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Dettaglio intervista

Signor ministro, la Siria si è scusata con Ankara per il colpo di mortaio che mercoledì ha ucciso 5 persone in una città turca. Ma la miccia è innescata e da mesi assistiamo ad un vero e proprio massacro all’interno dei confini siriani. Al di là delle parole di condanna, quale il ruolo della comunità internazionale?


Sul piano della sicurezza il Consiglio di sicurezza dell’Onu – e non l’Onu – è paralizzato. Di conseguenza la comunità internazionale è impotente per quanto riguarda anche la possibilità di dispiegare una missione in Siria che noi italiani da tempo auspichiamo poter essere veramente incisiva e determinante per la cessazione delle violenza. Ma tutto questo non è possibile se il Consiglio di sicurezza Onu non funziona. Intanto, sul piano umanitario dovremmo occuparci dei profughi che si sono rifugiati nei Paesi vicini. Ma anche della popolazione siriana costretta ad abbandonare le proprie case per sfuggire ai bombardamenti messi in atto dal regime a fronte della defezione dei militari che non vogliono colpire la loro gente. L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati ha raccolto meno della metà dei fondi necessari per fornire alla popolazione le dotazioni necessarie per superare l’inverno. La Farnesina ha erogato un contributo volontario per l’emergenza. Sul piano politico, dobbiamo riconoscere che non c’è un interlocutore credibile.


La crisi in Siria si aggiunge ad una situazione di stallo nel dialogo israelo-palestinese. Con la prospettiva che all’assemblea dell’Onu ci si trovi a discutere una richiesta palestinese di fondare uno Stato. È questa la strada?


La politica italiana è favorevole alla creazione dello Stato palestinese così come descritto nella Road Map del 2003 che prevede una serie di negoziati che portino a due Stati, Israele e la sovrana, indipendente e democratica Palestina, che vivano in pace e in sicurezza l’uno accanto all’altro. Per giungere a questo, credo sia urgente la necessità della ripresa di un dialogo tra le due parti. L’attuale stallo non porta a risultati in tal senso. Anzi. Esso consente lo svilupparsi di situazioni pericolose perché facilita il radicalizzarsi di posizioni estremiste, sia tra israeliani sia tra palestinesi. Per questo, credo che la risoluzione Onu, in questa fase, altro non porti che a radicalizzare il confronto, compreso il tentativo di portare Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia. Da qui la mia preoccupazione per una eventuale votazione all’Assemblea dell’Onu in cui sono in gioco questioni che pesano come macigni: la Siria, le democrazie nei paesi della «primavera araba», il braccio di ferro sul nucleare in Iran.