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Dettaglio intervento

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Sono molto lieta di aprire oggi, con un brevissimo intervento, la sessione della Vostra Conferenza dedicata all’esperienza del G-20. Ringrazio la Fondazione economia di Tor Vergata, il professor Paganetto in particolare, per avere costruito negli anni un foro economico così autorevole e interessante.


Lasciatemi partire da un’osservazione generale. E’ vero che il G-20 è diventato una sorta di “steering committee” dell’economia globale ma permane il problema di fondo: il G-20 ha funzionato come “cellula di crisi” nel 2008-2009, non è poi riuscito a diventare un vero e proprio “foro di costruzione” di una nuova governance economica globale. Lo spirito cooperativo iniziale si è affievolito nel tempo: il risultato è che quel processo di “rebalancing” di ruoli e responsabilità, ormai indispensabile in tutti i principali settori del multilateralismo economico, stenta a decollare.


Stiamo peraltro attraversando una fase in cui questi due aspetti – “foro di crisi” e “foro di costruzione” – si trovano a convivere.. Solo quando ciascuno degli attori principali assumerà le proprie responsabilità, e solo quando esisterà una visione comune – condivisa – delle “cose da fare”, la governance economica globale avrà una chance vera. E riusciremo a completare la transizione verso un assetto del multilateralismo economico che vada oltre “Bretton Woods”. Per ora non è così.


Due esempi sono cruciali. Non siamo riusciti a costruire una nuova architettura finanziaria (come ci eravamo ripromessi nel 2009). Esiste un serio rischio di ritorno al protezionismo: naturalmente è un fenomeno non così esplicito, è un protezionismo “creeping” (il Doha round è di fatto fallito ma esistono accordi bilaterali e regionali), eppure il rischio esiste .E da questo punto di vista, promuovere un accordo di libero scambio Usa-Ue – tema centrale nella visione italiana – sarebbe molto rilevante.


Guardiamo un momento, per capire la situazione del G-20, agli attori essenziali: la ripresa americana è fragile e condiziona la campagna elettorale; l’ Europa è sul banco degli imputati perché impedisce – questa la tesi – la ripresa globale, insistendo sul rigore fiscale a scapito della crescita; i Brics vivono le prime vere difficoltà in parte perché la domanda globale è in diminuzione in parte per ragioni endogene. La Cina è alle prese con quella che potrebbe essere definita la middle income trap, Brasile e India vivono un rallentamento.


Se la situazione è questa, è importante che da Los Cabos sia uscito un “Action plan for growth”. Ed è particolarmente importante, per l’Italia, il riferimento alla necessità di una maggiore integrazione economica e fiscale che consenta la riduzione degli oneri di finanziamento dei debiti sovrani. Resta il problema di attuare ciò che è stato solo enunciato. E di attuarlo in modo cooperativo


Lasciatemi concludere con due osservazioni ulteriori sui risultati di Los Cabos.


Los Cabos è stato un Vertice rilevante soprattutto per il messaggio dato all’Europa. Dal punto di vista di Obama, dare un messaggio di fiducia all’Europa era una priorità importante, anche di politica interna americana: la mediazione del presidente degli Stati Uniti è stata efficace. E ha in effetti impedito che il “finger pointing” nei confronti dell’Europa diventasse eccessivo. I documenti conclusivi del Vertice (la Dichiarazione finale ed il Los Cabos Action Plan on Growth and Jobs), sono entrambi improntati ad un’unitarietà di intenti dei G20 a combattere una crisi il cui epicentro oggi è in Europa, ma che ha origini oltre Atlantico, e ripercussioni evidenti nei principali Paesi emergenti. Conta il messaggio di continuità sui temi della “growth agenda”, con un bilanciamento fra politiche di consolidamento fiscale e misure per la crescita. Los Cabos è stato in questo senso un inizio delle discussioni che ci hanno portato al Consiglio Europeo che inizia oggi a Bruxelles.


Un secondo risultato è stato l’annuncio dei contributi dei BRICS all’aumento delle risorse del FMI, che ha consentito di sormontare l’obiettivo che nell’aprile scorso i Ministri delle Finanze del G20 si erano prefissi, superando i 456 miliardi a fronte degli oltre 430 previsti inizialmente. È stato un traguardo importante, ma che sarà concretizzato solo se si combinerà al completamento della riforma della governance del Fondo (modifica delle quote, riforma del Board etc).


In conclusione, nell’affrontare l’agenda globale, va scongiurato il rischio di un “G-Zero”, per usare un’espressione pessimistica ormai in voga: di una mancanza di leadership.


Gli interessi comuni fra economie avanzate ed emergenti sono numerosi: siamo d’accordo sulla necessità di prevenire nuove crisi economiche, raggiungendo un assetto più bilanciato fra i diversi “motori della crescita”. I segnali di allerta del Fondo Monetario su una revisione al ribasso delle stime di crescita dimostrano che il decoupling è una illusione. La soluzione dovrà essere globale e cooperativa. O non sarà, per nessuno, una soluzione.