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Giro: “Tenerli in Libia è come spedirli in un inferno” (La Stampa)

«Le nostre navi continueranno a raccogliere i migranti. Sarebbe auspicabile, anche quelli ospitati da imbarcazioni bloccate dalla Guardia costiera libica, quando le nostre imbarcazioni siano in condizione di poterlo fare. Perché riportarli in Libia, in questo momento, vuoi dire riportarli all’inferno».

L’impegno umanitario in questo complesso momento è, per il vice ministro agli Esteri Mario Giro, la stella polare dell’intervento italiano. Una posizione che assume una valenza ancor più significativa nel giorno in cui la Marina militare libica ha annunciato l’arresto di 826 migranti in due diverse operazioni a Nord di Sabrata e Zawia.

Riportare semplicemente queste persone in Libia non garantisce la loro incolumità e non risolve le situazioni.

«Esatto, i migranti finiscono in centri di detenzione nelle mani delle milizie, che ne approfittano per fare i loro commerci; questa politica non raggiunge nemmeno l’obiettivo di alleggerire la situazione, c’è molta gente che vive su questi traffici. Per ora non è stato possibile avere dei campi “normali” in Libia, sotto il controllo delle istituzioni internazionali, è un obiettivo da raggiungere, quello reale».

Però dopo la sfida di uno dei vice del premier Sarraj, anche il governo riconosciuto della Libia sembra ora diviso sulla nostra missione navale…

«Quello che è importante è quello che pensa la parte più forte, le milizie di Misurata e di Tripoli stessa, sappiamo ci sono diverse sensibilità anche nel governo di Tripoli».

C’è chi dice: non sarà un errore il nostro asse privilegiato con Sarraj? Macron, in maniera per alcuni più avveduta, ha invitato a Parigi sia il premier riconosciuto, sia Haftar, li ha voluti entrambi.

«Non esiste un asse privilegiato, dialoghiamo con tutti e non abbiamo la pretesa di rimanere da soli. Non vogliamo dettare la linea ma partecipare a una soluzione che coinvolga tutti, gli altri Paesi europei, l’Egitto, la Turchia, i Paesi del Golfo, la Russia, gli Stati Uniti. Sappiamo che è un percorso lungo. Ma dopo che una decisione sostanzialmente unilaterale, quella della Francia e della Gran Bretagna del 2011, ha prodotto l’attuale disastro, non ci sembra il caso di proseguire su quella strada».

La questione Ong. Al di là delle inchieste, c’è chi si chiede se, nei fatti, delle organizzazioni molto affini ideologicamente al mondo no global debbano decidere della politica immigratoria di un Paese.

«Noi siamo sottoposti a una situazione che si è creata negli anni di vuoto dopo Mare Nostrum, nel 2014 e nel 2015, in cui è arrivato l’intervento di queste organizzazioni. Sulle inchieste, aspettiamo i risultati. Il codice Minniti serve intanto a ristabilire una fiducia reciproca tra tutte le parti in causa. Può esserci dietro alcune Organizzazioni non governative un’ideologia “no border”, una sorta di estremismo umanitario; ma va compreso, di fronte alla tragedia che sta avvenendo. Preferisco un estremismo umanitario ad altri tipi di estremismi».

La collaborazione con le Ong continuerà?

«Su questo tema non bisogna scaldarsi troppo. Ci vuole un atteggiamento pragmatico che riconosca come le Organizzazioni non governative siano ormai divenute una componente imprescindibile del diritto internazionale umanitario».

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