«L’ingresso di tutti i Paesi balcanici è un obiettivo ambizioso, ma certamente fattibile e l’Italia è in prima linea per realizzarlo. I Paesi della regione devono affrontare sfide complesse ma necessarie. Ciascuno completerà il percorso secondo le proprie capacità, ma è fondamentale che tutti raggiungano questo obiettivo strategico». Se ne dice convinto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, commentando l’idea, evocata dal presidente sloveno Borut Pahor, di un allargamento dell’Unione a tutti i Paesi balcanici extra-Ue, contemporaneamente.
La scorsa settimana lei ha parlato di grave rischio di perdita di credibilità dell’Unione nei Balcani a causa dei ritardi nell’allargamento. Pensa che il messaggio sia stato recepito nelle capitali europee?
«A Bruxelles abbiamo tutti condiviso che l’Ue non può guardare ai Balcani Occidentali semplicemente come a una delle regioni del proprio vicinato. È la porta di casa e questo impone un’assunzione di responsabilità maggiore. Tutti gli Stati membri sono a favore dell’allargamento, anche se possono esservi differenti sensibilità tra i Ventisette su singoli punti. È su questa base che occorre lavorare per un cambio di passo da parte dell’Ue».
Quali sono gli Stati Ue che, al momento, sono più restii a premere sull’acceleratore dell’integrazione dei Balcani? E come convincerli a cambiare posizione?
«La dialettica tra gli Stati membri è sempre viva e rispettiamo il punto di vista di chi chiede più riforme ai Paesi della regione. Anche noi siamo convinti che il loro allineamento agli standard europei sia nell’interesse di tutti, ma dobbiamo incentivare questo processo. L’Italia continuerà a battersi per un rilancio dell’azione Ue che si traduca in un avanzamento concreto dell’integrazione europea dei Balcani occidentali».
Se si continuerà a frenare sull’allargamento, quali i rischi per i Balcani? E quali per la Ue?
«Lasciare questi Paesi fuori dalla Ue sarebbe un errore di portata storica, un’ingiustificata miopia politica che favorirebbe attori terzi non necessariamente interessati alla piena integrazione della regione nella Unione. Verrebbe inoltre meno la leva più importante a nostra disposizione per risolvere le questioni aperte e sciogliere i nodi politici che ancora oggi bloccano lo straordinario potenziale dell’area».
Un “non-paper” circolato al Consiglio Affari esteri ha segnalato «profonda delusione» nella regione anche per il mancato arrivo di vaccini dalla Ue. L’Unione poteva fare di più, senza lasciare i Balcani alla mercé di Cina e Russia?
«Comprendiamo bene la frustrazione dei Paesi della regione per i ritardi con cui sono state ricevute le dosi di vaccino. Abbiamo condiviso lo stesso sentimento a causa delle inadempienze delle case farmaceutiche. In questi mesi mi sono personalmente attivato con Bruxelles affinché la Commissione Europea potesse farsi carico direttamente dell’approvvigionamento dei vaccini per i Balcani Occidentali. Sappiamo bene che è necessario fare di più e, non appena la campagna vaccinale lo permetterà, anche come Italia lo faremo».
Tornando alla questione allargamento, ci saranno buone notizie per Albania e Macedonia del Nord a proposito dell’inizio dei negoziati?
«Ce lo auguriamo tutti perché a distanza di oltre un anno dalla decisione di aprire i negoziati con Skopje e Tirana non sono accettabili ulteriori ritardi. A Bruxelles la settimana scorsa ho sottolineato come la credibilità dell’intero processo di allargamento rischi di risultare danneggiata se non dovessimo sbloccare questa decisione e continueremo a lavorare senza sosta fin quando questo risultato non sarà raggiunto».
Ha delle previsioni anche sul dialogo Serbia-Kosovo? Che soluzione proporrebbe a Belgrado e Pristina?
«E uno dei nodi più importanti che restano da sciogliere. Lo status quo non giova a nessuno: al contrario, lascia la porta aperta a tensioni e reciproche recriminazioni che finiscono per riflettersi negativamente su tutta la regione. Per questo continuiamo ad incoraggiare le due parti a lavorare con spirito costruttivo attraverso il dialogo facilitato dalla Ue per arrivare a una soluzione finale».
E la Bosnia? Rimarrà ancora indietro nel processo d’adesione o si può fare qualcosa?
«Non possiamo permettere che ciò accada. Esiste ora, prima delle elezioni politiche nell’autunno 2022, un’opportunità di avanzare con le riforme che il Paese deve adottare. È questo il senso della missione che ho compiuto a Sarajevo a fine marzo, durante la quale ho esortato tutti gli attori politici locali a lavorare in modo coeso per una visione comune sul futuro del Paese».
In che anno pensa che i Paesi della regione potranno diventare membri Ue?
«Non mi avventuro in previsioni, ma dico solo che prima avremo raggiunto questo obiettivo e meglio sarà per tutti noi europei. Abbiamo oggi nella regione giovani che chiedono a gran voce di poter entrare in Europa cui dobbiamo rispondere positivamente».
Sempre Pahor ha ribadito l’importanza di un seggio garantito alla minoranza slovena al Parlamento italiano attraverso una riforma della legge elettorale. A che punto siamo?
«Siamo consapevoli dell’importanza che assume per la minoranza slovena tale questione che va però affrontata nel contesto della riforma della legge elettorale, il cui ambito naturale di trattazione è il Parlamento. I lavori stanno proseguendo ed è attivo un dialogo interparlamentare con Lubiana su questo tema. Vorrei anche ricordare che con la legge 38 del 2001 l’Italia si è dotata di una cornice di tutela giuridica della minoranza slovena giudicata eccellente dal Consiglio d’Europa.