La Thailandia, pur perseguendo l’ambizione di confermare i traguardi raggiunti dalla sua economia dagli anni Duemila, è impegnata nella sfida della decarbonizzazione e di una transizione verso un futuro a basse emissioni per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e azzerare completamente le emissioni entro il 2065.
Per accelerare questo processo, il Paese si è inserito attivamente nel panorama internazionale, partecipando a numerose iniziative multilaterali. L’obiettivo è ottenere trasferimenti di conoscenza tecnica, attrarre investimenti esteri e facilitare l’accesso ai mercati. L’adesione al terzo pilastro dell’IPEF (Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity), un’iniziativa guidata dagli Stati Uniti, è un esempio concreto di questa volontà di potenziare le proprie capacità tecniche attraverso il trasferimento di conoscenze, facilitando inoltre l’accesso ai mercati occidentali, sempre più orientati verso un controllo delle emissioni lungo l’intera catena del valore.
Sul piano interno, il quadro strategico è delineato dalla “Strategia di Sviluppo a Lungo Termine per la Riduzione dei Gas Serra”, che integra oltre 30 politiche attive a livello sia nazionale sia regionale.
La produzione di energia rappresenta la principale fonte di emissioni di gas serra in Thailandia. Per far fronte all’elevato incremento del fabbisogno energetico andato di pari passo con la crescita del PIL sia reale che pro capite, il Governo ha promosso una rapida transizione dal carbone al gas naturale come fonte energetica predominante: un successo se si considera che la Thailandia si colloca tra i Paesi con i più bassi consumi percentuali di carbone nella regione. Tuttavia, la quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili – escluso il bio-metano – rimane ancora limitata, attestandosi all’8% del mix energetico nel 2023.
Anche nel settore dei trasporti, in particolare in quello su gomma, che contribuisce al 28% delle emissioni totali, le politiche adottate dalla Thailandia si concentrano principalmente sull’uso del biodiesel, nonostante l’elettrificazione dei trasporti rappresenti l’opzione più sostenibile a lungo termine. Infatti dal 2022 è in vigore un sussidio all’acquisto di veicoli elettrici.
L’industria, responsabile del 21% delle emissioni, è altresì al centro dell’attenzione ed è attualmente allo studio presso il Parlamento una proposta di legge per introdurre un Sistema di scambio delle emissioni (Emission Trading System – ETS), accompagnato da un adeguato livello di tariffazione del carbonio e dalla riduzione dei sussidi ai combustibili fossili, misure fondamentali per incentivare la transizione verso modelli produttivi più sostenibili.
Infine, alla luce degli attuali livelli raggiunti dall’inquinamento da polveri sottili, la città di Bangkok ha aderito al network globale “Breath Cities”, impegnandosi a ridurre l’inquinamento dell’aria di almeno il 30% entro il 2030. Un’iniziativa che fornirà supporto alla capitale thailandese nella raccolta dati e nel potenziamento delle capacità di risposta a questa sfida.
La finanza verde per contrastare il cambiamento climatico
Con le esportazioni classificate come ecocompatibili che rappresentano ancora meno del 10% del totale, la Thailandia sta cercando di allineare il proprio sistema economico agli standard internazionali in materia di sostenibilità ambientale ponendo la finanza verde al centro. Di grande importanza in questo contesto appare la tassonomia thailandese per classificare le attività economiche sostenibili e indirizzare gli investimenti verso progetti a basso impatto ambientale. Per promuovere una maggiore compatibilità con i mercati globali e regionali, la Thailandia ha modellato la propria tassonomia su quelle dell’Unione Europea (UE) e dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN).
La prima fase è focalizzata sull’energia e sui trasporti, ma finora copre solo uno degli obiettivi ambientali della tassonomia adottata a livello nazionale, ovvero la mitigazione degli effetti sul clima. Inoltre non esistono standard internazionali per eventuali “piani di correzione” così come la divulgazione dei dati al pubblico non è obbligatoria, lasciando spazio a possibili pratiche di “greenwashing”. Infine, in assenza di requisiti di informativa specifici, le istituzioni finanziarie incontrano difficoltà nell’utilizzare la tassonomia per classificare le attività dei propri clienti.
Per superare queste sfide, le autorità thailandesi devono ulteriormente allinearsi con le tassonomie dell’UE e dell’ASEAN, nonché sviluppare un ecosistema di valutatori di progetti verdi. Inoltre, alla stregua dell’UE, è fondamentale che la Banca di Thailandia integri la tassonomia nelle sue normative di rendicontazione e divulgazione per il settore finanziario.
Nel frattempo, l’imminente seconda fase della tassonomia thailandese estenderà la copertura a quattro settori chiave: la manifattura, l’agricoltura, la gestione dei rifiuti e l’edilizia.