Ministro Antonio Tajani, lei è responsabile della politica estera ma anche del “commercio estero”: la lettera di Trump sui dazi all’Europa è una brutta sorpresa. Come la commenta e come reagirete?
Era atteso un intervento di questo tipo del presidente Trump, che io valuto come un passaggio della sua tattica negoziale. Il negoziato non è terminato, e già nelle prossime ore la presidente Von der Leyen, il commissario Sefcovic e tutti i nostri tecnici saranno al lavoro per studiare le prossime mosse. Nel frattempo tutte le possibili opzioni sono state già previste come sapete. Non vogliamo lo scontro con gli Stati Uniti, ma vogliamo difendere le nostre aziende, la nostra industria e i nostri lavoratori. Dobbiamo trattare a testa alta. Questa fase di incertezza deve terminare, le nostre aziende hanno bisogno di certezze, devono lavorare negli Stati Uniti in un quadro chiaro. Come hanno detto i miei colleghi del Ppe al Parlamento europeo «negoziare se possibile, reagire se necessario». Io sono sempre ottimista, ma non possiamo che difendere l’industria europea.
Proprio alla “Conferenza di Roma” sull’Ucraina con gli Stati Uniti sembrava essere tornata maggiore sintonia: ci sono rischi che il clima cambi a causa delle decisioni sui dazi?
Il generale Kellogg, col quale ho avuto un incontro bilaterale, era a fianco a me nella riunione dei donatori e poi ha partecipato alla Conferenza e alla riunione dei “volenterosi”. Gli Stati Uniti, che non se ne sono mai andati, adesso stanno tornando con più forza. Trump per la prima volta ha indicato che vi saranno nuovi aiuti militari, in particolare le batterie antiaeree, ma l’assistenza economica e umanitaria non si è mai fermata, e in particolare quella a sostegno della resilienza energetica ucraina. A dispetto della retorica, Stati Uniti ed Europa continuano a lavorare insieme e questo vale anche per la ricostruzione.
Dalla Conferenza di Roma sono emersi impegni finanziari per io miliardi da parte dell’Italia, ma l’ammontare complessivo potrebbe salire ulteriormente? Banca Mondiale stima danni ad oggi per 5oo miliardi di dollari.
Il Governo ucraino ha definito questa conferenza «la più produttiva di risultati di sempre»: sono stati stanziati io miliardi di fondi pubblici per la ricostruzione dell’Ucraina. Una base importante, che con l’effetto leva è destinata a crescere producendo un potenziale di investimenti assai maggiore. Questo dimostra che il livello di supporto nei confronti dell’Ucraina e dello sforzo che sta compiendo questo coraggioso Paese si sta riaccendendo. A Roma abbiamo avuto 8.000 partecipanti, decine di capi di governo e ministri. La scelta di sostenere Kiev non solo è giusta ma resta largamente condivisa dai nostri governi e dalle opinioni pubbliche. Gli stessi contratti firmati dalle aziende a Roma valgono circa 5 miliardi: anche in questo caso sono cifre destinate a crescere, soprattutto se riusciremo a raggiungere l’obiettivo di una pace giusta, duratura e sostenibile e a far partire la ricostruzione nelle aree che più ne hanno bisogno.
La novità è anche la creazione di uno strumento nuovo, un fondo di investimento europeo: potrebbe essere la strada per futuri interventi?
Si tratta effettivamente di una novità importante. Quando Blackrock si è ritirata ad inizio anno, non ci siamo lasciati spaventare e abbiamo cominciato a lavorare con i governi francese, tedesco e polacco e con le rispettive banche di sviluppo – per noi Cdp – per creare un fondo equity che riuscisse ad ovviare all’assenza di capitali privati da investire in Ucraina. Lo abbiamo fatto insieme alla Commissione europea, attraverso le garanzie offerte dalla facility istituita a Bruxelles per sostenere l’Ucraina. Anche qui il potenziale di sviluppo in termini di investimenti mobilitati è importante, potendo arrivare fino a 2 miliardi. Ma ripeto, non è la mole di finanziamenti l’unico metro del successo: è il sostegno politico fortissimo di chi non vuol abbandonare l’Ucraina e anzi raddoppia gli sforzi.
Quindi lei dice che gli stanziamenti che arrivano dai bilanci statali inevitabilmente si tireranno dietro il ritorno dei finanziamenti privati al momento opportuno?
Per ricostruire l’Ucraina, una partita strategica che vale 500 miliardi di euro secondo la Banca mondiale, i fondi pubblici non sono sufficienti. Bisogna mobilitare gli investimenti privati. L’elemento più importante è la fine del conflitto. Allo stesso tempo dobbiamo essere preparati e predisporre gli strumenti finanziari-assicurativi più idonei per intervenire rapidamente. Ho voluto pertanto mobilitare Cdp, Sace, Simest, ciascuna delle quali con i suoi strumenti può svolgere un ruolo importante. La prima, che gestisce il fondo rotativo della nostra Cooperazione allo sviluppo è il braccio operativo dei nostri interventi finanziari. Sace è pronta ad intervenire a supporto di progetti strategici per l’Ucraina fino a 1,5 miliardi di euro. Simest ha istituito una riserva di 300 milioni di euro a valere sul fondo 394 del Ministero degli Affari Esteri, a supporto della competitività delle imprese italiane coinvolte nella ricostruzione dell’Ucraina. Ho firmato un accordo col governo ucraino che mette insieme questi tre strumenti per creare un pacchetto strategico di finanza agevolata.
A Roma erano presenti centinaia di imprese, molte delle quali hanno siglato accordi con soggetti ucraini, oltre zoo: come è il dialogo con il mondo industriale, e con le associazioni che le rappresentano?
A Roma è sceso in campo il meglio dell’industria, delle imprese europee, con gli italiani in prima fila. A Roma ho visto schierato un vero “esercito civile” che contribuirà moltissimo alla vittoria dell’Ucraina: le industrie e la finanza che già lavorano alla ricostruzione e al consolidamento del paese, mentre la guerra è ancora in corso. Ho visitato gli stand delle aziende italiane e ucraine che mostravano soltanto voglia di lavorare al più presto. La Confindustria italiana ha ricevuto l’incarico decisivo di coordinare il Business Advisory Council, con la delega affidata alla vicepresidente Barbara Cimmino. Non è un solo incarico “tecnico”: è un incarico di altissimo livello “politico”, a cui Confindustria lavorerà con il pieno sostegno del Governo italiano, per sostenere il paese oggi nella sua difesa e domani nella sua ricostruzione. Le parole del cancelliere tedesco Merz di complimenti a Confindustria e il suo sprone sono condivisi dal Governo italiano.
Servirà anche il coinvolgimento delle banche italiane, alcune di loro hanno esperienza particolare nell’est Europa: sono pronte ad investire sul progetti in Ucraina?
Il ruolo delle banche e delle assicurazioni, almeno in questa fase, è fondamentale. C’è bisogno di strumenti finanziari idonei e occorre attrezzarsi per ridurre i rischi che vi sono nell’operare in una realtà di guerra. Abbiamo bisogno anche delle banche per affiancare la progettualità del governo ucraino, in modo tale che possano essere presentati progetti “bancabili” secondo una chiara linea di priorità. L’Ucraina è un’economia caratterizzata da migliaia di piccole e medie imprese che agiranno anche con piccole imprese italiane ed europee. Le banche per portare queste ultime a partecipare ai grandi progetti di ricostruzione, cui non potrebbero accedere da sole, lavorando sulle filiere. Alla conferenza di Roma erano presenti tutti i principali soggetti finanziari del nostro paese, alcuni dei quali con un ruolo attivo nelle discussioni che vi sono state, e contiamo sul loro crescente coinvolgimento nel processo di ricostruzione.
I progetti di ricostruzione e di reindustrializzazione possono potenzialmente riguardare anche il piano generale sugli armamenti, viste le decisioni Nato e l’attenzione della Germania su questo aspetto.
Una delle principali novità di questa Conferenza, è stata l’introduzione della dimensione “industria strategica e difesa”, che non era presente a Berlino. L’Ucraina è diventata una straordinaria realtà in questo ambito e che investire nel paese non solo rafforza la difesa ucraina ma anche quella dei paesi europei in una logica di progressiva integrazione. Per questo motivo a Roma erano presenti i principali conglomerati della difesa e le nostre aziende nazionali e sono stati firmati una serie di accordi da parte di Mad. Fincantieri ha presentato il suo progetto di messa in sicurezza del porto di Odessa che è strategico sia per il traffico commerciale che anche per quanto riguarda i cavi sottomarini. Si tratta di un progetto al quale guardiamo con molta attenzione, visto che l’Italia è impegnata a sostenere la ripresa e la ricostruzione della città e della regione di Odessa, cui siamo legati per motivi storici, a cominciare dal suo patrimonio culturale. Anche qui Commissione e Banca europea degli investimenti possono avere un ruolo fondamentale».