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Dassù: «Nel Sudest asiatico grandi opportunità per l’economia italiana» (Il Messaggero)

Sono più importanti le elezioni negli Stati Uniti o la successione in Cina? Mario Monti, dopo il successo della visita americana, concluderà la sua prima missione asiatica, la settimana prossima, con una tappa nell’Impero di Mezzo. La leadership cinese sta «passando» il potere alla quinta generazione, mentre si trova a gestire un certo rallentamento dei propri tassi di crescita.


Il 2012 è un anno decisivo per la Cina. I suoi vicini, i Paesi del Sudest asiatico, sembrano abbastanza fiduciosi sulla capacità di Pechino di rispondere alla sfida: nel 1997 – ricordano i rappresentanti dell’Asean, riuniti per la prima volta a Roma – la Cina giocò un ruolo-chiave, perché riuscì a bloccare il contagio della crisi finanziaria di allora, partita dalla Thailandia. Oggi – questa la convinzione del segretario generale dell’Asean, Surin Pitsuwan – la Cina riuscirà a gestire il proprio «soft landing», un atterraggio morbido da quel 10% di crescita all’anno che dura ormai da un quarto di secolo e non è più sostenibile. Per l’economia asiatica, e per l’economia globale in genere, che l’aggiustamento cinese funzioni è decisivo.


I Paesi del Sudest asiatico sono risucchiati dalla crescita della Cina; ma vedono nell’America una potenza ancora necessaria, nel Pacifico, per bilanciare il grande risveglio dell’Impero di Mezzo. L’Europa non è parte dei giochi di potenza, in Asia orientale. È vista invece come un punto di riferimento perla creazione di un mercato unico: l’Asean, nata nel 1967, si è appunto ispirata all’esperienza europea. Fino a che punto questo «soft power» europeo è stato danneggiato dalla crisi dell’euro-zona? La percezione dei paesi del Sud-est asiatico è che l’Ue stia reagendo e reggendo. La nostra spiegazione, ai colleghi asiatici, è stata che l’Europa uscirà dalla crisi del debito sovrano più integrata e potenzialmente più attrezzata per potere rilanciare la crescita. Come nel precedente asiatico del 1997, il contagio è stato bloccato, con un contributo decisivo dell’Italia.


Se rovesciamo la prospettiva, i dieci mercati dell’Asean – dalla piccola e finanziariamente potente Singapore, visitata dal ministro Terzi poche settimane fa, fino alla grande Indonesia, passando per la penisola indocinese – costituiscono un mercato di oltre 600 milioni di persone, in fase di consolidamento. Fino a pochi anni fa, l’Asean sembrava bloccata, anche per ragioni politiche. Oggi, dopo le aperture di Myanmar, la dinamica è ripartita. È stata concordata una road map», un calendario di scadenze, decisamente impegnativo: abolizione dei dazi, ma anche degli ostacoli non tariffari, armonizzazione di norme tecniche e procedure, libera circolazione di capitali, liberalizzazione delle professioni.


Sono Paesi a cui l’Italia guarda ancora troppo poco, ma che possono offrire un accesso più agevole, rispetto ai Brics, ad aziende di piccole e medie dimensioni. Per questa ragione, con l’apporto di Confindustria, la Farnesina ha dedicato ai mercati dell’Asean due giornate di lavoro, invitando insieme a Roma i rappresentanti dei dieci governi che fanno parte dell’associazione del Sud-est asiatico. È la prima volta che un governo europeo tenta un’operazione del genere; la scommessa è che una logica «regionale» possa premiare le imprese italiane.


Certo, si tratta di economie – tutte in crescita rapida – con caratteristiche molto diverse tra loro. Ma anche questa può diventare una ricchezza, se compresa e utilizzata per una strategia asiatica. In termini di costi, disponibilità e qualità della manodopera ad esempio, Vietnam, Indonesia, Filippine offrono piattaforme estremamente competitive. Singapore, invece, è ormai considerata come uno dei centri più efficienti al mondo per disponibilità di servizi e infrastrutture avanzate. La Thailandia sta diventando uno dei poli nell’industria dell’auto, la Malaysia nell’elettronica.


Una parte non trascurabile della traiettoria economica virtuosa di questi Paesi, sostengono i loro rappresentanti, è in realtà imputabile alle lezioni apprese sotto la durezza della crisi finanziaria asiatica della fine degli anni ’90, che ha imposto riforme economiche e sociali necessarie da tempo.


L’esperienza asiatica dimostra all’Europa che le crisi non vanno «sprecate». L’esperienza europea dimostra ai Paesi dell’Asean quanto complessi e delicati siano i processi di integrazione regionale. Ma anche quanto restino necessari, nell’era della competizione globale fra Paesi-continenti.

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