La frattura resta, e anzi si aggrava. «La notizia di sette navi di ong, alcune battenti bandiera tedesca, che vanno verso Lampedusa conferma la nostra preoccupazione e la nostra analisi, e quello che avevo appena detto al ministro Baerbock», attacca Antonio Tajani, reduce a Berlino dall’incontro, non privo di asprezze, con l’omologa Annalena Baerbock. Il vicepremier e ministro degli Esteri non nasconde stupore, e un filo d’irritazione.
«Mi pare veramente strano, preoccupante. Nel giorno in cui si avanza una proposta (al Consiglio Ue, ndr), si fanno arrivare tutte queste navi. È una coincidenza? Cosa c’è dietro?», ragiona il titolare della Farnesina. Che già nel pomeriggio, tenendo il punto al fianco della ministra che ribadiva il sì al finanziamento per quelle navi, aveva definito le ong «calamita per migranti irregolari, tutti portati sulle nostre coste».
Ministro Tajani, quali sospetti avanza?
«Mi faccio domande. C’è un interesse elettorale? Di altro tipo? Non può essere, è una cosa che non funziona. Qualcuno forse vuole impedire che ci sia un accordo? C’è veramente molto stupore».
Ma cosa contesta alla Germania: che salvino i naufraghi? Intanto la sua omologa conferma che «in tre casi» i fondi stanno per essere versati alle ong.
«Il soccorso in mare è sacrosanto. Ma non si possono finanziare navi ong che vanno a prendere migranti e poi li portano in Italia. Questo è ciò che accade e sta dimostrando che c’è qualcosa che non funziona. Se si vuole fare veramente questo percorso, allora i migranti che vengono raccolti da una nave ong portano i migranti nel paese di cui battono bandiera. Questa è l’unica soluzione possibile. Anche perché tantissimi di questi uomini e donne in fuga vorrebbero raggiungere altri Stati europei. Ecco che cosa è singolare, viene un dubbio».
Quale?
«Il punto è salvare i migranti o evitare che arrivino in Germania?».
Solo divergenze? E gli accordi?
«Questo disaccordo resta, ma dentro un rapporto antico di amicizia tra i nostri Paesi, e naturalmente siamo d’accordo sull’idea che occorra adesso una soluzione europea, che dobbiamo collaborare».
Eppure ieri si è bloccato, al Consiglio Ue, per lo stop dell’Italia, l’esame su quel Patto sull’Emigrazione e l’Asilo.
«Il ministro dell’Interno sta valutando aspetti giuridici. Ma gli accordi non si fanno “cotti e mangiati”. Noi abbiamo aspettato gli altri per mesi, se si aspetta un’ora l’Italia non succede niente, non mi pare un delitto di lesa maestà».
Al di là delle divergenze tra Paesi o dello slogan sul Piano Mattei, non pensa che sia tempo di risposte strutturali e umanitarie sulla grande crisi migratoria?
«Io parlo di un Piano Marshall per l’Africa, da una dozzina d’anni, ero commissario europeo ai Trasporti. E da allora dico che servivano almeno 60 miliardi per far crescere il continente africano. Lo hanno fatto i cinesi, e in misura ben maggiore. Oggi con più forza dico che bisogna fare un’operazione d’amicizia con l’Africa: questo spetta all’Europa, e spetta in particolare agli italiani».
Altro che amicizia. Il governo risponde alla crisi con la politica di polizia: il Piano sui Cpr, la cauzione.
«Attenzione, bisogna intervenire sugli irregolari, controllare chi ha diritto all’asilo. Ma certo la politica di polizia non è la soluzione a lungo termine. Noi avremo nel 2050, in quel continente, intorno ai 3 miliardi di africani. Su cui gravano cambiamento climatico, terrorismo, guerre civili, povertà, fame: dovremo fare i conti con una situazione molto diversa. Lo dico da qualche decennio: forse sono la vox clamantis nel deserto? Serve tempo, serve diplomazia, serve pazienza».
Lo sta dicendo anche a Salvini, spina nel fianco del governo, che accende la campagna elettorale: anche con il prossimo raduno italiano dell’ultradestra?
«Lui fa Salvini, è legittimo: ma non incide sull’attività di governo. D’altro canto, siamo sempre stati e saremo in famiglie politiche diverse a Bruxelles, ma qui governiamo insieme. Io rispetto gli alleati, ma ho la mia identità, noi siamo diversi, ed è una delle lezioni che ci lascia Berlusconi. Forza Italia è un partito serio. Noi non urliamo, non lavoriamo solo sugli slogan. Facciamo alcune azioni politiche: per esempio sugli extraprofitti. E solo nell’interesse degli italiani: io non ho banche».
Lei no, gli eredi Berlusconi si.
«Marina Berlusconi ha espresso un parere: non le piaceva la tassa sulle banche, ma le aziende sono una cosa, il partito è un altro».
Ecco, il partito che verrà: oggi, giorno del compleanno di Silvio, lei apre a Paestum la tre-giorni di Fi.
«Il primo giorno ricorderemo la grandezza di Berlusconi, ma non in tono nostalgico; nel secondo, tanti tavoli tematici, su crescita, energia, competitività, riduzione della pressione fiscale. E poi dovremo confrontarci su un partito ancora più aperto».
Una nuova Forza Italia?
«Un nuovo modello, ancora più democratico, radicato sul territorio. Un partito, per dirla in maniera secca, che sia: cristiano, liberista, garantista, fortemente europeista e atlantista. Ma dico “nuovo” solo perché non sono megalomane, non posso pensare di essere l’erede di Berlusconi. L’obiettivo? Occupare uno spazio che sia saldamente al centro: di gravità permanente, per citare un grandissimo Battiato».
La partita dei vicesegretari: è già tutto deciso o una contesa vera?
«Certo: sono stato io a volere non i nominati, ma l’elezione di tutti. E se sarò eletto, avremo un partito più plurale. Se ne parlerà comunque a febbraio, al congresso di Roma».
E i mal di pancia interni: da Schifani a Mulè- Ronzulli?
«Non mi pare ci siano differenze sulla linea politica, onestamente. Altro sono le legittime ambizioni. Ma per questo ho voluto che fosse un congresso vero. Forza Italia sarà un partito davvero contendibile