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Dettaglio intervento

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Rivolgo a tutti voi un caloroso augurio di Ramadan Mubarak. Sono lieto di continuare e rinnovare con voi la tradizione dell’incontro in tempo di Ramadan. L’Iftar a Villa Madama non è solo una consuetudine, ma è anche testimonianza della vicinanza dell’Italia ai vostri Paesi, alle vostre comunità e ai musulmani tutti. Desideriamo così ribadire il nostro profondo rispetto e il nostro impegno al dialogo: principi che ispirano la politica estera italiana.


Grazie alla vicinanza geografica, ai legami storici e culturali, agli intensi flussi commerciali, alle complementarietà tra le economie, gli italiani hanno nei secoli sviluppato rapporti di profonda amicizia con i popoli di religione musulmana.


Del resto, non può esservi e non potrà mai esservi una contrapposizione tra società accomunate da responsabilità e da destini comuni. Che utilità avrebbe fomentare tensioni quando l’instabilità su una sponda del nostro mare viene sofferta dall’altra? La contrapposizione non è mai tra religioni o civiltà, ma tra gli uomini che vogliono la pace e gli estremisti che la negano. Occorre allora agire con determinazione per evitare che la sopraffazione prevalga sulla moderazione e sul dialogo. La religione musulmana è liberamente professata in Italia, ne è scrupolosamente garantito il culto e ne sono tutelati i suoi valori fondamentali.


A coloro che sostengono che l’Islam sarebbe incompatibile con una cultura pluralista, hanno dato un’eloquente risposta le primavere arabe e l’ordinato svolgimento delle elezioni in Tunisia, Egitto e Libia, che ha dimostrato la piena compatibilità dell’Islam con i principi della democrazia moderna. Certo, non basta svolgere libere elezioni perché la democrazia si radichi. I processi di transizione sono irti di ostacoli, necessitano di un’ampia partecipazione popolare. Come ha osservato il Presidente Napolitano nel suo importante discorso pronunciato il 17 maggio davanti l’Assemblea Costituente tunisina: “Una democrazia è vitale e vibrante solo se tutti i cittadini, uomini e donne, di qualsiasi credo religioso e appartenenza sociale, si riconoscono nella partecipazione alla cosa pubblica”.


Così come era assurda e artificiosa l’esclusione dei popoli arabi dai diritti sulla base di un presunto contrasto tra i valori islamici e quelli democratici, sarebbe altrettanto innaturale interpretare i precetti di una religione universale – come quella islamica – per privare intere comunità e gruppi minoritari di libertà fondamentali, come quella di culto. In ogni colloquio avuto con i rappresentanti dei Paesi in transizione, da quelli della primavera araba alla Somalia, ho espresso la forte aspettativa italiana che i nuovi ordinamenti costituzionali garantiscano la libertà di religione. E ho ricevuto ampie assicurazioni al riguardo; da ultimo, la scorsa settimana, in Egitto. Continueremo a incoraggiare e sostenere le nuove leadership nell’attuazione di tale percorso.


A sua volta, l’Italia conta sul sostegno dei Paesi di religione islamica per prevenire e contrastare gli attentati contro le comunità religiose che continuano a registrarsi con tragica frequenza in alcune aree del mondo. Ripugnano alla nostra coscienza le orribili scene di fedeli massacrati nel momento più sacro, quello della preghiera. La questione è drammatica e – tengo a sottolinearlo – tocca tutte le comunità religiose, nessuna esclusa. Il terrorismo contro i fedeli è una terribile negazione dei principi universali di civiltà.


Ho avuto modo di sottolineare in diverse occasioni che per impedire questo tipo di violenza occorre: innanzi tutto, un’azione diplomatica globale a sostegno della libertà religiosa; in secondo luogo, è necessario consolidare la cooperazione internazionale contro il terrorismo di matrice estremistica; in terzo luogo, si deve insistere, anche con progetti concreti, sulla formazione e l’educazione dei giovani.


Il terrorismo mira, in genere, ad allargare le fratture e approfondire i conflitti. Ma anche dove non sono oggetto di dirette e violente minacce, le minoranze religiose possono essere vittime di gravi discriminazioni. Può anche accadere che le comunità religiose, anche se non formalmente discriminate dalla legge, debbano fare i conti con un clima di ostilità sociale, con pregiudizi che – ne siamo ben consapevoli – sono talvolta avvertiti dalle comunità musulmane in alcuni Paesi europei.


In questa difficile fase per l’economia mondiale, le componenti moderate delle nostre società devono impegnarsi ancora di più per scongiurare il rischio che le differenze di credo siano strumentalizzate da movimenti estremisti. E’ importante promuovere contatti all’interno delle nostre società civili per superare le barriere. In questo senso, apprezziamo molto l’azione dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica diretta a sostenere il dialogo e la solidarietà tra popoli.


La convergenza dei Paesi europei con l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica ha prodotto significativi risultati. Alle Nazioni Unite, ad esempio, essa si è tradotta nell’intesa con l’Unione Europea per l’adozione di due risoluzioni sulla libertà religiosa. Ci attendiamo di consolidare l’equilibrio negoziale raggiunto tra l’Unione Europea e l’OCI per fare avanzare nei prossimi mesi con nuove risoluzioni la tutela di tale fondamentale libertà. Per approfondire nuove forme di cooperazione, ho invitato in Italia il Segretario Generale dell’OCI, Ekmeleddin Ihsanoglu. Abbiamo anche registrato con piacere la recente visita in Italia del Direttore Generale dell’ISESCO (Abdulaziz Othman Altwaijri), l’agenzia dell’OCI specializzata nel campo della cultura; e siamo pronti a sviluppare una maggiore e più coordinata cooperazione triangolare con la Islamic Development Bank, il braccio operativo per lo sviluppo dell’OCI.


Nell’azione di sostegno alle libertà di credo, il Governo è sostenuto dal Parlamento e dalla società civile italiana. Vorrei allora cogliere l’occasione per annunciare che organizzeremo a New York il 27 settembre, a margine della prossima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, un seminario dal titolo significativo: “La società civile e l’educazione ai diritti umani come strumenti di promozione e diffusione della tolleranza religiosa”. Vogliamo conferire all’evento un carattere globale e interreligioso.


Abbiamo invitato, oltre a diversi esponenti di governi islamici, un key-note speaker, l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay, e poi il Direttore Generale dell’Unesco, Irina Bokova, e lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla libertà di religione, Heiner Bielefeldt. Auspichiamo anche una partecipazione numerosa di rappresentanti di associazioni e organizzazioni non governative straniere. Sarà l’occasione per lanciare insieme un forte incoraggiamento alla comunità internazionale a intensificare gli sforzi comuni di Governi e della società civile per tutelare la libertà di religione e per proteggere le minoranze religiose.


Nel concludere questo intervento, ritengo doveroso esprimere grande preoccupazione e dolore per quanto sta avvenendo in Siria. La tragedia ha raggiunto proporzioni spaventose: ventimila vittime, tra cui moltissime donne e bambini, 70mila feriti, 500.000 sfollati interni, oltre 100.000 persone fuggite nei paesi vicini, e un numero di siriani in stato di bisogno che oscilla tra il milione e mezzo e i due milioni e mezzo.


La risposta del regime alle aspirazioni democratiche del popolo e alle pressioni internazionali è stata una repressione sempre più diffusa e brutale. I veti russo e cinese hanno ulteriormente ristretto gli spazi di manovra politica. Non si può però attendere indefinitamente. L’Italia continua a incoraggiare gli sforzi dell’Inviato Speciale Annan, ma intende contribuire a un’effettiva transizione del potere, in linea con l’azione della Lega Araba e del Gruppo degli Amici del popolo siriano.


In una situazione così drammatica ci sono però segnali che ci inducono a guardare al futuro con fiducia: vi è una condivisione di posizioni tra i Paesi dell’Unione Europea e quelli della Lega Araba e dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, accomunati dalla comune volontà di individuare una via d’uscita al conflitto.


In Siria, come in altri conflitti, la pace è un “cantiere aperto a tutti”, come la definiva Giovanni Paolo II. Un cantiere che richiede il coinvolgimento di Governi e diplomazie, ma anche della società civile, dei mezzi di comunicazione, degli uomini e donne di ogni religione. Questo nostro incontro indica la nostra comune volontà a lavorare con gli strumenti del dialogo e del rispetto reciproco al cantiere mondiale di pace e tolleranza.