«È giusto che l’Unione Europea intervenga quando un Paese membro vìola le regole dell’alleanza o viene meno ai principi dello Stato di diritto. Non penso che si debba essere morbidi per forza, però bisogna essere equanimi; anche nei trattamenti non ci devono essere nazioni di serie A e di serie B».
Ogni riferimento al voto di pochi giorni fa a Bruxelles, dove Fdi e Lega si sono espressi contro il congelamento dei fondi all’Ungheria mentre Forza Italia si è espressa a favore è puramente causale?
«Forza Italia ha votato con il Ppe, al quale appartiene, per confermare la risoluzione che lega lo stanziamento dei fondi di coesione a Budapest al rispetto dei diritti civili. Conosco bene Orbàn e penso che, da quando è uscito dal Ppe, non sia più lo stesso. Però bisogna stare attenti, perché per punire un Paese poi si finisce a punire un popolo. L’Europa deve andare avanti unita, difendendo i propri valori, ma non può perdere l’Ungheria per strada».
Cosa intende quando parla di necessità di essere equanimi?
«Con altri Paesi, tipo la Slovacchia e Malta, quando furono uccisi due giornalisti che portarono alle dimissioni dei primi ministri socialisti di allora, l’Europa non fu per nulla dura».
C’è troppa realpolitik nel far rispettare i principi comunitari?
«Non credo al discorso che l’Italia, come gli altri Paesi, in Europa debba stare con i forti anziché con i deboli per convenienza. L’Italia dev’essere protagonista e promuovere il processo di integrazione democratica europea tra tutti gli Stati».
Nessuna divisione all’interno della maggioranza di governo italiana sulla politica estera comunitaria, come sostiene l’opposizione dunque?
«Quello dell’Europa non è un problema interno all’Italia, ma è un problema dell’Unione e consiste nella mancanza di leadership comunitaria. Ci sono tanti leader nazionali ma ancora nessuno ha sostituito i Kohl, gli Aznar, i Berlusconi, i Mitterrand, le Merkel…».
E le Meloni?
«C’è molto interesse intorno all’Italia e al suo nuovo governo di centrodestra. All’estero hanno intuito che governeremo cinque anni, e allora vogliono incontrarci, capire… La Meloni ha una propria idea d’Europa che vuole affermare, noi di Forza Italia abbiamo una lunga tradizione europeista. Quello che è certo è che, se qualcuno in Italia sperava di vincere la partita interna contando su un attacco al nostro governo dall’estero, deve rifare i calcoli. I mercati hanno premiato la nostra manovra, l’Unione pure. Non siamo sull’orlo del precipizio, come avevano vaticinato in campagna elettorale i nostri avversari».
Come trovarsi nell’ombelico del mondo, o almeno del Vecchio Continente. Eminenza azzurra, coordinatore unico di Forza Italia, Antonio Tajani è diventato ministro degli Esteri, con delega al Commercio Estero, in uno di quei periodi in cui pare che la storia del pianeta possa cambiare da un momento all’altro perché si ridisegnano equilibri geopolitici, relazioni internazionali, addirittura confini… Con il fiuto dell’ex giornalista di rango, il vicepremier, altro ruolo che il suddetto ricopre, lo sa bene: «E’ il momento, anche per l’Unione Europea, di mettere la politica davanti a tutto», spiega, «basta occuparsi prevalentemente di conti, agricoltura, finanza. La guerra in Ucraina determinerà mutamenti epocali, o la Ue cambia e diventa protagonista oppure è destinata alla marginalizzazione. Stanno emergendo nuove potenze. Non solo la Cina, l’India, l’Africa…».
Armonizzazione fiscale, difesa comune, politica migratoria unica, questo ha in testa Tajani, che da ex Presidente del Parlamento Europeo, ex Vicepresidente della Commissione europea ed ex eurodeputato per cinque legislature, chiede all’Unione un salto di qualità, perché «è tempo di occuparsi di grandi cose, passare dal rigore alla solidarietà e a un’unione reale, come è stato per il Piano di Ripresa e Resilienza».
Ma Bruxelles è matura per il passaggio?
«Deve esserlo, altrimenti la attende un futuro da vaso di coccio. Basta egoismi».
Da dove cominciamo, presidente?
«Per esempio dall’accordo sul tetto del gas. Auspico che al prossimo appuntamento si arrivi a una soluzione migliore di quella di compromesso proposta nell’ultima settimana e inaccettabile per noi».
L’accordo serve perché la fine della guerra è lontana?
«La situazione in Ucraina si sta complicando, non vedo segnali di una riduzione dello scontro. Siamo tutti impegnati per costringere Putin al tavolo della pace, che non può prescindere da una difesa dell’indipendenza dell’Ucraina».
Quale può essere il punto di caduta?
«Al momento non si vede. Lottiamo per tenere aperto il corridoio di pace, operazione che non può prescindere dal sostegno all’Ucraina».
In Italia fette sempre più consistenti dell’opposizione si battono per lo stop all’invio di armi a Zelensky da parte nostra: può essere un problema per il governo?
«Assolutamente no. C’è già una decisione del Parlamento e comunque prima di ogni altra decisione saranno ascoltate le Camere. La maggioranza voterà compatta. Le tensioni anti-atlantiste dell’opposizione sono ingiustificate, perché finiscono per rendere meno efficace la lotta per la libertà dei popoli e mettono in difficoltà l’Italia sul piano delle alleanze internazionali».
L’opposizione ha anche speculato sulla recente crisi diplomatica che il governo ha avuto con la Francia per via dei migranti della Ocean Viking…
«C’è stata molta montatura giornalistica su quella crisi».
Il ministro dell’Interno francese però ci ha attaccato in Parlamento, ha detto che l’Italia è disumana e ci ha definito un Paese nemico…
«Le parole di Macron, nel fine settimana, di amicizia e grande solidarietà per il dramma di Ischia, confermano che le relazioni tra Italia e Francia non sono in crisi e non si sono interrotte. L’Italia non ha attaccato mai Parigi sull’immigrazione, ha semplicemente posto all’attenzione dell’Europa il problema dei flussi migratori, che non può essere solo nostro, tanto più che non ci sono arrivi solo dall’Africa. Il vertice di venerdì scorso, a Bruxelles, tra i ministri dell’Interno Ue, è stato un nostro successo, perché le nostre lamentele hanno avuto udienza».
Resta il fatto che la prima frontiera con l’Africa siamo noi. Cosa possiamo fare subito?
«Tornare alla dottrina Berlusconi, che poi venne ripresa anche dalla sinistra, con Minniti: bisogna stringere intese nei posti da dove gli immigrati partono. Prima si deve lavorare per la stabilità della Libia, che è stata portata al caos con troppa leggerezza sappiamo da chi».
A che punto siamo?
«Molto indietro, vedo un’Europa sfilacciata sul fronte libico e di una politica migratoria comune. Troppe presenze particolari e troppe assenze generali, tanta tattica, nessuna strategia».
Ha un progetto particolare in mente?
«Si deve iniziare a investire, ma non solo a Tripoli, anche nell’Africa sub-sahariana. Alla conferenza degli ambasciatori italiani, il 21 e 22 dicembre prossimi, vorrei presentare un piano per formare qui da noi le future classi dirigenti africane: fare studiare i giovani in Italia, per poi avere, quando tornano in patria, interlocutori privilegiati che parlino la nostra lingua. L’Africa tra vent’anni avrà quasi due miliardi e mezzo di abitanti, non possiamo lasciarli alla fame né ospitarli. Altre potenze straniere si stanno mobilitando da tempo; bisogna scongiurare un nuovo colonialismo e costruire alleanze solide. Il primo passo è creare, attraverso una nuova diplomazia per la crescita, società miste che costruiscano a nostre spese infrastrutture per poi avere in cambio materie prime a basso costo».
Dobbiamo frenare il colonialismo cinese?
«La Cina per noi è un partner commerciale al quale non possiamo rinunciare ma è un rivale sistemico. Non dimentichiamo che è un Paese autoritario».
Anche l’India è un rivale sistemico?
«No, l’India deve diventare sempre più un interlocutore importante, dopo gli Usa e la Ue, che restano i nostri alleati principali».
Perché è stato nei Balcani con il ministro Crosetto, la scorsa settimana, e tra pochi giorni il premier Meloni si recherà in Albania?
«I Balcani non devono diventare la nuova Libia. Sono molto vicini a noi, sono attraversati da flussi migratori importanti e sono oggetto di interesse e influenza da parte di potenze non alleate. Dobbiamo presidiare la situazione per rafforzare la democrazia in quei Paesi e scongiurare l’aggravarsi di nuove crisi tra Serbia e Kosovo: la situazione in Ucraina rende queste nazioni ancora più instabili».
A Pristina abbiamo mille militari italiani…
«Si, ma rafforzeremo la nostra presenza anche in chiave economica. Stiamo organizzando due forum di affari, in Serbia e Kosovo, per portare laggiù nostre imprese e metterle in condizione di lavorare».
Qual è l’obiettivo finale?
«Montenegro, Albania e Serbia sono in lista d’attesa per entrare nell’Unione Europea. Dobbiamo accelerare il processo di integrazione, per evitare che entrino nella sfera d’influenza di Paesi extra Ue. Serve uno sforzo europeo e l’Italia può svolgere un ruolo da Paese guida».