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Tajani: «Il conflitto non finirà a breve se Mosca non sceglie il negoziato. Le tariffe? Piena fiducia nella Ue» (Corriere della Sera)

II ministro degli Esteri Antonio Tajani non è sorpreso dalle enormi difficoltà che ancora ostacolano il cammino della pace tra Russia e Ucraina: «Ho sempre detto che la guerra non sarebbe terminata perlomeno fino a fine anno. E ingenuo farsi illusioni: la Russia ha ampiamente riconvertito la sua potenza industriale nella produzione di anni, un soldato lo pagano il doppio di un operaio e ce n’è un milione sul campo. È complicato, ma bisogna fare marcia indietro da questo sistema di guerra. Putin ha costruito una macchina da guerra. Ora deve accettare che adesso il percorso sia quello del negoziato e della pace». Difende l’operato dell’Italia nel conflitto sanguinoso tra Israele e Hamas: «Facile indossare la kefiah e contestare il governo. Noi proviamo a lavorare ogni giorno, con tutte le nostre forze per la popolazione palestinese. Cercando di mantenere i canali aperti con Israele, perché è l’unico modo per salvare vite». E cerca di far calare la tensione dopo il nuovo annuncio di Trump sui dazi all’Europa: «Bisogna trattare, trattare e trattare. Una guerra commerciale non conviene a nessuno. E va fatto come Europa. II commissario europeo Sefcovic, con il quale ho parlato poche ore fa, è bravissimo». Tajani è a Città del Messico dove porta avanti quella diplomazia che è l’apertura di canali commerciali privilegiati, dopo essere stato in Giappone, in India, e dopo aver organizzato business forum anche in Italia con Paesi dai mercati importanti. E dal Messico il ministro rivendica i punti saldi della politica internazionale italiana.

Nel conflitto tra Russia e Ucraina ieri è stato il giorno dello scambio di prigionieri, ma gli scontri continuano. A cosa servono l’azione italiana, europea ma anche americana?

«Lo scambio di prigionieri è comunque un segnale positivo, ma non illudiamoci: la guerra non finirà in tempi brevi. Bisogna esplorare tutte le strade, lavorare a soluzioni per un cessate il fuoco e poi una pace giusta e duratura, anche se mentre lo facciamo cadono ancora le bombe, perché bisogna essere realisti. Ma detto questo le pressioni su Putin devono essere raddoppiate, la Russia deve capire che il percorso di guerra va abbandonato».

Come?

«Abbiamo varato l’undicesimo pacchetto di aiuti all’Ucraina, abbiamo come Europa imposto nuove sanzioni alla Russia, ma dobbiamo tenere conto di due fattori. Il primo, appunto, è che i russi avranno difficoltà a interrompere la guerra perché la loro economia in questo momento si regge moltissimo sull’industria bellica. E poi non va bruciato il canale aperto con il Vaticano. Una sede dei colloqui di pace come quella può essere il luogo giusto alla fine del cammino negoziale, non all’inizio».

L’Italia non fa parte dei Volenterosi che sarebbero pure pronti a una presenza militare. Un errore?

«Non siamo fra chi crede che inviare nostri soldati sul campo sia un elemento di soluzione in questo momento. Qualora ci fosse una decisione del Consiglio di sicurezza Onu, quindi anche con il voto della Russia, potremmo valutare di far parte di un contingente Onu con i nostri militari, per creare una zona cuscinetto tra i due Paesi».

Qual è ancora la nostra presenza economica in Russia?

«Si è ridotta, ma noi stiamo operando anche per proteggere le 270 aziende italiane che in Russia continuano a lavorare. Sono pezzi importanti della nostra economia. Lo dico anche a proposito del golden power su Unicredit: sul nodo che li obbliga a lasciare la Russia entro pochi mesi io resto critico, perché Unicredit è l’unica banca che può prestare servizi alle tante imprese italiane in quel Paese. Imprese che rispettano rigorosamente il dettato delle sanzioni internazionali. Stiamo attenti, è possibile che la data del gennaio 2026 per interrompere le attività in Russia sia troppo vicina».

Trump è tornato alla carica con i dazi. Salvini parla di un’Europa a dir poco inefficiente.

«Sui dazi, come dovrebbe sapere chiunque ne parli, noi non trattiamo come Italia ma tratta l’Europa. E abbiamo piena fiducia in Sefcovic e la Commissione, con cui i rapporti sono continui. A Bruxelles con il presidente Mattarella abbiamo incontrato von der Leyen, Metsola e Costa. E la premier Meloni ha facilitato il rapporto con Trump: lasciamo che le trattative proseguano. Non mi convince la retorica anti-europeista: noi siamo più forti se siamo uniti, non divisi. L’Europa serve a risolvere i problemi, non li crea».

Intanto però lei sta cercando altri mercati…

«È un dovere per chi guida un ministero come il mio, che dopo la riforma alla Direzione generale per la politica estera ne affiancherà una per la crescita dell’export. Noi siamo un Paese che genera il 40% del Pil con le esportazioni, il Messico è il primo Paese per export di tutta l’America latina».

L’Italia è sempre più sgomenta di fronte alla carneficina di civili a Gaza. Perché non siete più duri?

«Vogliamo essere efficaci, non vogliamo fare soltanto la faccia feroce per motivi di propaganda. Qualcuno pensa davvero che ritirando l’ambasciatore convinceremmo Netanyahu a fermarsi? Gli ambasciatori ci servono per parlare con i governi stranieri. Lo abbiamo detto dall’inizio e sempre più forte: basta con le reazioni militari incontrollate, basta con le vittime civili. Lo facciamo anche perché siamo vicini a Israele, e non vogliamo che la legittima critica a un governo porti a vergognosi rigurgiti di antisemitismo. Essere contro Netanyahu non può diventare modo per legittimare attacchi a tutto il popolo ebraico. In Italia è stata perfino offesa una donna di enorme valore morale, passato e presente, come Liliana Segre. Sono derive pericolosissime».

Ma per la Palestina il governo che fa?

«Moltissimo. Con la nostra operazione Food for Gaza, con la missione sanitaria della nave Vulcano della Marina militare, che ha curato decine di bambini palestinesi in Egitto. Come potremmo aiutare le persone, in carne e ossa, se non avessimo rapporti e canali aperti? Cerchiamo di salvare vite. Ben sapendo che non sarà possibile avere uno Stato palestinese finché Hamas penserà di avere una presenza in quelle terre. E finché non ci sia un negoziato positivo fra Israele e Autorità nazionale palestinese. Per questo i nostri rapporti restano strettissimi con l’Anp, che critica Hamas perché denuncia il male che stanno facendo ai loro stessi cittadini palestinesi».

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