Questo sito utilizza cookie tecnici, analytics e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.

Preferenze cookies

Intervento del Sottosegretario Giro a “Più libri più liberi”

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


sono lieto di partecipare a questo incontro perché il tema della cultura è centrale nell’azione della diplomazia. La politica estera è più efficace quando è mossa da una visione radicata culturalmente in chi è chiamata ad attuarla. E’ di corto respiro la politica estera istintiva, che si limita a reagire alle sfide del momento.


Jean Monnet rispondeva a chi gli domandava se fosse soddisfatto del lavoro di integrazione europea: “se dovessi ricominciare, comincerei questa volta dalla cultura”. Questa frase esplicita il concetto che l’integrazione europea sarebbe stata forse più coesa se fosse stata mossa dall’Europa della cultura. In un momento critico per il futuro del continente, in cui le fondamenta dell’Unione sono scosse da populismi, nazionalismi e da violazioni del principio di legalità occorre tornare a riflettere sul collante che, più di ogni altro, lega i popoli europei. La cultura appunto. La cultura europea è ispirata e forgiata dalla pluralità e dalla coscienza della sua diversità.


Con la globalizzazione, le relazioni culturali tra i paesi e le identità mutano, s’intrecciano nuovi interessi e possono essere fonte di attrito se fissano “identità assassine”, per citare Maalouf. E’ necessario tutto il potenziale della diplomazia culturale, ispirata da valori di umanità, per evitare lo scontro di civiltà che l’omologazione e la rete rischiano di creare come risposta ad un percepito esclusivismo culturale.


Come diceva Fulbright “nel lungo periodo, avere popoli che capiscono il nostro modo di pensare costituisce una sicurezza maggiore di qualsiasi nuovo sottomarino”. Saranno le idee a determinare le nostre prospettive di pace, incluso il raggiungimento dei nostri obiettivi di politica estera.


In questo senso, la nostra azione di diplomazia culturale è ora molto attiva nella sponda sud del Mediterraneo. La nostra azione guarda alle giovani generazioni nel campo della formazione, favorendo la mobilità degli studenti e dei talenti. Per venire incontro alle aspettative dei giovani, il Ministero degli Affari Esteri ha sostenuto le borse di studio di quasi 1000 studenti stranieri lo scorso anno.


Con la diplomazia culturale si alimenta la reputazione di un paese, costruendola sul lungo periodo. E’ una forma di diplomazia che non si struttura su una singola questione o attorno a un singolo strumento da cui si attendono risultati nel breve termine, ma crea un ecosistema complesso di relazioni e immagini positive. Chi ha avuto una relazione culturale con un paese avrà più fiducia e vi rimarrà legato.


Se guardiamo all’America Latina dove, nonostante la percepita simpatia l’azione della politica italiana è stata sottodimensionata, manteniamo ancora un capitale e un credito grazie alla rete della cultura italiana diffusa. C’è una simpatia per l’Italia. La diplomazia culturale resiste anche senza una spinta dal centro e da lì è possibile ripartire, valorizzandola ad esempio con l’anno della cultura Italia-America latina nel 2015.


Le Nazioni Unite, con un linguaggio inconsueto per l’ONU, affermano che la “diplomazia culturale rivela l’anima di un paese”. Infatti, le relazioni culturali crescono e evolvono in maniera organica anche indipendentemente dai governi. Un governo non controlla completamente la sua immagine all’estero. La diplomazia culturale è infatti anche quella dei giovani, della gente e della società civile.


Le modalità d’azione di maggiore successo per la diplomazia culturale sono perciò quelle che integrano e valorizzano i rapporti tra persone, collettività, gli artisti e i media. Nel nostro caso ogni artista e ogni giovane può essere un “ambasciatore culturale” dell’Italia che dovremmo coltivare, tenere insieme e seguire, magari con un premio. Avere italiani tra coloro che costruiscono l’opinione mondiale è importante. Nel 2013 tra le 100 personalità più influenti del mondo, secondo il Time, ci sono due gli italiani, espressione di un’immagine d’Italia non convenzionale: Mario Balotelli e Mario Draghi.


Il nostro Paese, media potenza regionale con interessi globali, dotato di un retaggio culturale che costituisce una delle colonne portanti della cultura globale, può avere una diplomazia culturale d’impatto per la sua buona reputazione, perché non siamo percepiti come una minaccia e, soprattutto, per il policentrismo delle azioni italiane.


Grazie a un protagonismo diffuso, nel mondo si registra un atteggiamento di simpatia nei confronti di tutto ciò che è italiano, dalla cultura alla lingua fino ad aspetti più recenti, come la moda, il design, il cinema e la cucina. Non è un caso che l’EXPO di Milano 2015, il più grande evento internazionale che si terrà in Italia nei prossimi anni, sia stata concepita come una festa di integrazione culturale dei popoli.


Questo sentimento di “italsimpatia” può essere il punto di partenza della nostra diplomazia culturale che punti ad essere ponte tra identità e a creare quell’empatia necessaria a superare conflitti identitari e scontri di civiltà. In questa prospettiva, non posso non citare l’impegno associativo e dei territori italiani nel sostenere le azioni e le scuole di pace rivolte ai giovani di paesi in conflitto. Per rispondere alla crescente domanda di Italia, occorre lavorare insieme e liberarci da vecchi interessi corporativi e da approcci burocratici. Tale spirito va condiviso con le istituzioni competenti.


La diplomazia culturale non è solo proiezione esterna, è anche accoglienza nel nostro Paese. In Italia esistono mille luoghi di diplomazia culturale. L’Isiao, con la sua biblioteca e le missioni archeologiche, ha offerto uno spazio per il confronto tra identità. Quel patrimonio rischia di perdersi e mi auguro che il suo successore recuperi quella funzione di confronto neutrale. Anche l’IILA svolge un ruolo di raccordo con l’intera cultura e identità dell’America latina, in evoluzione.


Il Polo scientifico d’eccellenza di Trieste ha le potenzialità per creare una vicinanza naturale all’Italia della futura classe di scienziati dai paesi in via di sviluppo, destinati ad alti incarichi dirigenziali, se sapremo valorizzare la rete e tenerli vicini all’Italia.


Le Università, i centri di ricerca e le Università per stranieri offrono ambienti politicamente più neutrali che facilitano la distensione. Sono i luoghi dove si forma la rete della futura diplomazia culturale italiana, che ha ambasciatori non di cittadinanza italiana. Con la mobilità circolare delle persone anche il modello italiano d’integrazione degli immigrati diventa un vettore di diplomazia culturale.


La diplomazia culturale non è politica di potenza. E’ cooperazione tra pari, dialogo per la realizzazione dell’idea di umanità a cui ogni uomo responsabile è chiamato a dare un contributo. La grande politica estera del nostro Paese è stata anche la sua azione di diplomazia culturale, a cui tutti gli italiani hanno partecipato, per vocazione e slancio. E’ un tratto identitario dell’Italia, che non si perderà se gli italiani non avranno paura del mondo e si chiuderanno in sé stessi.