(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)
Presidente dell’Institute for Cultural Diplomacy,
Presidente della Società Dante Alighieri,
Signore e Signori,
sono lieta di partecipare a questo primo simposio internazionale perché il tema della cultura è centrale nell’azione della diplomazia. Non solo come aspetto di promozione dei valori, ma anche perché la politica estera è più efficace quando è mossa da una visione radicata culturalmente in chi è chiamata ad attuarla. E’ di corto respiro la politica estera istintiva, che si limita a reagire alle sfide del momento. Quando invece la visione è impiantata nell’habitus mentale e culturale di politici, diplomatici, operatori economici, associazioni e cittadini tutti, allora è più probabile che si realizzi e che abbia tenuta nel tempo.
Ricordo una frase attribuita a Jean Monnet, che si sente ripetere nei corridoi delle istituzioni europee. Si racconta che a chi gli domandava se fosse soddisfatto del lavoro di integrazione europea, Monnet rispondesse: “se dovessi ricominciare, comincerei questa volta dalla cultura”. A prescindere dalla sua verità storica, questa frase esplicita il concetto che l’integrazione, avviata con l’Europa del carbone e dell’acciaio e proseguita con l’Europa delle merci e dei capitali, sarebbe stata più coesa se fosse stata mossa dall’Europa della cultura. In un momento critico per il futuro del continente, in cui le fondamenta dell’Unione sono scosse da populismi, nazionalismi e da violazioni del principio di legalità e dei diritti dell’individuo, occorre tornare a riflettere sul collante che, più di ogni altro, lega i popoli europei. La cultura appunto.
Ecco perché affrontare in Europa il tema della diplomazia culturale significa riflettere su ciò che siamo e su cosa vogliamo diventare. Quando si guarda allo specchio, l’Europa non solo vi riconosce tradizioni, lingue, religioni, costumi diversi, ma acquista piena coscienza di quali sono la sua essenza e le sue possibilità: comprende che è illusorio individuare in 500 milioni di persone un’omogeneità culturale, un’identità collettiva tipicamente europea. Lo dico – per inciso – anche in risposta a coloro che sostengono l’argomento dell’identità collettiva per opporsi al processo di adesione della Turchia all’Unione Europea…con le ripercussioni negative alle quali abbiamo assistito in questi giorni.
Se la cultura europea è ispirata e forgiata dalla diversità e dalla pluralità, il sistema più capace di coglierne l’essenza e di tradurla in istituzioni non può che essere quello federale. Non conosco altra forma istituzionale al mondo in grado di tenere insieme in democrazia, Stato di diritto e diversità persone di lingue e storie diverse. La prospettiva federale non è allora un’utopia, ma la via più realistica per assicurare coesione a una realtà così molteplice.
La coscienza della sua diversità è la marcia in più dell’Europa. Sono convinta che il momento in cui una civiltà raggiunge le vette più alte sia quando riconosce a ogni individuo il diritto di scegliere la propria identità, anche in contrasto con quella della comunità alla quale appartiene. L’identità attiene alla sfera volontaria del singolo. Questa è anche una delle conclusioni del gruppo di eminenti personalità costituito dal Consiglio d’Europa e del quale ho fatto parte. L’Europa è del resto frutto dello spirito libero di milioni di persone che si sono opposte a chi voleva imporre l’uniformità, abolendo varietà e dissenso.
Questo patrimonio di pluralità e diversità assicura universalità all’Europa, le permette di essere ponte con altre culture e di operare per la cooperazione internazionale e la pace. Questa capacità – che è il tema del primo panel di domani – è la forza della nostra diplomazia culturale, che non cerca mai di imporre le proprie idee, ma di comprendere l’altro con un approccio improntato a persuasione e rispetto. L’apertura al dialogo non deve però farci recedere dalla volontà di promuovere la pluralità nelle aree del mondo dove gli individui sono ancora sottoposti a intimidazioni e persecuzioni per le loro idee, il loro credo o il loro genere. D’altra parte, dobbiamo essere consapevoli delle diversità dei nostri partner, che richiedono politiche differenziate e non – come sta facendo l’Europa con i diversi Paesi della sponda sud del Mediterraneo – un solo e unico modello di intervento.
Per gli sforzi che necessita e per gli attori che coinvolge, la diplomazia culturale non può essere strumento esclusivo della politica, ma deve essere di tutti i cittadini che vogliano esercitarla, facendola propria e adottandola come espressione di dialogo interculturale. Per questo accolgo con favore le iniziative dell’Institute for Cultural Diplomacy. D’altra parte, non è un caso che l’EXPO di Milano 2015, il più grande evento internazionale che si terrà in Italia nei prossimi anni, sia stata concepita come una festa di integrazione culturale dei popoli.
L’EXPO e altre manifestazioni culturali possono contribuire al rilancio dell’economia, la prima priorità della politica estera italiana. La cultura italiana, che ha alimentato l’umanità con le sue bellezze e le sue produzioni, può aiutare il Paese a ritrovare il dinamismo smarrito. L’Italia possiede il più ricco patrimonio culturale al mondo: 3.400 musei, 2.100 aree e parchi archeologici e 47 siti UNESCO. Un patrimonio, troppo spesso trascurato e talvolta deturpato, che invece dovremmo valorizzare di più per sostenere il turismo e lo sviluppo. Occorre uno sforzo maggiore da parte di tutti. Il Ministero degli Esteri intende rafforzare il proprio impegno, a partire dal foro internazionale per noi strategico: l’UNESCO. Una conferma è la candidatura italiana al comitato UNESCO che vigila sul rispetto della normativa internazionale contro la lotta al traffico illecito di beni culturali. Mi fa piacere che tale tema sia trattato in un altro panel di questo convegno.
Le potenzialità della creatività, della cultura e della lingua italiane sono enormi. Ma dobbiamo evitare di ripetere gli errori del passato. L’Italia sconta ancora il ritardo con cui ci siamo accorti che in Asia, Africa e America Latina miliardi di uomini e donne si sono affacciati nel mercato globale. Centinaia di milioni di consumatori, intellettuali, ricercatori, appassionati di musica, arte, design guardano all’Italia e alla nostra cultura come fonte di ispirazione e di arricchimento. Tale tema sarà approfondito nel secondo panel di domani. Consentitemi però di fornire un contributo.
Per rispondere alla crescente domanda di Italia, occorre lavorare insieme e liberarci da vecchi interessi corporativi e da approcci burocratici. Tale spirito va condiviso con le istituzioni competenti e, in particolare, con il Ministero dei beni e delle attività culturali, con il Ministero dello sviluppo economico e il commercio con l’estero e con le strutture culturali esistenti, come la Società Dante Alighieri. So bene che c’è una questione di risorse, ma questo limite deve indurci a esplorare nuove forme di collaborazione, perché se è vero che la cultura ha bisogno dell’economia, è ancor più vero che l’economia ha bisogno della cultura per dare solidità e continuità alla sua proiezione all’estero.
Concludo con un’osservazione. Nessun Paese europeo – né quello più grande né quello con il più ricco patrimonio culturale – può pretendere di vincere da solo le grandi sfide della diplomazia culturale. Per costruire un fronte unico a difesa dei valori di libertà, diversità e pluralità, occorre un’azione di ampio respiro che solo un soggetto realmente globale, come gli Stati Uniti d’Europa, potrà efficacemente assicurare. Non mi dilungo oltre, anche perché un discorso prima di pranzo non deve mai durare più di alcuni sorsi di spumante. Grazie.