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Tajani: «Al lavoro senza sosta. Ora il conflitto non deve diventare inevitabile» (Corriere della Sera)

Tajani: «Al lavoro senza sosta. Ora il conflitto non deve diventare inevitabile» (Corriere della Sera)
Tajani: «Al lavoro senza sosta. Ora il conflitto non deve diventare inevitabile» (Corriere della Sera)

ROMA – Ha appena terminato una lunga riunione con gli ambasciatori italiani nei Paesi del Medio Oriente, e quasi alla fine di un’altra giornata incandescente sul fronte internazionale Antonio Tajani ha una convinzione. La situazione, dice il ministro degli Esteri, è «preoccupante», certo, perché gli scontri si moltiplicano e la polveriera è sempre vicina al fuoco. Ma, al momento «non sembrano essere imminenti reazioni che portino ad una escalation distruttiva. Dobbiamo tutti adoperarci in ogni modo per non interrompere la possibilità di tenere vivo il dialogo e arrivare a un cessate il fuoco a Gaza. La guerra non deve diventare inevitabile. E per questo ci stiamo impegnando con contatti continui, dobbiamo lavorare giorno e notte».

Non teme la reazione dell’Iran dopo l’uccisione del leader politico di Hamas Haniyeh?

«La nostra speranza è che non avvenga, anche se le prime dichiarazioni potrebbero andare in questo senso. È evidente che siamo sul filo del rasoio, ma se da Teheran si chiede l’intervento dell’Onu — quindi si coinvolge la comunità internazionale sul piano politico — potrebbe significare che non si assisterà a una reazione sproporzionata. Ne ho appena parlato con il mio collega ministro degli Esteri emiratino, che poche ore fa era a Teheran, proprio per l’insediamento del nuovo presidente. Non parliamo ad  alta voce dell’incendio, proviamo a spegnerlo con la diplomazia silenziosa e con azioni discrete».

L’atteggiamento di Israele le sembra proporzionato?

«Non so e non voglio giudicare nello specifico se questo gesto sia più grave di altre ritorsioni o azioni di guerra: ma insisto, noi abbiamo il compito di lavorare per evitare in ogni modo l’escalation. E anche oggi, come già abbiamo fatto in passato, ad Israele diciamo che il diritto all’autodifesa è indiscutibile, ma che non si deve cadere nella trappola di reazioni alle azioni di Hamas e Hezbollah che siano sproporzionate. Adesso che di fatto è finita l’offensiva a Gaza contro Hamas (che è stato sostanzialmente sconfitto sul territorio, tanto che sono ripresi gli aiuti alla popolazione), bisogna lavorare per liberare gli ostaggi, per il cessate il fuoco, non rendere impossibile una stabilizzazione dell’area».

L’Italia è presente nella missione Unifil in Libano, altro fronte bollente.

«Sì, anche lì siamo in contatto continuo e diretto con i nostri connazionali. Tremila vivono stabilmente in Libano, spesso hanno doppio passaporto, e non hanno intenzione di essere evacuati, circa trecento possono farlo se lo chiedono, noi siamo pronti per ogni evenienza, ma al momento non sembra esserci un pericolo immediato».

Sta tranquillizzando l’opinione pubblica?

«Non tranquillizzo né drammatizzo: monitoriamo in tempo reale. Al momento sembra che rischi imminenti non ce ne siano».

Però i nostri soldati sono in un campo di guerra

«Abbiamo chiesto attraverso il ministro Crosetto all’Onu che venga valutata la situazione e garantita la sicurezza dei nostri soldati sul posto, con un mandato chiaro e non equivoco. Non dipende da noi quello che si può fare sul campo, ma dal mandato internazionale. Siamo ben attenti a che nulla venga lasciato all’improvvisazione. Allo stato però, lo ripeto, non sembra ci siano rischi imminenti. Noi lavoriamo perché prevalga il buonsenso da tutte le parti, è il nostro ruolo, quello della mediazione su tutti i fronti».

Anche in Venezuela c’è un fronte aperto dopo il voto che ha portato alla rielezione di Maduro.

«Sì, ed è un altro dei teatri di possibili conflitti, in questo caso interni, che seguiamo con estrema attenzione: 163 mila italiani in Venezuela sono iscritti all’Aire, i nostri riflettori sono accesi. E, ho ringraziato anche la nostra opposizione, mi sembra che il nostro Paese sia unito, in linea con quanto chiesto oggi in un documento del G7: far partecipare alle operazioni di controllo del voto anche le opposizioni e osservatori indipendenti».

Venendo ai fronti interni, si parla molto di FI: è vero che sono imminenti nuovi arrivi da partiti centristi come Iv e Azione?

«Noi stiamo costruendo un progetto: vogliamo creare la “dimora” dei moderati, il centro di gravità permanente della politica italiana. Siamo arrivati al 10% quando ci davano per morti: adesso ci poniamo l’obiettivo del 20% per le prossime Politiche. Ma per farlo non ci servono singoli nomi, bensì idee, progetti. Non siamo il rifugio per chi non ha più un partito alle spalle… Sia chiaro, chi vuole venire a lavorare con noi è il benvenuto, e ci saranno anche arrivi importanti a breve. Ma non ci cambia avere 2 deputati, 2 senatori, 2 consiglieri regionali in più. Non è così che si conquista la fiducia degli elettori, ma con progetti seri».

Un cardine del vostro progetto è la battaglia per carceri più umane?

«Fa parte del programma che ho presentato quando sono stato eletto segretario. Noi non siamo il partito del “tana libera tutti”, e siamo per pene certe da scontare. Ma in modo umano, con la privazione della libertà, senza imprigionare gli uomini come topi in gabbia. È l’unico modo per restituire alla società cittadini, non ex detenuti che magari tornano liberi e poi tornano a delinquere. Il carcere deve tendere alla riabilitazione dell’individuo».

Avete contestato anche la carcerazione preventiva di Toti, ma avete trovato un candidato per le prossime elezioni in Liguria?

«Io credo che sia utile tenere un election day per le tre Regioni al voto in autunno, e sulla Liguria penso serva un candidato civico. Ma che sia vincente, non che corra solo per partecipare. Di questo stiamo ragionando».

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