Per otto mesi i ministri degli Esteri dei paesi fondatori dell’Europa, assieme a Spagna, Portogallo, Austria, Polonia e Danimarca, si sono incontrati in riunioni informali e, sinora, coperte da silenzio, per discutere liberamente e senza vincoli negoziali dell’Europa del futuro. Poi, l’altroieri notte a Varsavia, hanno approvato un documento comune. Che contiene anzitutto un elemento politico macroscopico: per la prima volta la Germania ha accettato un documento che contiene un’espressione che sin qui provocava il tedesco raccapriccio, la «mutualizzazione dei rischi sovrani», sia pur «proposta da alcuni membri del Gruppo». L’importanza del documento, di cui La Stampa è in possesso, è tuttavia molto più ampia. Il disegno di quelle otto cartelle, limate sino all’ultimo nella notte polacca, muove dalla necessità di una maggior consapevolezza europeista dei cittadini e va verso una maggior responsabilità delle istituzioni. Per la prima volta, oltre a una effettiva europeizzazione dei partiti, integrazione e rapporto di check-and-balance tra Commissione e Parlamento, si parla di responsabilità delle istituzioni sino all’accountability, al «render conto» che vige nelle società anglosassoni. «More Europe» era lo slogan con il quale era del resto partita, il 20 marzo scorso a Berlino, la serie di riunioni, declinata poi in «More democracy», «More capacity for action», e «Europe as global player» tra Bruxelles, Vienna, Palma di Maiorca. Nel documento, colpisce che mantenendo come «priorità assoluta» il rafforzamento dell’Unione Economica e Monetaria, si parli esplicitamente di «solidarietà europea» e, in sostanza, del welfare come un valore identitario del Continente. Giulio Terzi di Sant’Agata ha accettato di commentare il documento.
Ministro, cosa succede adesso di questa proposta di nuova Europa? Fino a che punto impegna i governi?
«In questi giorni qualcuno ha usato l’espressione: “C’è un cielo azzurro sopra l’Europa”. Siamo partiti di certo con un cielo più buio, poi le decisioni della Bce, la sentenza sull’Esm della Corte Suprema tedesca e le elezioni in Olanda hanno aperto l’orizzonte. Il nostro scopo principale è portare le pubbliche opinioni, i cittadini, verso l’Europa. E contribuire ad accelerare il percorso di emendamento del Trattato di Lisbona. In queste ore, il documento sta circolando nel Parlamento europeo. Si parte da a per costruire il consenso».
La Germania per la prima volta sigla un documento che parla di mutualizzazione del debito. A parte questo punto, qual è stato il contributo italiano al documento?
«Quel punto è essenziale, ed è parte della strategia dell’Italia per l’Europa. Tutti i ministri degli Esteri hanno accettato di discuterne in modo approfondito, e il principio è stato inserito nel documento finale. È un principio di solidarietà, perché occorre che il rilancio dell’Europa avvenga avendo al centri i valori identitari, non solo gli interessi algebrici e rispettivi…».
Non solo il Pil o le politiche di bilancio e la loro sostenibilità, insomma. Ma questo, in che modo coinvolge la politica estera?
«E’ semplice, si tratta della proiezione esterna dell’Europa. Dobbiamo rispondere a grandi sfide. Quelle che ci ha posto la crisi economica, che supereremo accelerando verso l’Unione fiscale e monetaria. Ma occorre anche, e c’è forte convergenza su questo punto, più incisività nella politica estera e di sicurezza: devono rientrarvi anche la politica migratoria, le questioni legate allo sviluppo… Al di là dei consolidati rapporti transatlantici, occorre lavorare per una vera politica di difesa europea, che guardi alla capacità militare integrata».
Nel documento non si fa mistero del fatto che occorra, certo a lungo termine, addirittura un esercito della Ue, e un visto europeo per l’accesso all’area-Schenghen…
«Anche quest’ultimo è un contributo italiano, vogliamo mantenere l’area di libero scambio e insieme rafforzare gli strumenti per delimitare le frontiere dell’Unione. Il cuore del documento però resta la direzione generale, che riflette l’idea che Giorgio Napolitano ha offerto dell’Europa: una nuova forma di federalismo, una “poliarchia funzionale”. E la necessità che le forze politiche, a cominciare da quelle italiane, si europeizzino portando l’Europa al centro del loro dibattito politico. Dobbiamo affrontare alle radici le tematiche, e far crescere la consapevolezza del valore e della necessità dell’Unione. Non avere solo “un’Europa più organizzata”, come dicono a Londra».
Ministro quanto tempo abbiamo perla nuova Europa?
«Abbiamo varato Six pack e Fiscal compact in poche settimane. Per la politica estera e di difesa ci vorranno più di 2 o 3 mesi, e sono comunque tempi troppo lunghi. Alle porte abbiamo le primavere arabe, il consolidamento della Libia. La realtà non aspetta».