«L’Italia sta riprendendo l’iniziativa in Africa, ma dobbiamo passare dalla semplice cooperazione allo sviluppo all’investimento intrecciando in modo strategico l’attività dei cooperanti e quella degli imprenditori». Il vice ministro degli esteri Mario Giro ieri ad Assisi ha presieduto il dibattito sull’Africa.
Che cosa sta facendo l’Italia?
«Intanto Renzi continua a parlare dell’Africa e questo è già il segno di una discontinuità virtuosa. Le nostre missioni in Africa sono ormai decine e a ottobre per tre giorni saremo nella Repubblica Centrafricana, uno dei Paesi più poveri del mondo. Qui è venuto il presidente Archenge Toudera e noi dobbiamo aiutarlo e investire in un Paese che ha dimostrato di essere stato capace di non accettare la logica dello scontro tra religioni ed è riuscito ad allontanare l’odio».
Eppure la presenza italiana in Africa è diminuita costantemente negli anni .
«É vero e dobbiamo invertire la rotta, anche aprendo nuove ambasciate. Non possiamo lasciare il campo libero solo alla Cina e alla Turchia. La presenza dei diplomatici italiani indica con chiarezza che stiamo prendendo sul serio la questione africana e guardiamo al continente con occhi nuovi».
Cosa non va?
«Bisogna uscire dalla cultura dell’emergenza, trovare soluzioni strategiche oltre il solo aiuto pubblico allo sviluppo, individuare una governance nuova per rendere più efficaci aiuti e investimenti. E soprattutto bisogna investire in istruzione».
Anche sugli immigrati?
«È un settore strategico. I flussi non si possono bloccare. Chi arriva qui deve essere istruito e poi rimandato nel suo Paese con un dono, denaro non in prestito, per avviare start up che siano efficienti e idonee al loro Paese. Questo l’unico modo serio di fare quando si parla di aiutarli nel loro Paese».
Qual è il problema maggiore dell’Africa oggi?
«I giovani. La maggioranza dei giovani vive nei Paesi poveri ed è povera. E l’Africa è un continente di giovani. Che vogliamo fare? Lasciare che diventino manovalanza dei signori della guerra? Questa è la vera sfida. In Africa l’istruzione costa troppo e poi mancano le strade per raggiungere le scuole. La fine o la mancanza di un sistema scolastico è all’origine della rabbia e della collera globale, alla radice della fine del sogno dell’unità panafricana e all’origine della paura che ha schiantato ogni vero dialogo religioso, politico e sociale in Africa».