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Giro: “Giovani e lavoro, non solo fuga all’estero” (Unità)

Secondo il Consiglio Generale degli italiani all’Estero (CGIE), una delle istituzioni di rappresentanza delle nostre collettività nel mondo, dal 2007 ad oggi sono emigrati circa 1,5 milioni di italiani. Da tempo si parla della ripresa delle migrazioni dal nostro paese, soprattutto a riguardo ai giovani, rinverdendo una tradizione che sembrava essersi spenta a metà degli anni 70. Ma i dati confermano anche che è cambiata la natura di chi parte: ieri in maggioranza contadini analfabeti, oggi in prevalenza giovani provvisti di titoli di studio.

Il fenomeno è complesso e si legano varie cause: innanzi tutto la crisi che spinge a cercare opportunità altrove; poi la globalizzazione che ha insegnato ai giovani a muoversi facilmente; la maggior padronanza delle lingue; il cambiamento del lavoro che diviene spesso nomade e cambia più volte nel corso della vita. Possiamo aggiungere al capitolo dello spostarsi anche il ritorno dei giovani alla terra: i dati ci descrivono 50mila nuove aziende agricole in Italia tenute da under 35. A questo si lega anche l’affermazione dei prodotti “bio”.

Anche da Spagna e Portogallo centinaia di migliaia sono emigrati durante questi anni, verso l’Africa (Mozambico, Angola) o l’America Latina, riprendendo le vecchie rotte. Ma stranamente l’emigrazione non è più solo un fenomeno del sud Europa: secondo l’istituto statistico tedesco 138.000 tedeschi hanno lasciato la Germania nel 2015, e si prevede un aumento per il 2016. Anche a Berlino c’è polemica sulla «fuga di cervelli e talenti», come a Roma. Forse i giovani si muovono perché è cambiata la generazione. In altre parole: andare senza andarsene, visto che il messaggio della globalizzazione è accettare di spostarsi e spostarsi ancora.

Resta che nel nostro Paese esiste comunque un problema in più come si vede al Sud, dove non c’è lavoro per i giovani. Per certe aree siamo ancora ingabbiati in una logica di non sviluppo, a cui partecipano attivamente le mafie. Se poi aggiungiamo il problema del NEET – senza lavoro ma anche non in formazione e non alla ricerca allora abbiamo un quadro grave. Giustamente il CGIE si fa ambasciatore di questa situazione e si propone come protagonista nel sostenere i giovani a stabilirsi all’estero: non sempre è facile come sembra. Ma laverà risposta è una politica nazionale di sviluppo che sfrutti tutte le possibilità.

Una prima linea di azione è stata quella del puntare su una maggior internazionalizzazione delle imprese; chi è più internazionale resiste meglio alle crisi. Road Show, missioni di sistema nel quadro di un piano straordinario voluto da Andrea Calenda, ministro dello Sviluppo Economico, che ha già dato i suoi frutti. Ora il MISE punta su Industria 4.0. Internazionalizzare significa anche attrarre investimenti da fuori e questo è sempre un tema delicato in Italia: appena qualcuno viene ad investire dall’estero si grida allo scandalo. Con le opportune garanzie, non è male che stranieri mettano qui i loro capitali, anzi si dovrebbe fare molto di più. Anche il settore della cooperazione allo sviluppo è un canale di opportunità: dal 2015 al 2016 il sistema delle ONG ha aumentato di circa il 20% le assunzioni. Spesso è un’occupazione all’estero, ma non una fuga. In termini generali lavorare nel sistema internazionale può rappresentare una soluzione per molti dei nostri giovani: l’ONU e le sue agenzie, la UE, il servizio civile internazionale, servizio volontario europeo, Junior Professional officers , programmi di fellowship… Le offerte sono numerose, anche temporanee, ma spesso difficili da scovare. Un giro per le università in ogni regione, che abbiamo iniziato da Napoli e Catania, permetterà di orientare ¡giovani in maniera più completa. Il mondo della ricerca è anche un universo che pochi conoscono: centri esistono in diverse regioni, spesso sconosciuti. Infine vi sono le opportunità offerte dai mestieri della cultura. È un settore in cui l’Italia è all’avanguardia ma non ne è abbastanza consapevole. Fino agli scorsi Stati generali della lingua e della cultura di Firenze, non esisteva nemmeno un sito che mettesse in fila le varie possibilità. Ora sono sul portale del MAECI, e l’abbiamo costruito assieme a MIBACT e MIUR. Cinema, media, arti, musica, restauro, gioielleria, archeologia, moda, archivistica, design, insegnamento della lingua ecc., in ognuno di tali settori vi sono molti mestieri possibili. Non è detto che tutti debbano fare le medesime facoltà o gli stessi studi. Stiamo provando a connettere tutte le potenzialità per renderle più fruibili e più attraenti. Molto si può fare anche solo scoprendo ciò che già esiste ma resta isolato e poco conosciuto.

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