colleghi europei mi guardavano storto quando dicevo che bisognava invitare l’Iran al tavolo con la Siria. A fine agosto, dopo la strage di civili con le armi chimiche, ho chiamato più volte il ministro degli Esteri iraniano Zarif perché convincesse Assad a dare via libera agli ispettori Onu. E il 26 settembre, all’assemblea delle Nazioni Unite, c’era la fila per parlare con Zarif e Rouhani. Bisognava staccare il biglietto, come se si fosse in coda per visitare il Moma».
L’Italia, però, non fa parte del gruppo «cinque più uno» che sta trattando con l’Iran e dunque rischia di restare ai margini qualora si allentassero le sanzioni contro l’Iran.
«Sappiamo bene che se si dovessero allentare le sanzioni, si aprirebbe una corsa verso l’Iran. Non abbiamo scritto “giulivo” sulla fronte. L’incontro con il ministro Zarif previsto per giovedì prossimo è solo rimandato. Stiamo mettendo a punto un piano di scambi e cooperazioni non solo in campo energetico».
Pensa che alla fine l’Iran rinuncerà alla bomba atomica?
«Non lo so, ma è prudente e ragionevole andare a vedere le carte. E vale la pena di aspettare anche più di una settimana, avendo atteso per trent’anni, se si può chiudere un buon accordo. C’è tutto il tempo per spiegarlo a Israele e agli altri Paesi in allarme».
Dall’Iran è obbligatorio passare alla Siria. Qui la trattativa per trovare una soluzione pacifica alla guerra civile è, se possibile, ancora più difficile. L’opposizione chiede che Assad venga rimosso; l’Arabia Saudita si muove per reclutare un esercito parallelo con 50 mila ribelli da opporre ai jihadisti. Qual è la sua previsione?
«Intanto diciamo che siamo in presenza di una proxy war. Una guerra combattuta sul terreno siriano, ma con forti collegamenti con potenze regionali e con linee di scontro che dividono il mondo sunnita. Qatar e Turchia da una parte; Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati dall’altra. Il fronte dei ribelli è frammentato: ci sono 43 gruppi che fanno storia a sé e non vogliono avere nulla a che spartire con l’esercito ribelle di Idris, senza contare i gruppi di Al Nusra e i jihadisti. Ma è proprio per questo che si fanno le Conferenze di pace, altrimenti ci manderemmo un sms…»
D’accordo, ma alla fine Assad se ne andrà?
«Alla fine sì, ma non sappiamo quando arriverà il momento di questa fine».
Gli americani non sembrano aver gradito le sue posizioni contro l’ipotesi di un intervento militare in Siria.
«Davvero? A me non risulta. Mi vogliono far passare per anti-americana. Io anti-americana? Ma andiamo. Esprimo le mie opinioni. Anche in Egitto, per dire, non mi convince questo sollievo internazionale per il “ritorno all’ordine” imposto dai militari. Non mi piace vedere tremila persone in carcere senza processo. L’ordine non basta, anche i cimiteri sono perfettamente ordinati».
La guerra in Siria significa anche profughi che premono sulla sponda Sud dell’Europa. C’è chi propone di affidare il vaglio delle domande di asilo alle ambasciate italiane nei Paesi da dove partono i migranti.
«Non mi convince. Che cosa succederebbe se a Tripoli una folla si mettesse in coda davanti all’ambasciata italiana? Penso che sarebbe un obiettivo molto facile per gli attentati».
E se lo facesse l’ambasciata italiana in Sudan, uno dei Paesi da cui partono i migranti?
«Anche questa non mi pare una buona soluzione. In generale i Paesi dittatoriali non gradiscono vedere persone davanti alleambasciate in cerca di un visto ».
Negli ultimi due mesi l’immigrazione è stato il tema più chiaro per misurare quanto sia urgente il rilancio dell’Unione europea. Nel 2014 ci saranno te elezioni, poi l’Italia assumerà la presidenza nel secondo semestre. Letta ha proposto almeno di riunificare nella stessa persona la presidenza della Commissione e quella del Consiglio europeo. È d’accordo?
«In linea di massima sì. Ma teniamo conto che la nuova Commissione si insedierà nel gennaio 2015. La nostra presidenza, dunque, sarà soprattutto politica. In terna di affari esteri cercheremo, in particolare, di “europeizzare” posizioni e proposte che di solito arrivano dall’asse franco-tedesco, come è accaduto nel caso delle intercettazioni segrete condotte dagli americani».
Francia e Germania, però, giocano in proprio le partite più importanti. In Cina, in India. L’Italia?
«Scontiamo ritardi, errori e sottovalutazioni del passato. Scontiamo, anche la mancanza di risorse. Capisco tutti i tagli di bilancio, ma la Farnesina può contare su una rete diplomatica che è la metà rispetto a quelle di Francia, Gran Bretagna e Germania. Dobbiamo tornare a relazionarci con la Russia, un attore globale ineludibile, superando la fase recente di rapporti personali accompagnati da episodi un po’ scomposti. Poi c’è la Cina. Ci andrò nel prossimo febbraio per preparare la visita di Letta, fissata per il primo semestre 2014».
Sull’India pesa ancora la vicenda dei marò. Ieri c’è stata l’audizione di quattro militari dall’Italia. Servirà a sbloccare la vicenda?
«Ci abbiamo messo dei mesi per arrivare a questa audizione a distanza. Adesso il processo dovrebbe passare alla Corte speciale. Pensiamo di chiudere presto l’incidente e di rilanciare i nostri rapporti commerciali con l’India, un Paese che non possiamo perdere».
Intanto il premier indiano Manmohan Singh racconta nei vertici internazionali le figuracce diplomatiche dell’Italia.
«Mi sono ripromessa di non fare polemiche sulla gestione del caso che abbiamo ereditato, fino a quando i marò non saranno tornati in Italia. Comunque anche il governo indiano ha fretta di chiudere».
Sempre in tema di figuracce, che lezione ha ricavato dalla vicenda Shalabeyeva, la donna kazaka ingiustamente espulsa dall’Italia?
«Mi sono resa conto di quanto fosse poco considerato nell’ambito del governo il ministero degli Esteri nelle vicende che riguardano cittadini stranieri in Italia. Continuiamo a seguire la signora Shalabayeva. E vorrei dire che la Farnesina si occupa di tanti casi personali: stiamo assistendo 10 mila italiani in difficoltà all’estero. Di questi 3.120 sono in carcere».
Ma con il ministero degli Interni italiano vi parlate?
«Ah sì, adesso ci parliamo. È una pre consultazione continua…».