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Dettaglio intervento

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Signor Segretario di Stato Alaya Bettaïeb,


Dottoressa Agrò,


Signor Vice Segretario Generale dell’OCSE, Ambasciatore Richard Boucher,


Sottosegretario Claudio De Vincenti,


Undersecretary Bob Hormats,


Autorità,


sono lieta di partecipare a questa riunione del “MENA-OECD Working Group on SME Policy, Entrepreneurship and Human Capital Development”, che per la prima volta si riunisce a Roma. È questo un giusto riconoscimento sia per la co-chair italiana di questo Gruppo – e ringrazio il Direttore Generale presso il Ministero dello Sviluppo Economico dott.ssa Ludovica Agrò per il lavoro svolto in questi anni – sia per l’attività a sostegno dello sviluppo delle piccole e medie imprese svolta dall’Italia nei Paesi arabi.


Vorrei rivolgere un saluto speciale al Segretario di Stato Bettayeb, che oltre a co-presiedere il Gruppo da parte tunisina è anche il rappresentante del Paese dove ha avuto origine la primavera araba; potrà fornirci interessanti indicazioni – in parte lo ha già fatto – delle aspettative, delle necessità e delle difficoltà di una regione che attraversa una difficile fase di transizione.


Il Gruppo di lavoro è nato nel 2005, in seno all’OECD-MENA Investment Programme, in un contesto totalmente differente dall’attuale. Non più di due anni fa la regione MENA veniva infatti definita “la quarta economia emergente”, dopo la Cina, l’India e il Brasile. Gli sconvolgimenti politici degli ultimi mesi hanno però determinato un generalizzato calo dell’attività produttiva, degli investimenti e dell’occupazione. Per i Paesi dell’area OCSE, ma soprattutto per l’Europa – principale partner economico-commerciale e essa stessa afflitta da una stagnazione economica che non accenna a mollare la presa – si tratta di uno sviluppo preoccupante, che ci obbliga a guardare con maggiore attenzione alle dinamiche economiche sull’altra sponda del Mediterraneo.


Le rivoluzioni in Tunisia, Egitto, Libia, hanno mostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la crescita economica non è sostenibile se non è inclusiva: distribuzione diseguale della ricchezza ed opportunità limitate di interconnessione fra produttori locali e mercato globale rappresentano ancora oggi le due principali preoccupazioni dei Paesi dell’area, cui la comunità internazionale deve poter fornire risposte convincenti, a partire dal G8. A questo proposito, mi rallegro che al recente Vertice di Camp David i Leaders dei G8 si siano impegnati a contribuire allo sviluppo delle PMI nei Paesi arabi in transizione, quale “strada maestra” per un modello di crescita più inclusivo e sostenibile, fissando una roadmap di appuntamenti che dalla riunione odierna si svilupperà lungo tutta la seconda metà del 2012, ad ottobre ad Amman e a dicembre negli Emirati Arabi. Lo scopo finale è quello di consentire a ciascun Paese di disporre degli strumenti e delle conoscenze necessarie ad accompagnare le proprie imprese lungo strategie di crescita ed internazionalizzazione.


Secondo la Banca Mondiale, la regione MENA è tuttora l’area economicamente meno integrata al mondo, sia al proprio interno, sia rispetto ai principali partner commerciali nel resto del mondo.


Due statistiche sono eloquenti:


§ la quota di commercio intra-regionale all’interno della Lega Araba è dell’11%, mentre supera il 65% all’interno delle principali aree di integrazione regionale;


§ al netto degli idrocarburi, la quota MENA sul totale del commercio mondiale è sempre rimasta inferiore all’1% negli ultimi trent’anni.


Tali criticità:


impediscono una adeguata diversificazione delle economie al di là dei settori tradizionali labour intensive, settori che restano così vulnerabili agli shock esterni, quali la diminuzione delle esportazioni nei Paesi europei a seguito della crisi;


deprimono gli investimenti, poiché costringono le aziende locali a servire una domanda interna di dimensioni contenute, quando potrebbero invece svilupparsi per servire il mercato dell’intera regione MENA.


La creazione di un robusto sistema di PMI competitive ed internazionalizzate, e di distretti industriali in grado di integrare le attività produttive, può consentire di colmare in parte il divario occupazionale oggi esistente nella regione. Il Fondo Monetario prevede che in quest’area sarà necessario creare fino a 75 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi dieci anni, semplicemente per mantenere un tasso di disoccupazione prossimo a quello attuale; ciò richiederà una crescita economica pari ad almeno il 7,5%, oltre tre punti in più della media degli ultimi anni. E poiché il settore pubblico non potrà più rappresentare il datore di lavoro di ultima istanza, un ruolo chiave sarà svolto dallo sviluppo del settore privato e dalle PMI. Osservo che il ruolo delle PMI quale volano per l’occupazione e fattore di coesione sociale non è limitato all’area MENA ma ha valore generale. Solo una settimana fa, in questa stessa sala, abbiamo aperto i lavori del Workshop Unione Europea-Stati Uniti sulle PMI, nel quadro del Transatlantic Economic Council, a dimostrazione che anche le relazioni commerciali tra i due principali blocchi economici del mondo dipendono in buona parte dal successo delle loro piccole e medie imprese.



L’Italia è da tempo impegnata su questo fronte. Negli ultimi tre anni, la Cooperazione Italiana ha impegnato oltre 230 milioni euro per lo sviluppo delle PMI della regione. Il Governo italiano sta inoltre sostenendo numerose iniziative di partenariato pubblico-privato. Ne sono due esempi il Fondo di Partenariato Mediterraneo ed il Centro Euro-Mediterraneo per lo Sviluppo delle PMI che la Camera di Commercio di Milano / PROMOS sta attivando insieme ad alcune agenzie di sviluppo nei Paesi MENA: il Fondo concentrerà la sua azione sull’accesso al credito, il Centro sulla fornitura di servizi. Insieme agli Stati Uniti, l’Italia è anche stata tra i promotori dell’espansione del mandato della BERS alla regione MENA e tra i primi a ratificare la modifica del suo Statuto.


La nostra attenzione allo sviluppo di PMI non è casuale, ma discende dalle peculiarità del sistema italiano di piccole imprese, che già oggi può vantare diverse storie di partenariati di successo, secondo il modello italiano di internazionalizzazione, che non è invasivo ed è attento alle specificità di ciascun Paese: penso in primo luogo alla presenza italiana in Tunisia, rilevante ed articolata, con una spiccata prevalenza nel settore manifatturiero, meccanico e tessile. Più in generale, il nostro sistema di PMI si presta ad essere “esportato” in diversi Paesi MENA, ponendo attenzione alle caratteristiche di ciascun contesto locale.



L’ottimo rapporto “New Entrepreneurs and High Growth Enterprises in the MENA Region” presentato oggi dall’OCSE costituisce il punto di partenza della nostra riflessione odierna. Vorrei ricordare a questo proposito due dati salienti dell’analisi compiuta dall’OCSE:


a) i processi di creazione di nuove imprese sono più lenti e vischiosi nella regione MENA rispetto ad altre realtà ad essa paragonabili, anche a causa di un modello industriale “duale”, che vede coesistere un elevato numero di microimprese relegate nell’economia informale ed in settori a basso tasso di sviluppo, con un limitato numero di “well-established enterprises, managed by well-connected entrepreneurs and which exert disproportional market dominance”.


b) questo dualismo è parzialmente compensato dall’esistenza di piccoli nuclei di imprese innovative ad alto potenziale, guidate da imprenditori capaci, più qualificati rispetto alla media dei Paesi emergenti. Queste potenziali avanguardie stentano tuttavia a rafforzarsi a causa di un contesto regolamentare spesso opaco, dell’insufficiente accesso al credito e di una scarsità di personale qualificato. E’ possibile che in qualche casa di Tunisi o di Algeri, già oggi un giovane “Bill Gates” si stia industriando con in suoi amici per progettare un nuovo prodotto o un processo innovativo, ma ha bisogno di un ambiente esterno che lo sostenga nella crescita e nel passaggio dal progetto alla produzione su larga scala.


La creazione di un quadro normativo e regolamentare business-friendly rappresenta dunque una premessa indispensabile, perché la diversificazione del settore bancario e finanziario e l’accesso ai servizi reali costituiscono per le PMI condizione necessaria ma non sufficiente, in assenza di regole che facilitino la creazione e la diffusione di start-up innovative e che siano in grado di selezionare e premiare i “best performers”. Complemento indispensabile è la formazione del capitale umano, con la necessaria inclusione della componente femminile della popolazione. Proprio ieri abbiamo concluso, sempre in questa sala, la conferenza Women in Diplomacy; nel corso dei lavori è stata ripetutamente sottolineata la perdita secca, in termini di crescita economica e sociale, derivante ad ogni Paese dall’esclusione delle donne dall’attività produttiva. Nell’area MENA solo il 32% delle donne in età lavorativa entra a far parte della forza lavoro: sono loro, senza ombra di dubbio, il potenziale inespresso di quella regione, e non solo di quella.



Concludo osservando che questo incontro odierno costituisce una buona opportunità per discutere quali siano le politiche più efficaci che i Paesi arabi in transizione possono adottare per innescare un circolo virtuoso fra sviluppo dell’imprenditorialità, competitività dei sistemi produttivi, crescita economica inclusiva e creazione di occupazione. Tradurre queste best practices in sviluppo economico e posti di lavoro, tuttavia, dipenderà soprattutto dalla determinazione e dalla coerenza delle nuove classi dirigenti arabe, perché in ogni paese la crescita comincia sempre dall’interno. Impresa non facile: la difficile congiuntura dell’Europa, che sta anch’essa attraversando una propria fase di transizione, dimostra quanto sia difficile trasporre i buoni propositi nella pratica.

La comunità internazionale non dovrà fa mancare il proprio sostegno, perché senza crescita economica non pu�� esservi stabilità politica nell’area MENA. La posta in gioco, specialmente per noi Europei, è alta: da un lato, un bacino del Mediterraneo prospero e aperto a valori condivisibili dall’Occidente, partner affidabile di un’Europa che ha un disperato bisogno di rilancio; dall’altro lato caos, estremismo e fenomeni migratori fuori controllo. Più che mai, in questo caso, realpolitik, cooperazione internazionale e interessi nazionali coincidono.

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