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Giro: “Il caso Tusk e il futuro dell’Ue” (Pagina 99)

Sono state poco messe in risalto dagli osservatori le ragioni e le conseguenze del voto dello scorso 9 marzo sul Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. La sua conferma è stata votata a maggioranza, contro il parere del suo paese, la Polonia. Sappiamo che negli ordinamenti europei vi sono diverse decisioni – come questa – a cui l’unanimità non si applica. Tuttavia si tratta di una pratica raramente utilizzata, soprattutto per decisioni ad alta densità politica. Normalmente si cerca il consenso e mai, questo davvero mai, qualcuno è giunto a un alto livello della leadership europea senza l’appoggio del proprio paese, anzi con la sua opposizione. In altri tempi ne sarebbe scaturita una lunga negoziazione allo scopo di trovare un candidato buono per tutti.

Cosa significa dunque la convalida di Tusk? Che l’Europa – certo sotto la spinta dell’urgenza e degli eventi – lascia intendere che non è più il tempo delle mezze misure: si va avanti sfruttando tutte le opzioni offerte dai Trattati.

Se tale atteggiamento resiste, ne vedremo delle belle a Bruxelles. Sappiamo che troppo spesso l’Europa si è arenata davanti a veti incrociati e – occorre precisarlo – tutti gli stati membri se ne sono giovati, anche l’Italia. Il metodo del consenso – una specie di bon ton istituzionale – è quello che si utilizza in altri fori internazionali. I Trattati europei prevedono invece maggioranze ponderate, su cui tanto si discusse durante il lungo processo che portò alla loro firma. Se passa l’idea di decidere a colpi di maggioranza quando ciò è consentito, ci saranno sorprese, talvolta amare.

Il segnale è stato immediatamente recepito dai paesi di Visegrad, i quali si stanno schierando contro ogni ipotesi di “doppia velocità” che li veda esclusi. Ma la stessa esistenza del gruppo è extra-Trattati. Il premier Paolo Gentiloni ha dichiarato recentemente che doppia velocità non significa Europa «a la carte»: significa che l’Italia è pronta a fare la sua parte per rafforzare il nucleo duro dell’Unione. L’Europa á la carte piace invece ai paesi che vogliono prendere solo quello che (temporaneamente?) loro conviene. Al contrario Germania, Francia, Italia e Spagna stanno pensando a come dare un’accelerata al processo unitario, anche in pochi.

La riunione dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea del 25 marzo – in occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma – è dunque un appuntamento importante. Avremo un’Europa a cerchi differenziati, con perimetri diversi? Gli accordi intergovernativi sono permessi, come è il caso di Shengen. Ma il dibattito si sta concentrando su temi quali il completamento del mercato unico, l’unione bancaria, la politica estera e in particolare di difesa e cose simili. Stare nel nucleo duro conviene all’Italia. Ma ci deve essere la consapevolezza che si passerà da “l’Europa ce lo chiede” a “l’Europa ha deciso”. Prepariamoci.

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