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Alfano «Risposta giustificata dalle violazioni di Damasco. Ma ora si torni all`Onu» (Corriere della Sera)

Ministro Alfano, siamo così sicuri che l’aviazione di Assad abbia usato armi chimiche nel bombardamento di Khan Sheikhoun e non abbia invece colpito con munizioni convenzionali depositi di armi chimiche dell’Isis, come sostengono i russi?

«Sul piano pratico, i missili lanciati dalle navi americane hanno colpito le basi siriane da dove è partito l’attacco contro i civili. Detto altrimenti, la risposta degli Usa non è un attacco a popolazioni locali, tantomeno a forze militari russe o altro, ma una risposta alle ripetute violazioni del cessate il fuoco da parte di Assad e alle molte violenze compiute dalle sue forze armate ai danni delle popolazioni civili. Quindi è stato un segnale concreto e mirato. Non voglio dire che si possa prescindere dall’accertamento definitivo di che cosa è successo a Khan Sheikhoun, dove ci sono state decine di morti, soprattutto bambini. Ma, in ogni caso, come conferma il giudizio della comunità internazionale, si è trattato di un intervento con un obiettivo condiviso e giustificato. Non solo, ma anche il fatto che i russi siano stati informati preventivamente, dimostra la volontà di evitare di coinvolgere inavvertitamente i loro soldati».

Lei esclude che l’attacco preluda a nuove azioni, portando a un’escalation?

«Il Pentagono ha detto chiaramente che si è trattato di un’azione singola. E il paradosso è che proprio l’intervento “one off” degli Stati Uniti potrebbe tirar fuori dallo stallo un negoziato che negli ultimi mesi ha subito un forte rallentamento. È venuto meno anche il cessate il fuoco prodotto dal vertice di Astana, l’esercizio diplomatico sul quale la Russia ha misurato la propria capacità di accreditarsi presso la comunità internazionale. Ora la finestra di opportunità coincide nuovamente con l’Onu e la trattativa di Ginevra, guidata da Staffan de Mistura. Riconosciamo i meriti di Astana, ma la soluzione può venire solo dalle Nazioni Unite. E oggi occorre usare lo choc prodotto dall’azione decisa dal presidente Trump per riaprire la partita di Ginevra».

Lei ha detto di guardare con interesse alla visita del segretario di Stato americano Tillerson a Mosca. Ci sono ancora le condizioni di un rilancio del dialogo tra Russia e Stati Uniti?

«Qualunque persona di buon senso non può che augurarselo. Una ripresa dei rapporti giova alla pace, alla stabilità ed è di beneficio per tutti. Continuo a pensare che sia un errore isolare Mosca. Avevo sperato che la vicenda siriana fosse un terreno d’intesa nuovo tra Russia e Stati Uniti, sin dall’esordio dell’Amministrazione Trump. Era palese l’interesse reciproco, quello di Putin a chiudere l’impegno militare russo e quello di Trump di tornare a interessarsi della Siria. Non è andata esattamente così , ma ora quello scenario si può riaprire, dopo il passaggio traumatico determinato dalla tragica morte di quei bambini e dalla reazione americana».

In che modo?

«Tornando all’Onu, come luogo privilegiato per cercare un punto di equilibrio in grado di stabilizzare la Siria, avviando la transizione politica al termine della quale i siriani potranno scegliere il loro leader e al tempo stesso aprire all’Europa lo spazio della ricostruzione su cui investiamo molto della nostra leadership».

C’è il timore che l’azione americana abbia conseguenze negative in Iraq, dove le milizie sciite legate all’Iran combattono al fianco delle forze Usa contro l’Isis. È fondato?

«Dobbiamo esser chiari: la coalizione anti-terrorismo è ampia e copre decine di Paesi che non sempre sul piano bilaterale hanno buoni rapporti fra di loro. Occorre fare di tutto per tenere unita questa alleanza contro il nemico comune rappresentato da Daesh, tanto più di fronte a notizie come il tragico attentato di oggi a Stoccolma. La sfida è globale, asimmetrica e mortale. Ecco perché è l’Onu il luogo vero dove si può realizzare una sintesi sulla Siria, che non sfasci la coalizione anti-terrorismo».

L’azione decisa in Siria riporta l’Amministrazione Trump in un solco più tradizionale della politica estera degli Stati Uniti?

« Sì. Primo, rende gli Stati Uniti nuovamente protagonisti in uno scacchiere dal quale si erano un po’ defilati. Secondo, riporta l’America, se è confermato il sostegno dei democratici all’intervento, all’unità interna in politica estera. Terzo, riconduce gli Usa nel quadro di azioni che sono fortemente condivise dall’Unione Europea. Basta vedere le dichiarazioni dei governi italiano, tedesco, francese e inglese per rendersene conto. E tutto questo produce anche conseguenze di politica interna europea».

In che senso?

«C’è un filone di contestazione contro l’intervento deciso da Trump, quello dei populisti: Le Pen, Lega, Movimento 5 Stelle. Finora avevano applaudito Trump nei giorni pari e Putin in quelli dispari. Ora la realtà impone delle scelte. E l’evidenza dice che i governi europei, quelli governati dai popolari, dai socialisti o da queste forze insieme, prendono posizione al fianco dell’alleato americano. Mentre le forze anti-europeiste si schierano contro gli Stati Uniti. Questo è lo spartiacque odierno in Europa».