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Boniver e Touadì su caso marò

Nelle ultime settimane tiene banco in politica estera una questione particolarmente delicata, dai contorni ancora poco chiari e che ha coinvolto due nostri connazionali impegnati in una operazione di scorta antipirateria a largo delle coste indiane. La sorte dei due “marò” del Reggimento San Marco, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, lascia col fiato sospeso l’opinione pubblica italiana, generando una serie di interrogativi circa la corretta gestione della vicenda da parte del Governo e, sopratutto, riguardo alla possibile frattura dei rapporti diplomatici tra due grandi Stati come l’Italia e l’India. Al fine di fare chiarezza sul punto e di arricchire il dibattito attraverso l’opinione di due autorevoli esponenti politici, entrambi componenti della III Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, il “Socialista Lab” ha intervistato in esclusiva l’On. Margherita Boniver, del Popolo della Libertà e Presidente del Comitato Schengen e l’On. Jean Leonard Touadì, parlamentare del Partito Democratico che ringraziamo per il loro prezioso contributo.


La questione dei due marò italiani in carcere in India ha suscitato il clamore dei media e dell’opinione pubblica nelle ultime settimane, sia per le particolari caratteristiche dell’incidente che per l’atteggiamento di “chiusura” mostrato dalle autorità indiane. A suo parere, dall’Italia è stato fatto tutto il possibile o sarebbero stato opportuno intraprendere altre iniziative per evitare l’aggravarsi della situazione?


Con il senno di poi sono bravi tutti. Ora I’Italia si trova in una situazione veramente penosa, perché vedere dei propri militari in divisa sottoposti ad un processo in un altro paese è comunque un fatto di una gravità inaudita e ci auguriamo vivamente che la Corte Suprema indiana riconosca i buoni motivi della nostra richiesta, ovvero che la giurisdizione nel caso che ha scatenato questo incidente diplomatico appartiene al nostro Paese visto che i fatti di cui sono accusati, secondo me ingiustamente, i nostri due fucilieri, sono avvenuti in a bordo della Lexie e quindi in territorio italiano.


Diciamo anche, con una punta di amarezza, che i morti sono indiani e che gli errori sembrano essere al 100% tutti italiuni. Fra i tanti difetti va evidenziato quello che appare agli occhi di tutti come il più grave, ovvero che le normative internazionali che si stanno via via costruendo per combattere la pirateria hanno palesemente una mancanza, un buco, per correre ai ripari, come nel caso esemplare di questo incidente che coinvolge due militari di una nazione come l’Italia, pienamente impegnata nella missione Atlanta di contrasto alla pirateria, mandati in prima linea a combattere questo fenomeno e che quindi dovrebbero essere giudicati o dal proprio paese o, meglio ancora, riportati sotto un’autorità che scaturisca direttamente da una normativa delle Nazioni Unite, dal momento che mano mano che il flagello del sequestro da parte dei pirati somali si estendeva in bracci di oceano sempre più vasti, l’Onu, nonché le singole nazioni, hanno ritenuto di correre ai ripari.


In attesa che si faccia chiarezza sulla dinamica dell’accaduto e sulla posizione della nave al momento dell’incidente, è noto che lo stesso Ministro degli Esteri Terzi ha “ammonito” il comandante dell’Enrica Lexie per essersi introdotto, a seguito dell’evento, all’interno delle acque territoriali indiane. Visto l’evolversi della situazione, non sarebbe stato forse preferibile che la nave si fosse subito allontanata per evitare la successiva cattura di Latorre e Girone da parte delle autorità indiane? Quanto pesa il ruolo dell’armatore in una simile situazione?


Come dicevo prima, giudicare con il senno di poi è molto facile. Certo è fondamentale, come per ogni indagine, ricostruire la sciagurata filiera di comando che ha portato a questa situazione paradossale e molto molto grave. E’ colpa del comandante? Colpa del Ministero della Difesa? Colpa, cosa più probabile, di una norma scritta dal Parlamento italiano sul contrasto alla pirateria che si presta a più interpretazioni?


Qualunque siano le ricostruzioni il ministro Terzi in un’audizione al Senato di qualche giorno fa ha parlato molto esplicitamente di uno stratagemma e di un imbroglio indiano per fare approdare la Lexie nel porto.


Il fatto che questo sia avvenuto dimostra però in modo inequivocabile che i fucilieri non avessero nulla da temere.


Le responsabilità sono sicuramente in capo a più persone e le colpe, una volta ricostruite, andranno certamente ripartite tra i vari soggetti. Comunque ricordiamo che la normativa, approvata lo scorso luglio, prevede che l’armatore abbia la possibilità di ingaggiare o dei contractor privati o di richiedere la presenza di militari di altissima professionalità, come sono Latorre e Girone, per svolgere questi compiti di sorveglianza e di contrasto al fenomeno della pirateria sulle proprie navi. Anche su quest’ultimo punto l’Unione Europea ha appena deciso che le navi che stanno pattugliando sotto la sigla Atlanta da qualche anno quelle acque, potranno dar vita anche a veri e propri bombardamenti per distruggere tutte le infrastrutture messe in loco dai pirati sulle coste somale per sferrare gli attacchi e andare agli arrembaggi. Medesimi interventi sono possibili per le cosiddette navi madri, ovvero quelle imbarcazioni sequestrate e poi tenute a largo da cui poi partono i barchini per gli arrembaggi. Ci troviamo quindi dinanzi ad uno scenario di guerra, guerra ai pirati.


A ben guardare la situazione, si ha l’impressione che la particolare quanto delicata situazione politica indiana, dovuta anche all’appuntamento elettorale che sta interessando il paese, abbia influito in qualche misura su tutta la vicenda ed i suoi successivi sviluppi che ha interessato, loro malgrado, i due fucilieri dei San Marco. Può essere questa una chiave di lettura e, qualora ci fosse stata questa sorta di strumentalizzazione dell’accaduto, come porsi nel prossimo futuro nei confronti di un paese considerato comunque “amico”?


La situazione politica ed elettorale indiana avrà certamente influito sulla pubblicità data a questa gravissima questione, dal punto di vista della popolazione locale, di questi poverissimi pescatori, dell’empatia nei confronti delle famiglie delle vittime, ma mi auguro che tutto questo non abbia poi in qualche modo potuto influire sulle decisioni prese fino ad ora dal tribunale federale del Kerala. Stiamo aspettando la decisione della Corte Suprema su quello che è il punto nodale della competenza e quindi non è detto che la battaglia sia persa.


Ovviamente è giusto ricordare che non soltanto l’India è quello straordinario Paese che è, ma anche che ha un sistema giuridico democratico, garantista che quindi non costituisce di per sé alcun tipo di pericolo. Il difetto è nel manico perché militari di qualsiasi nazione in simili situazioni dovrebbero essere giudicati a casa loro o ricadere sotto un profilo giuridico di tipo internazionale che ad oggi manca a tutta la normativa Onu.