Presidente Adornato,
Eminenza Reverendissima,
Signor Rabbino Capo,
Signor Segretario Generale,
Presidente Casini,
Vice-Presidente Tajani,
ho accolto con grande piacere l’On. Ferdinando Adornato per l’invito a partecipare a questo Convegno organizzato dalla Fondazione liberal-popolare. Ringrazio molto tutti i presenti per l’occasione concessami di ribadire la centralità del tema dei diritti umani e delle libertà religiose nella politica estera italiana.
Il XX secolo è stato definito “secolo breve” dallo storico inglese Eric Hobsbawm. Breve perché Hobsbawm individua l’inizio dello scorso secolo nel 1914 con la prima guerra mondiale e la fine nel 1989 con il crollo del Muro di Berlino. E’ una tesi affascinante sulla quale sono stati scritti tanti autorevoli saggi. Ma oggi ci troviamo di fronte a un’altra questione: quando è iniziato il XXI secolo?
Certamente l’11 settembre 2001 è una data epocale, che ha tragicamente cancellato ogni illusione dell’occidente di vivere in un mondo sicuro. E’ stato un attentato non solo ai valori della civilizzazione occidentale, ma al concetto universale di umanità. Perché il terrorismo e il violento fanatismo sono nemici di tutti gli uomini e donne, senza distinzioni di nazionalità, cultura, religione o razza.
Eppure, tornando alla domanda iniziale, mi sono chiesto da dove dovremmo partire, cosa dovremmo fare per consentire alle future generazioni di volgere lo sguardo al passato e poter dire che anche il XXI secolo è stato breve; e che non è iniziato nel 2001 con il terribile attacco alle torri gemelle e la paura di un insensato scontro di civiltà; ma qualche anno più tardi con la progressiva affermazione di un’ecumene – nel senso letterale del termine, ossia “casa dove tutti noi abitiamo”- geografica, politica e giuridica, in cui diritti e libertà fondamentali siano tutelati e promossi.
Credo che il 2011, con la primavera araba e le rivoluzioni per la dignità e la democrazia, ci offra l’opportunità di “resettare” l’inizio del secolo. Un secolo che possa seguire il filo rosso di libertà e diritti consegnatogli da tanti coraggiosi giovani arabi per orientarlo nel labirinto della storia e porre fine al falso mito dello scontro di civiltà. Un secolo che, sulla solida base del dialogo e del rispetto reciproco, crei una vasta regione accomunata da valori condivisi. Penso alla regione che si estende dalla comunità euro-atlantica a quella del grande Medio Oriente: da Vancouver a Baghdad, per parafrasare uno slogan di successo delle relazioni internazionali. Un’area enorme in grado di influenzare in un senso più pluralista e liberale non solo le regioni limitrofe, ma anche quelle geograficamente e culturalmente più lontane.
Sono ovviamente consapevole dei limiti di un simile esercizio di proiezione, considerate la fluidità, l’incertezza e i rischi dei processi di transizione nei Paesi arabi. Ciò anche alla luce delle proteste e talvolta degli scontri che si registrano tuttora in Nord Africa; e soprattutto alla luce degli orribili massacri con i quali il regime siriano si ostina a rigettare brutalmente le coraggiose richieste di libertà della popolazione: eccidi che la comunità internazionale non è finora riuscita ad arrestare, malgrado gli intensi sforzi compiuti da alcuni Paesi, come il nostro. Confidiamo molto – e la sosteniamo con convinzione – nell’azione dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba, Kofi Annan.
Non ci illudiamo che vi siano scorciatoie all’affermazione dei diritti umani: la strada è lenta, complessa, irta di insidie per quanto segua un percorso di avanzamento abbastanza lineare iniziato con la Dichiarazione Universale del 1948. Non ci illudiamo neanche che sia sufficiente instaurare un sistema democratico perché i diritti siano tutelati. Michael Novak osserva giustamente che “nella democrazia la tirannia della maggioranza non è meno pericolosa per le minoranze e per gli individui di quanto lo sia quella di un singolo dittatore”.
Siamo tuttavia convinti che esista un indicatore, una cartina di tornasole, con cui poter verificare via via il rispetto delle libertà fondamentali nel grande Medio Oriente. Mi riferisco alla tutela delle minoranze, in particolare di quelle religiose: siano esse cristiane, ebraiche, sciite o di altro credo. Se le minoranze saranno protette nell’ordinamento giuridico come nella vita quotidiana, si potrà affermare lo stato di diritto e garantire la sicurezza. Se tale protezione sarà invece disattesa, la conseguenza non potrà essere che il conflitto e l’impossibilità di assicurare una pace autentica e duratura.
Purtroppo, lo scenario attuale nel grande Medio Oriente – e non solo – non appare incoraggiante. Sono numerosi gli episodi di violenza settaria, che continuano a colpire in modo inaccettabile le minoranze religiose, soprattutto cristiane. Tali vili attacchi sono così diffusi e ripetuti da indurre taluni a osservare amaramente e paradossalmente che le minoranze erano più tutelate, o comunque meno perseguitate, sotto gli odiosi regimi dittatoriali. Penso ad esempio all’atroce strage della Cattedrale siro-cattolica di Baghdad, dove nel 2010 sono stati uccisi due sacerdoti e più di cinquanta fedeli riuniti in preghiera.
Non c’è allora da stupirsi se centinaia di migliaia di iracheni abbiano abbandonato l’Iraq dopo la caduta di Saddam; e non può meravigliare se tale tentazione di esodo sia condivisa da altri cristiani che vivono, e non da ora, nel Medio Oriente. Penso alla difficile situazione che stanno vivendo in Egitto i Copti, contro i quali si sono registrati gravissimi episodi di violenza. Perseguitare e far fuggire componenti vitali della società mediorientale, come la minoranza cristiana che da secoli contribuisce alla prosperità dei Paesi in cui è radicata, rende la regione molto più vulnerabile di fronte alle minacce estremistiche. Di conseguenza il rischio di ulteriori violenze e discriminazioni aumenta in modo esponenziale. Questo è un circolo vizioso che deve essere interrotto al più presto.
L’azione a difesa delle minoranze religiose è intesa quindi a tutela della sicurezza e della prosperità della società, oltre che della dignità della persona umana. Ed è un’azione che va portata avanti a difesa di ogni minoranza. Siamo peraltro consapevoli che sono i cristiani il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a causa della propria fede. E’ inquietante per la sua drammatica tragicità l’elenco di violente repressioni contro i cristiani menzionato da Ayaan Hirsi Ali, nel suo toccante articolo pubblicato oggi da Liberal. Ha proprio ragione la politica e scrittrice somala, naturalizzata olandese, quando sottolinea che “la tolleranza è per tutti, tranne che per gli intolleranti”.
A livello mondiale, assistiamo ad atti di persecuzione contro i cristiani che non hanno precedenti nella storia, salvo agli inizi del cristianesimo. Come ha tuttavia osservato Papa Benedetto XVI, “la libertà religiosa non è patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera famiglia dei popoli della terra. È elemento imprescindibile di uno Stato di diritto; non la si può negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice”.
Sul piano concreto, per facilitare l’affermazione di una società più pluralistica e per favorire incontri -e non scontri- di civiltà nel grande Medio Oriente, dobbiamo agire su tre fronti. Anzitutto, sensibilizzando le leadership arabe all’accoglimento nei nuovi ordinamenti costituzionali dei principi riconosciuti dalle Convenzioni internazionali e dalla stessa civiltà islamica. In secondo luogo, evitando che siano espulse dalla vita pubblica o marginalizzate le risorse delle minoranze, in particolare di quelle religiose. In terzo luogo, scongiurando il rischio che le differenze di credo siano strumentalizzate per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi economici. In questo senso è anche importante investire nei contatti tra società civili e nell’educazione religiosa, facendo rimarcare l’insensatezza e l’ignoranza del fanatismo.
A tale proposito, ricordo che c’è un documento proposto dal Grande Imam dell’università egiziana di Al-Azhar, il cui accoglimento sarebbe di grande aiuto a questa strategia. Mi riferisco alla “Carta per le libertà fondamentali”, sottoscritta dalle principali forze politiche egiziane, inclusi i Fratelli musulmani e il movimento Nur, composto da salafiti. La Carta individua quattro libertà fondamentali per la coesistenza pacifica, tra le quali indica la libertà di religione, incluso il diritto all’ateismo, e la libertà di espressione. Come ho sottolineato nel colloquio al Cairo con l’Imam – che incontrerò di nuovo a maggio in Italia – siamo di fronte a una concezione del tutto compatibile con i valori dell’umanesimo europeo.
L’affermazione del pluralismo nella società mediorientale potrebbe avere un’influenza positiva anche su altri Paesi, come la Nigeria e il Pakistan, in cui si continuano a registrare inaccettabili violenze e discriminazioni contro i cristiani. In questi Paesi dobbiamo essere più determinati e sostenere quanti hanno il coraggio di prendere posizione in favore dei diritti e della civiltà, anche a costo di pagare con la vita tali scelte. Ricordo gli assassini di Shahbaz Bhatti e Salman Taseer, rispettivamente Ministro per le minoranze religiose e Governatore della provincia del Punjab, barbaramente uccisi in Pakistan per aver difeso la causa delle minoranze e la vicenda della cristiana Asia Bibi.
Da queste considerazioni è discesa la necessità di una forte azione politica in favore delle libertà religiose, che il nostro Paese ha da tempo intrapreso nei contesti internazionali, giovandosi del raccordo tra il Governo, il Parlamento e la società civile. Ho voluto dare ulteriore impulso a tale azione con una strategia articolata a livello bilaterale e multilaterale. A livello bilaterale, ho sollevato più volte il tema della tutela delle minoranze religiose nei colloqui con i colleghi stranieri. Non solo per discutere dei grandi principi, ma anche per cercare di risolvere problemi concreti. La scorsa settimana, solo per fare un esempio, ho rappresentato al collega turco le difficoltà che incontra la comunità cristiana a Cipro nord nell’esercizio del culto.
Il Ministero degli Esteri e Roma Capitale hanno inoltre voluto lanciare un chiaro segnale, istituendo un “Osservatorio della libertà religiosa”. Ai lavori dell’Osservatorio saranno associati esperti, rappresentanti di confessioni religiose, esponenti del mondo scientifico e accademico, rappresentanti di organismi pubblici e privati. Ho chiesto alla rete di nostre ambasciate di monitorare la situazione della libertà religiosa nei Paesi di accreditamento e di individuare interlocutori stranieri da coinvolgere nei lavori dell’Osservatorio.
In ambito europeo, stiamo lavorando alacremente perché sia data da Bruxelles maggiore attenzione a questa tematica. Ne ho discusso pochi giorni fa a Copenhagen alla riunione informale dei 27 Ministri degli Esteri. In quell’occasione, ho presentato un’articolata proposta sul tema della libertà di religione volta a:
1. assicurare alla tematica adeguata considerazione e visibilità nel “piano d’azione” europeo sui diritti umani, che sarà adottato nei prossimi mesi;
2. garantire adeguati finanziamenti ai programmi di tutela della libertà religiosa, in primis, attraverso lo strumento dello European Instrument for Human Rights and Democracy (EIDHR);
3. considerare prioritarie in ambito ONU (Assemblea Generale e Consiglio Diritti Umani) l’adozione di risoluzioni dell’Unione Europea e altre iniziative sulla libertà religiosa;
4. innalzare i vari strumenti e documenti elaborati in materia di libertà di religione allo status di “Linee-guida dell’Unione Europea”, così da dare organicità e visibilità alla tematica, come avviene per altre priorità dell’Unione in materia di diritti umani (quali la pena di morte, la violenza sulle donne, i diritti del fanciullo, i difensori dei diritti umani).
Constatiamo con soddisfazione quanto sia cresciuta la sensibilità europea a questo tema e come il nostro ruolo di indirizzo e riferimento sia riconosciuto e apprezzato dai partner europei. L’Italia chiede però un impegno ancor più visibile e concreto all’Europa. Chiediamo all’Unione di far sentire di più la sua voce in favore delle libertà religiose in quei Paesi che usufruiscono dei nostri aiuti finanziari, ma che non fanno abbastanza per porre fine a atti discriminatori contro le minoranze religiose.
In ambito Nazioni Unite, abbiamo contribuito in modo sostanziale all’adozione della Risoluzione contro ogni forma di intolleranza e discriminazione religiosa, promossa dall’UE e adottata dall’Assemblea Generale nel dicembre scorso. Grazie alla nostra azione, la risoluzione contiene elementi che richiamano l’aumento di episodi di violenza contro le minoranze religiose e il dovere di ogni Stato di esercitare la massima vigilanza per prevenirli e punirne i responsabili. Analoga iniziativa sarà presentata dall’Unione Europea nella sessione in corso del Consiglio Diritti Umani.
Ci sono quindi segnali che ci inducono a guardare il futuro con fiducia. Ravviso inoltre nell’odierna partecipazione di tre eminenti rappresentanti delle tre religioni monoteiste un segno molto incoraggiante. La vostra autorevole presenza conferma la consapevolezza che le differenze non devono costituire l’alibi per rallentare le dinamiche del dialogo. I politici della pace, come gli autentici religiosi, individuano nel dialogo una necessità vitale e lo strumento essenziale per arrestare le pericolose forze della contrapposizione. La diplomazia italiana, che si contraddistingue per l’attitudine alla mediazione, continuerà ad adoperarsi per favorire e promuovere tale comprensione reciproca.
Vorrei concludere con un aneddoto. Quando Picasso dipinse la giovane Gertrude Stein, la ritrasse come una signora matura. Agli amici che notavano che il ritratto non era somigliante alla Stein, il Maestro rispondeva: “lo diventerà”. Io non ho la stessa preveggenza del geniale artista spagnolo; ma sono convinto che se l’Italia continuerà a lavorare con tale intensità e tale unità di intenti in favore dei diritti umani e delle libertà religiose, potrà contribuire a far maturare le condizioni per creare una grande comunità accomunata da valori universali, come quello del rispetto della centralità dell’individuo e delle minoranze. In tal caso avremo consegnato alle future generazioni un secolo forse altrettanto breve, ma di sicuro molto più tollerante, civile e pacifico di quello precedente.