Buone pratiche contagiose. L’esempio italiano dei corridoi umanitari, frutto di un protocollo tra comunità cristiane e ministeri, potrebbe essere replicato da altri Stati. La Polonia ne sta studiando la fattibilità. E altri potrebbero seguire. A rivelarlo è Mario Giro, viceministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale. I corridoi umanitari, promossi e gestiti da Comunità di Sant’Egidio, Tavola valdese e Federazione delle chiese evangeliche in Italia, in collaborazione con i ministeri di Interno e Esteri, hanno già portato in salvo 280 profughi, per lo più siriani, a spese dei promotori, che ne stanno seguendo l’integrazione. Mille in due anni, ma i bisogni sono enormi. In Parlamento cresce il consenso. E anche Matteo Salvini ha detto a Radio Padania che li voterebbe. «A destra sono da sempre favorevoli ai corridoi umanitari: anche Alessandro Sallusti, direttore del Giornale lo disse subito. Perché garantiscono la sicurezza alla fonte».
Si può fare un passo avanti per istituzionalizzarli? In Parlamento Pd, Fi, centristi, M5S sono d’accordo.
Certo. Ma già ora i corridoi hanno una loro ufficialità, visto che prevedono il rilascio di visti e sono realizzati con le autorità. Il ministro Gentiloni all’Onu ha detto che la prima strada per potenziarli è che l’Italia faccia scuola: ha già avuto diversi incontri, alcuni Stati ci stanno pensando.
Corridoi anche in altri paesi?
È una questione che attiene alla sovranità nazionale, ci sono governi che stanno riflettendo. Posso dire che il governo della Polonia è molto intenzionato. In fondo cosa abbiamo accettato di fare? Quello di cui si parla da tanto: selezione in loco, viaggi sicuri, canali legali. Se tutta l’Europa, invece di aspettare che arrivino morendo nel deserto o in mare, si desse un sistema di corridoi umanitari, i flussi sarebbero molto diversi.
Ma per fare un “salto di quantità” cosa si può fare?
Noi ora stiamo testando il sistema. È un’iniziativa pilota molto seria. Potremmo alleggerire moltissimo il lavoro delle istituzioni: ambasciate, gestione degli sbarchi, commissioni territoriali, hot spot. E ora è a costo zero per lo Stato, che non spende nemmeno i 35 euro per vitto e alloggio. Ma se anche domani li dessimo, gestendo tutto il fenomeno con i corridoi, avremmo risolto questo problema. Se a questo aggiungiamo la gestione dei lavoratori, reintroducendo il decreto flussi con accordi bilaterali, che prevedono anche il rimpatrio, sarebbe la soluzione di tutto il fenomeno.
Un traguardo troppo ambizioso?
Quella dei corridoi è una prospettiva praticabile anche con numeri alti. Il resto, visto che le imprese hanno ancora bisogno di manodopera, lo si può affrontare riattivando i decreti flussi. In due o tre anni il fenomeno può essere è sotto controllo. Questo che va detta agli italiani: la gestione dell’immigrazione non è impossibile. È stata tenuta a livello emergenziale anche per motivi di polemica interna , spargendo per il Paese il sentimento dell’impotenza. Invece non è così. Per passare dall’accoglienza di mille a 10 mila non ci vuole molto. Rassicuri gli italiani, abbassi l’allarme sociale, stimoli
le offerte di aiuto.
I campi in loco saranno gestibili?
Non ce ne sarà più bisogno: i campi così li svuoti. E dai un segnale chiaro: se ci sono condizioni di vulnerabilità, ti accogliamo. Se si tratta di ricerca di lavoro ci sono altre formule. Il decreto flussi. O aiutarti a casa tua con la cooperazione allo sviluppo. Se è vero quello che ha detto il commissario Federica Mogherini, che il piano di investimenti è di 30 miliardi, io sono convinto che bastano per creare un volano di sviluppo che permetta ai giovani di rimanere.
Cosa impedisce all’Europa di fare suo il progetto dei corridoi?
La Commissione europea ha accettato il principio, vediamo chi mette i soldi come promesso. Ma il Consiglio d’Europa blocca. Come per i ricollocamenti: 40mila persone da distribuire in un’area da 500 milioni di abitanti. Perché nel Consiglio ci sono i governi. Ma l’Italia non aspetta, e intanto fa da sola. Grazie anche alla vivacità della società civile, ma è il sistema Italia che si muove insieme.