L’imminenza delle elezioni europee e del semestre italiano di presidenza, rimette al centro del dibattito pubblico il tema dell’integrazione europea, così complesso e poco frequentato. È già un risultato che con la crisi finanziaria si sia parlato più di Europa, anche se limitandosi all’Euro. Posizioni divergenti su come uscire dalla crisi hanno dato vita ad una controversia sul ruolo della Germania e sulla fine della solidarietà europea. Paiono rafforzarsi le posizioni anti-europeiste e molti osservatori ne prevedono l’affermazione nelle urne. Tale analisi poggia sulla convinzione di essere usciti dall’età dell’oro di un’Europa popolare e indiscussa. Ora che si tratta di distribuire rigore e sacrifici, essa non funzionerebbe più schiacciata dagli egoismi nazionali.
Ma la storia di questi oltre 50 anni di integrazione europea non è andata così. Non c’è mai stata Europa facile ma semmai «Europa difficile», per prendere in prestito il titolo del volume di Bino Olivi. Già l’invenzione comunitaria degli anni 50 rischiò di essere uccisa in culla, con il fallimento del tentativo Ced sulla difesa comune, tema ancora all’ordine del giorno oggi. In seguito la politica della Francia di De Gaulle non fu amichevole con l’idea europea: due veti contro la Gran Bretagna e soprattutto radicale contestazione del metodo comunitario che spinse il Primo ministro Pompidou a dichiarare il 5 novembre 1964 che il mercato comune «mourra de sa belle mort». Si giunse così alla crisi della «sedia vuota», quando De Gaulle boicottò le riunioni al Consiglio, unico a farlo fino ad oggi. Dopo di lui una timida ripresa con l’entrata di Londra nel ‘73 ma anche forti tensioni per le ricorrenti crisi monetarie di quel decennio, che ponevano gli europei su fronti avversi. Gli anni 80 furono scanditi da ripetute difficoltà dovute principalmente alla politica della Thatcher. Si proseguì tra stop and go: adesione di Spagna e Portogallo ma fallimento del primo progetto di Trattato, che Spinelli sognava in capo al neo Parlamento europeo. Dopo questo, ecco forse l’unico periodo veramente positivo per la costruzione europea, dovuto a leader visionari come Mitterrand, Kohl, Delors: i pochi anni dall’Atto unico dell’85 a Maastricht.
Tutta la storia dell’integrazione europea è un difficile percorso costellato da ritardi e ritorni indietro, resistenze sovraniste ed egoismi. Da sempre nel nostro continente sono al lavoro forze contrarie all’integrazione. Ma queste ultime oggi sono confinate nell’alveo di partiti estremisti, localisti e xenofobi mentre le grandi forze politiche europee hanno maturato una solida coscienza europea. Di questo ci dobbiamo rallegrare: non fu così all’inizio. Le sinistre capirono in ritardo il valore della Comunità così come ci furono resistenze tra conservatori e gollisti. Inoltre come italiani dobbiamo anche dire con orgoglio che in tutte le crisi schematicamente sopra elencate, l’Italia giocò sempre un ruolo essenziale: non fu mai parte del problema ma sempre della soluzione. Il nostro prossimo semestre sarà quello delle decisioni su chi dirigerà l’Unione negli anni futuri, compito difficile ma cruciale. Ricordiamoci di quanto seppe fare l’Italia in tempi analogamente difficili, ora che stiamo per assumere la guida dell’Europa.