Audizione del ministro degli affari esteri Giulio Terzi di Sant’Agata sul tema Politica estera e diritti umani
PRESIDENTE
DI GIOVAN PAOLO (PD)
LIVI BACCI (PD)
SANTINI (PdL)
TERZI DI SANT’AGATA, ministro degli affari esteri
Sigle dei Gruppi parlamentari: Coesione Nazionale:Grande Sud-SI-PID-Il Buongoverno: CN:GS-SI-PID-IB; Italia dei Valori: IdV; Il Popolo della Libertà: PdL; Lega Nord Padania: LNP; Partito Democratico: PD; Per il Terzo Polo (ApI-FLI): Per il Terzo Polo:ApI-FLI; Unione di Centro, SVP e Autonomie (Union Valdôtaine, MAIE, Verso Nord, Movimento Repubblicani Europei, Partito Liberale Italiano, Partito Socialista Italiano): UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI; Misto: Misto; Misto-MPA-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MPA-AS; Misto-Partecipazione Democratica: Misto-ParDem; Misto-Partito Repubblicano Italiano: Misto-P.R.I..
Interviene, ai sensi dell’articolo 48 del Regolamento, l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli affari esteri, sul tema Politica estera e diritti umani.
I lavori hanno inizio alle ore 14,05.
PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione del ministro degli affari esteri Giulio Terzi di Sant’Agata sul tema Politica estera e diritti umani
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani, vigenti in Italia e nella realtà internazionale, sospesa nella seduta del 1o febbraio scorso.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non vi sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
È oggi in programma l’audizione dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli affari esteri, sul tema Politica estera e diritti umani.
Do il benvenuto al nostro ospite, che ringrazio particolarmente per la sua presenza, considerato anche che queste sono giornate molto impegnative per il nostro ospite. Infatti, nonostante a breve dovrà partire con il presidente Monti per gli Stati Uniti, il Ministro ha comunque voluto partecipare all’odierna seduta dedicata al tema “Politica estera e diritti umani” su cui stiamo lavorando da alcuni mesi e che è ormai diventato centrale.
Nell’ambito della nostra discussione, abbiamo cercato di guardare in termini problematici al rapporto fra politica estera e diritti umani, evitando di riaffermare principi ormai scontati nei dibattiti parlamentari, ma anche cercando di interrogarci sulle difficoltà che s’incontrano nell’affrontare questo tema e sull’equilibrio che è invece possibile individuare.
Riteniamo che questo sia il contributo più utile che può derivare dalla nostra discussione considerato che – come spesso mi capita di ripetere – questa Commissione non progetta architetture, ma contribuisce a mettere a disposizione i mattoni, che poi vengono utilizzati da altri per costruire. Si tratta di un lavoro che reputo utile, soprattutto perché scevro dall’ansia e dall’ossessione delle decisioni immediate, e che quindi può offrire spazio alla riflessione, al dialogo e al confronto che nell’attuale situazione, in particolare del nostro Paese, costituiscono un’occasione da non perdere.
TERZI DI SANT’AGATA, ministro degli affari esteri. Signor Presidente, ringrazio lei e gli onorevoli senatori per l’invito, che per me riveste una grande rilevanza e significato per una serie di motivi, soprattutto per quello, fondamentale, cui ha accennato anche il presidente Marcenaro, ovvero la centralità della questione dei diritti umani nella nostra politica estera, nel nostro guardare al mondo e nelle nostre relazioni internazionali. Si tratta di un elemento da sempre presente nella politica estera italiana, ma che si sta ampliando di pari passo con la sensibilità che si va sviluppando nell’opinione pubblica internazionale grazie anche alle grandi possibilità offerte dai mezzi d’informazione e dalle nuove tecnologie, soprattutto con riferimento a quanto abbiamo visto accadere, anche alle porte di casa nostra, nel Mediterraneo e in Medio Oriente.
Vorrei però cogliere l’odierna occasione anche per rinnovare al presidente Marcenaro ed al senatore Santini, eletti recentemente presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa presidenti rispettivamente della Commissione delle questioni politiche e della democrazia e della Commissione delle migrazioni, dei rifugiati e degli sfollati. Si tratta di un riconoscimento molto importante che va non solo alle persone, ma anche al loro ruolo di eminenti protagonisti dei dibattiti parlamentari, nonché all’immagine dell’Italia in senso più ampio.
Nel rinnovarvi dunque i miei ringraziamenti per la presente occasione, ricordo che sono passati quasi due mesi dalla mia prima audizione di fronte alle Commissioni esteri riunite di Camera e Senato sui temi di politica estera, alla quale non posso fare a meno di ricollegarmi, con riferimento proprio all’elemento cardine e alla linea direttrice che rappresentano i diritti umani nella nostra azione diplomatica. Come sottolineai in tale occasione, per me è particolarmente importante intervenire in questa sede non solo per la possibilità che mi viene offerta di descrivere brevemente il punto della situazione dalla prospettiva dell’azione di Governo, ma anche e soprattutto per l’opportunità di ascoltare gli autorevoli suggerimenti e le indicazioni che potranno essere forniti per il prosieguo della mia azione.
Il ruolo dell’Italia in questo campo è universalmente riconosciuto, come ha del resto dimostrato il consenso plebiscitario ottenuto dal nostro Paese in occasione della sua rielezione a membro del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di Ginevra (180 voti a favore su 181). Il 27 di questo mese mi recherò in missione appunto presso tale Consiglio, dov’è prevista una sessione ministeriale; si tratta di un’occasione per me assai importante proprio al fine di marcare la rilevanza di una visione che si collega, anche in senso più ampio, alla strategia europea di sicurezza, alla quale intendiamo dare sempre maggior enfasi, soprattutto nell’ambito di una visione generale della sicurezza in connessione ai diritti umani. Considerato poi che sullo scenario internazionale si pongono temi particolarmente caldi, come la tutela della libertà di espressione e religiosa e la condizione delle donne, soprattutto alla luce di eventi che hanno avuto una dimensione anche drammatica e visibile per l’opinione pubblica, l’occasione di essere personalmente presente a Ginevra il prossimo 27 febbraio riveste per me particolare rilevanza.
I diritti umani costituiscono un motore propulsivo della politica estera e non solo per il nostro Paese: dalla metà del secolo scorso si è sviluppato un chiaro processo a livello globale, che ha esteso la loro tutela oltre i confini nazionali degli Stati. Non sono più valide molte categorie del passato, ma forse non abbiamo ancora ottenuto un riconoscimento complessivo di alcuni principi, che invece, a titolo nazionale, anche noi europei vorremmo promuovere; mi riferisco cioè all’attenuazione della sovranità statale a fronte della priorità della tutela dei diritti umani. Ciò che è avvenuto ancora in questi ultimi giorni per quanto riguarda la Siria dimostra quanta resistenza vi sia in alcuni settori delle stesse Nazioni Unite e nel Consiglio di sicurezza nell’accettare quella che è la nuova conquista del diritto internazionale ormai emersa con evidenza, ovvero la necessità di portare i diritti umani al di sopra della sovranità degli Stati. Questi eventi dimostrano – come dicevo – quanto siano forti le resistenze ancora presenti e quanto lavoro vi sia da fare.
Ciò nonostante, il percorso della presa di terreno del riconoscimento a livello globale dei diritti umani risulta abbastanza lineare; tale percorso viene da lontano, dal 1948, con la proclamazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la creazione della Corte di Strasburgo e, più di recente, del Consiglio dei diritti umani dell’ONU, l’atto di Helsinki e, ancor prima, con l’istituzione della Corte penale internazionale. Quelli enunciati sono tutti capisaldi di questo percorso di stratificazione positiva di affermazione dei diritti umani.
Nei casi più gravi, come sappiamo, la comunità internazionale è giunta a realizzare interventi umanitari dettati dall’esigenza prioritaria di sostenere la dignità dell’uomo e dei diritti umani, com’è avvenuto in Kosovo nel 1999 e in Libia di recente, sulla base di un principio che pure si è andato consolidando dopo il vertice delle Nazioni Unite del 2005, quello della responsabilità di proteggere, al quale l’Italia è profondamente legata, ma che – come dicevo riferendomi alla questione siriana – deve sicuramente affermarsi.
Imporre agli Stati il rispetto dei diritti dell’uomo resta un compito molto difficile e, per tornare ancora una volta alla questione siriana, si tratta di una sfida sulla quale dobbiamo continuare a lavorare. Gli onorevoli senatori avranno forse notato che, proprio negli ultimissimi giorni e nelle ultime ore, il Governo italiano ha richiamato per consultazioni l’ambasciatore a Damasco, al fine di marcare la grande preoccupazione, nonché l’irritazione per quanto sta continuando ad avvenire, in particolare per il massacro della popolazione e abbiamo compiuto un passo molto energico nei confronti dell’ambasciatore siriano a Roma. È in atto una consultazione continua con i vertici della Lega araba e con alcuni Paesi più significativi sul piano europeo interessati alla questione siriana.
Questa è la nostra agenda unica, non ci sono dunque motivi reconditi nel nostro interesse a fermare quanto sta avvenendo in Siria. Il motivo unico, umanitario e di tutela della popolazione, è quello di trovare una soluzione politica che rispetti la dignità dell’uomo e porti un cambiamento profondo nel Paese, così che si possa veramente porre termine alla violenza.
Affronterò questo tema nelle prossime ore, nel corso dell’incontro che avrò domani con il Segretario di Stato americano e sarà sicuramente fra gli argomenti in agenda nell’ambito dell’incontro fra il presidente Monti e il presidente Obama nel pomeriggio di domani.
Vi è una dimensione operativa nella tutela dei diritti umani. Lo abbiamo potuto osservare in Birmania, dove la situazione ha avuto una evoluzione che, se pure ancora insoddisfacente, incompleta e non abbastanza consolidata, è stata comunque certamente sorprendente, ed ha consentito la liberazione dei prigionieri politici e l’avvio di un processo elettorale nel quale è coinvolta Aung San Suu Kyi. Del resto, chi avrebbe detto, anche solo un anno fa, che il premio Nobel Aung San Suu Kyi sarebbe stata nuovamente una protagonista della scena politica birmana e di una partecipazione elettorale nel campo dell’opposizione?
Ritengo, pertanto, che per quanto riguarda la Birmania l’enfasi posta dalla comunità internazionale nel suo insieme, ma soprattutto dall’Unione europea e dall’Italia – e per questo parlo di dimensione operativa – abbia contribuito in misura notevole ad ottenere questi risultati e questa nuova dinamica negli assetti politici birmani, che è anche condizione fondamentale per la liberazione dei prigionieri politici, passaggio che costituisce sempre un test chiave nella volontà concreta dei Governi di aderire agli standard internazionali.
Esiste certamente una stretta correlazione tra diritti umani e pace, ed è per questo che all’inizio del mio intervento ho fatto riferimento alla strategia europea di sicurezza. Le aree di conflitto sono quelle in cui, non casualmente, i diritti dell’uomo sono più gravemente violati. Questo dato si è confermato anche come elemento motore dei movimenti della “primavera araba”. Sono state queste violazioni, più di qualsiasi altra considerazione, a muovere le aspirazioni di queste società e a portare cambiamenti radicali negli assetti politici di quei Paesi. Questa è una realtà che ha una sua validità in assoluto, basti pensare ai Balcani, al Libano, all’Afghanistan.
Come segnalato proprio questa mattina presso il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Presidente della Repubblica, quelle citate sono tutte aree nelle quali l’affermazione dei diritti umani è una componente fondamentale per le missioni di pace alle quali partecipiamo, missioni che integrano, oramai in modo molto diretto, la componente di sicurezza a quella di sviluppo e di tutela della persona. Aggiungo che in tutti i processi in corso questo spostamento e questa enfasi sui processi di sviluppo e di miglioramento dei diritti e delle condizioni umane della persona sono chiari e visibili e rappresentano una tendenza che intendiamo continuare a favorire.
Il ruolo centrale è quello dell’Unione europea. Noi ne siamo parte e riteniamo che l’Italia abbia fortemente contributo a questo mainstream della politica europea che è appunto l’affermazione dei diritti umani. Ed è attraverso questo aspetto che, a mio avviso, si è potuto contribuire a rafforzare quella che definirei la governance globale dei diritti umani. È chiaro, infatti, che i diritti umani si possono sostenere in molti modi, ma per farlo occorrono degli strumenti di governance, di verifica dell’attuazione e di direzione dei processi che sono di fronte a noi.
Il principale banco di prova per questa necessaria governance europea è certamente rappresentato dalla sponda Sud del Mediterraneo, dove siamo chiamati ad accompagnare, senza paternalismi, i processi di transizione democratica. Chi di noi ha avuto modo di incontrare, di ascoltare o di leggere quanto detto dal premio Nobel per la pace 2011, la signora Tawakul Karman, che negli ultimi due giorni era in visita a Roma, ha tratto la sensazione di quanto rilevante sia l’impatto di questi movimenti di giovani, di donne, di persone che credono nel cambiamento e nel perseguimento del risultato a qualsiasi costo.
Probabilmente poche frasi della signora Tawakul Karman sono significative quanto la seguente: “Le donne devono smettere di sentirsi parte del problema e diventare parte della soluzione”. Le donne non devono cioè più essere viste come oggetto di affermazione e di promozione dei loro diritti, ma devono acquisire consapevolezza della loro forza e capacità nelle società, anche nell’Islam politico – e questo è un elemento particolarmente importante – onde poter rimuovere stereotipi, repressioni e ostacoli che si pongono all’affermazione della loro parità.
Naturalmente, se in Europa cercassimo, nei rapporti con i partner mediterranei, solo nuove modalità di accesso economico e di mantenimento di posizioni di interesse pratico ed energetico, trascurando la dimensione umana, faremmo un immenso torto ai giovani e alle donne che sono scesi nelle piazze e hanno pagato con la vita la difesa dei loro ideali, con grande senso di altruismo.
Un altro aspetto che mi ha colpito, nell’incontro con la signora Karman, è che pur soffermandosi sulla situazione dello Yemen, il suo Paese, e sulla necessità di uscire dal regime di Saleh in modo credibile, si sia però concentrata soprattutto su quanto sta avvenendo in Siria. Si tratta quindi di una persona che pur se molto giovane e forse ancora priva di una grande esperienza politica, è comunque dotata di una visione ampia, che collega le diverse parti del mondo nell’effetto etico che possono avere le conquiste e i valori positivi che si raggiungono.
È in questo che si sostanzia il significato del rapporto che noi europei intratteniamo con questi Paesi in trasformazione in un modo diverso, molto più avanzato, che esula dalla solita logica del continuare a essere i primi nei vari Paesi. Anche questo aspetto è certamente importante, ma credo che questa dimensione inerente i valori di fondo della politica estera vada anche al di là e da questo punto di vista noi possiamo ricevere degli insegnamenti e imparare proprio da personalità come quella che ho appena menzionato.
Al fine di meglio inquadrare la visione che ho di questo rapporto fra europei e italiani e le nuove leadership dell’Islam politico, mi sembra importante sottolineare la necessità di concentrarsi più che sugli aspetti di preoccupazione e di rischio che molti commentatori evidenziano, sugli elementi positivi e sui rapporti costruttivi che possiamo intrattenere con questa parte del mondo.
Vorrei sottoporre alla considerazione di questa Commissione quanto è stato scritto nel «Documento sulle libertà fondamentali», di recente proposto dal Grande Imam dell’università di al-Azhar e sottoscritto dalle principali forze politiche egiziane, inclusi i Fratelli musulmani e il movimento Nur, composto dai salafiti. Il suddetto documento individua quattro libertà fondamentali: quella di religione, incluso il diritto all’ateismo; quella d’espressione; quella di condurre ricerche scientifiche e quella artistica e letteraria. Come è stato sottolineato anche nell’incontro che ho avuto con l’Imam, siamo di fronte ad una concezione compatibile con i valori europei. Credo pertanto che se c’è un problema di percezione sulle due sponde del Mediterraneo, sia allora compito di noi europei fornire una visione positiva di quanto sta avvenendo quando ciò risponde alle nostre preoccupazioni fondamentali in materia di rispetto dei diritti dell’uomo.
In questo senso, quando mi sono recato in Egitto, ho avuto l’onore di consegnare al maresciallo Hussein Tantawi una lettera del Capo dello Stato, che su questo tema è stato molto eloquente. In tale lettera il presidente Napolitano sottolinea che l’Egitto può fare da battistrada sulla via dello Stato di diritto, delle istituzioni democratiche, della tutela dei diritti fondamentali della persona, della libertà di culto e del rispetto delle minoranze. Mi è sembrato importante citare questi episodi perché credo diano la prova concreta di quanto il Governo italiano sia impegnato, tramite la mia persona, così come per mezzo dell’attività dei colleghi di Governo, al fine di dare concretezza all’azione di affermazione dei diritti umani.
Anche nell’ambito delle vicende libiche ci siamo dedicati ad affermare, all’interno della cosiddetta Dichiarazione di Tripoli, la centralità dell’aspetto dei diritti umani, ai quali il testo, per quanto breve, contiene un riferimento preciso, attraverso il quale abbiamo cercato di rispondere alle sensibilità ripetutamente emerse nei dibattiti parlamentari per quanto concerne le relazioni fra Italia e Libia. Mi ha fatto piacere constatare che l’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani abbia sottolineato che le Autorità libiche hanno compiuto passi incoraggianti, attraverso la costituzione del Consiglio nazionale libico per le libertà fondamentali e i diritti e un processo di riforma dell’ordinamento giuridico interno che si giova dell’assistenza delle Nazioni Unite, il che significa che si sta procedendo verso l’approvazione di una normativa che possa regolare il sistema giudiziario. Certo, non mi faccio alcuna illusione sul fatto che la situazione in Libia, così come negli altri Paesi, richieda un’attenzione costante alle vicende che si verificano in un quadro ancora di confronto che – come abbiamo avuto modo di vedere – ancora esistono (lo dimostra l’episodio di Bani Walid di qualche giorno fa) e che naturalmente possono creare situazioni non compatibili con i principi fondamentali di riferimento. Si tratta però di un problema di empowerment, e quindi di dare alla società e alle autorità libiche l’assistenza, l’incoraggiamento ed i mezzi, anche concreti per affrontare questi problemi in modo coerente con la Dichiarazione di Tripoli che abbiamo insieme sottoscritto.
Sempre in questo senso va la dichiarazione del vice primo ministro libico Abu Shagur, che ha avviato un’indagine sulle denunce di tortura e sui maltrattamenti in centri di detenzione illegali. Si tratta di temi che stiamo esaminando presso il Ministero degli affari esteri, ma che immagino saranno ulteriormente discussi nelle visite che i colleghi di Governo svolgeranno a Tripoli.
Sul piano europeo, ci attendiamo una sensibilità da parte della Commissione, del Consiglio e di tutti gli organi politici dell’Unione europea, nonché di tutte le istituzioni europee, per far fronte alle sfide del nuovo scenario mediterraneo. Mi riferisco in particolare alla necessità di definire una politica di gestione dei flussi migratori che sappia coniugare un alto livello di protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo con l’esigenza di prevenire ogni possibile abuso.
In Europa, ma anche nel più ampio contesto delle Nazioni Unite, l’Italia si è fatta promotrice di molte iniziative specifiche alcune delle quali non nuove, ma che anzi vengono da lontano; mi riferisco alla campagna per la moratoria sulla pena di morte e, più di recente (negli ultimi tre anni), a quelle per il contrasto alle pratiche di mutilazione genitale femminile, per la promozione dei diritti delle donne e dei minori e per la tutela della libertà religiosa. Si tratta di un insieme di aspetti sui quali siamo impegnati e mi è di conforto constatare in tal senso un grandissimo impegno del Parlamento e di questa Commissione sul piano sia dell’impulso all’azione di Governo sia dei relativi approfondimenti.
Questo mio incontro con la Commissione avviene a seguito di una serie molto importante di approfondimenti dei quali ho potuto leggere i resoconti e che hanno toccato aspetti sui quali vi è una sorta di road map di trattazione alla Farnesina. Se c’è però un aspetto che mi ha impegnato particolarmente, anche durante le visite che ho svolto nei Paesi a noi vicini del Mediterraneo, è la questione della libertà religiosa, che è balzata nuovamente in primo piano in tutta la sua drammaticità con le stragi di cui si è reso responsabile Boko Haram in Nigeria, ma che ha toccato anche l’Egitto e il Pakistan. Stiamo cercando di portare avanti anche in questo caso alcune iniziative concrete, come la creazione, insieme a Roma Capitale, di un osservatorio per la libertà religiosa, le cui finalità ho già illustrato ad alcuni partners europei e che stiamo cercando di dotare di esperienze e professionalità specifiche al fine di portare avanti con autorevolezza le varie iniziative in materia di dialogo fra religioni. Sempre a livello europeo, mi sono sforzato di rilanciare questa stessa problematica nel corso dell’ultimo Consiglio affari esteri, ed il dibattito proseguirà a marzo in occasione di una sessione di brainstorming (cosiddetto formato “Gymnich”) allo scopo di spingere sempre più la politica estera europea in direzione di iniziative concrete a tutela della libertà religiosa, delle minoranze e, in genere, dei diritti dell’uomo.
Lo scorso 6 febbraio è stata celebrata la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili. In funzioni precedenti, da rappresentante permanente delle Nazioni Unite, e sotto la guida del mio predecessore, il ministro Frattini, ho avuto modo di organizzare la prima riunione ministeriale delle Nazioni Unite nell’ambito della 63a sessione della Assemblea generale. Sono quindi testimone dello sforzo che bisogna compiere per cercare di dare una dimensione veramente multilaterale a questa tematica. Certo, si tratta di un tema sul quale tanti Paesi (dall’Egitto al Burkina Faso o al Niger) sono impegnati a livello nazionale e non c’è alcun dubbio che da parte dei rispettivi Governi si stia cercando di affrontare con vigore questa problematica. Si richiede tuttavia uno sforzo ulteriore per tradurre veramente questa consapevolezza in un impegno delle Nazioni Unite in quanto tali, possibilmente attraverso una risoluzione dell’Assemblea generale, che incoraggi le attività di educazione, awareness e cooperazione allo sviluppo, che è molto importante per far uscire da questa piaga le popolazioni che ne sono più colpite.
Non mi soffermerò sulla campagna per l’abolizione della pena di morte, o perlomeno, nell’immediato, per la moratoria. I Paesi abolizionisti – o che non mettono più in pratica la loro legislazione in questo senso – sono 155 e abbiamo al riguardo registrato un record crescente nelle tre diverse risoluzioni approvate dall’Assemblea generale.
Sul piano concreto l’Italia ha svolto un ruolo molto attivo nell’impedire l’esportazione negli Stati Uniti del sodio tiopentale, sostanza utilizzata nelle esecuzioni capitali. Anche su queste misure concrete abbiamo avuto un effetto di traino, a livello europeo, nel tentativo di limitare la possibilità di attuare queste sentenze.
Si tratta indubbiamente di un grandissimo impegno, e noi lo abbiamo assunto anche in altri contesti, come ad esempio nell’ambito della riunione ministeriale Osce del dicembre scorso. Ricordo che quando è balzata all’onore delle cronache la questione delle condanne a morte in Bielorussia, abbiamo assunto una posizione molto ferma, una posizione che mi è capitato di assumere regolarmente con molti colleghi europei sia a titolo personale che istituzionale, in occasioni come quella della condanna di alcuni giovani bloggers in Iran. Su questa materia così delicata, noi non facciamo sconti al realismo, allorquando si tratta di esprimere con voce chiara la posizione italiana.
Vorrei anche menzionare, in questa occasione, l’importanza dell’Osservatorio Governo-Parlamento sui diritti umani, che è stato istituito e alla cui azione mi auguro di poter continuare a contribuire.
Infine, richiamandomi ad una conversazione da me avuta con il presidente Marcenaro poco dopo avere assunto il mio incarico, vorrei in questa sede assicurare che il Governo vede con pieno favore l’istituzione di una Commissione nazionale indipendente dei diritti umani, il cui relativo provvedimento è attualmente all’esame della Camera e ci auguriamo che possa concludere il suo iter rapidamente.
Posso infine assicurare alla Commissione che sto seguendo da vicino la questione dei rifugiati presso Camp Ashraf e che esiste una grande sensibilità attorno a questo tema, anche in ambito europeo. Ho avuto modo di affrontare questo problema nell’ambito di due Consigli affari esteri ed al riguardo il contributo dell’Unione europea ha rappresentato un elemento di sostegno alla firma del memorandum tra ONU e Governo iracheno, un risultato cui non è stato semplice pervenire. Allo stato, peraltro, stiamo valutando con il Ministero dell’interno la eventuale accoglienza di alcuni di questi feriti, soprattutto di quelli che sono stati portati a Camp Liberty. Si tratta in ogni caso di una questione che sta al centro delle nostre preoccupazioni.
Uno sguardo sul futuro è sintetizzabile nel principio che ho già ricordato e che deve continuare ad essere sostenuto in maniera sempre più intensa, e mi riferisco alla necessità che i diritti umani diventino sempre più un elemento strutturale della politica estera italiana, attraverso la via del dialogo tra culture e religioni, per favorire le contaminazioni positive e formare i valori superiori della persona umana. Ciò deve avvenire sia sul piano bilaterale che in un contesto multilaterale ed in tal senso intendo richiamarmi ad alcune interrogazioni e risoluzioni proposte in questi ultimi giorni, al Senato e alla Camera, di impulso alla azione del Governo, il quale in considerazione della loro utilità le ha pienamente accolte.
PRESIDENTE. Signor Ministro, a nome della Commissione la ringrazio per la sua relazione ampia e, per quanto mi riguarda, anche molto convincente nella sostanza, nei toni ed anche per quei tratti di problematicità che, a mio avviso, non guastano soprattutto quando si è chiamati ad affrontare problemi di questo genere rispetto ai quali la retorica quando non è sostanziata da valutazioni politiche può servire solo a scaldare i cuori, generando però inerzia.
DI GIOVAN PAOLO (PD). Desidero in primo luogo ringraziare il Ministro per la sua esposizione,che, per alcuni aspetti, considero innovativa rispetto a quelle che abbiamo avuto modo di ascoltare negli ultimi anni.
Prima di sottoporre all’attenzione del Ministro alcune domande mi sia consentita una breve premessa. Nello specifico mi riferisco al fatto che oggi il diritto internazionale tende a dare più importanza ai diritti umani e in proposito mi richiamo al suo articolo pubblicato su “Avvenire”. Al riguardo potremmo infatti dire che forse la comunità umana preesiste al diritto internazionale il quale si limita a registrare semplicemente i cambiamenti che si determinano in questo scenario. Ovviamente, il diritto internazionale ha un fondamentale ruolo pattizio rispetto a questo tema, ma c’è comunque una differenza da considerare che spesso si riscontra anche nei comportamenti che si tengono a livello internazionale.
Rispetto a questa comune premessa, a questo ruolo svolto insieme da Governo e Parlamento – anche per quanto riguarda le scelte che si compiono a livello europeo è importante che le decisioni vengano prese dal Paese in maniera unitaria e non in modo frammentario dalle diverse parti dello Stato – la domanda che intendevo porle è la seguente: lei pensa che la “valigia dei diritti umani” accompagnerà nei prossimi anni il suddetto ruolo – come un tempo e forse ancora oggi accade per la valigetta del Presidente degli Stati Uniti – come fattore indispensabile dei trattati? Si possono cioè immaginare una serie di trattati, di convenzioni internazionali, e di atti pubblici internazionali che producano un cronoprogramma negli anni? Noi non possiamo chiedere a tutti di risolvere tutto e subito, perché ovviamente ogni Paese ha la sua cultura e le sua situazione . Se dovessimo, ad esempio, fare una classifica in materia di pena di morte dovremmo allora collocare gli Stati Uniti in una posizione assai diversa da quella in cui in genere inseriremmo un Paese democratico quale sono gli Stati Uniti. Lo stesso discorso si potrebbe fare per Israele se si analizza il suo voto rispetto alle decisioni che riguardano i Paesi arabi che lo contestano e quello che invece esprime su altre questioni. Ebbene, alla luce di quanto osservato, ritiene che vi siano gli strumenti perché siano inseriti nei trattati e nelle convenzioni dei reali cronoprogrammi di attuazione?
La seconda domanda riguarda i nostri funzionari e la nostra struttura. Quando operiamo all’estero, ovviamente mettiamo i diritti umani al centro (perlomeno, proviamo a farlo), ma dobbiamo essere capaci di “vendere bene” anche altre questioni. Intendo dire che anche il British Council e l’Alliance Française promuovono il loro Paese, allo stesso modo in cui lo fanno i prodotti made in France, o made in UK, o le strutture industriali. Riusciremo noi a investire anche su questo pezzo di governance, che non riguarda solo il Ministero o il Parlamento? Riusciremo ad ottenere qualche fondo anche su tali settori?
LIVI BACCI (PD). Desidero anch’io ringraziare il Ministro per la sua relazione, con gran parte della quale mi sento in linea. Non farò quindi commenti, ma mi limiterò ad avanzare due richieste di chiarimento su due argomenti specifici.
In primo luogo, le chiedo se, nel riannodare i fili del Trattato di amicizia con la Libia, la questione della tutela e della garanzia dei diritti umani sia in qualche modo presente. Noi abbiamo votato a suo tempo unanimemente per la ratifica del suddetto trattato, pur nutrendo qualche dubbio circa la sua scarsa chiarezza con riferimento a questo specifico tema.
Chiedo quindi se al riguardo sia emerso qualche nuovo elemento, e se in qualche modo il trattato verrà rivisto e rimodulato, attribuendo una maggiore evidenza al tema del rispet