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Terzi: «C’è tanta voglia d’Italia» (Milano Finanza)

«L’ Italia esercita grande l’attrazione nei confronti degli imprenditori stranieri». Così il ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, motiva l’impegno della diplomazia italiana per stimolare gli investimenti esteri nel nostro Paese. Il capo della Farnesina parla anche del risvegliato interesse verso il Sudest asiatico. E sulla Cina esprime soddisfazione. «Ci sono molte potenzialità tra i due Paesi, lo dimostrano i frequenti incontri istituzionali di quest’ultimo anno». Quanto alla situazione in Palestina, alla luce dell’importante decisione presa all’Onu: «La priorità ora è rilanciare il processo di pace».


Cosa fa la diplomazia italiana per favorire gli investimenti esteri nel nostro Paese?


«Abbiamo dato grande impulso alle relazioni economiche. Un impegno che il ministero ha rafforzato almeno da dieci anni a questa parte, ma che abbiamo percepito come priorità ancora più alta data la situazione economica che il Paese sta vivendo e l’Eurozona sta affrontando. Puntiamo molto a dare non solo l’immagine ma la realtà di una Farnesina come ministero economico, votato a stimolare la crescita e soprattutto dell’occupazione, quella giovanile in particolare, e il collegamento tra mondo della ricerca e mondo dell’impresa. Stiamo portando avanti una serie di iniziative concrete su questo terreno, che mi pare siano già molto apprezzate dai destinatari».


Un cambio di marcia rispetto al passato?


«La diplomazia ha cambiato mentalità, e vorrei ricordare il punto di svolta nel 2002 alla Conferenza degli Ambasciatori, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi chiese alla diplomazia di dare «maggiore spazio e incisività al sostegno del sistema economico italiano». Ed è ciò che è avvenuto in questo decennio. Ora la sfida è migliorare il raccordo tra diplomazia e sistema produttivo».


Secondo lei c’è fiducia nel nostro Paese? Che sensazione percepisce sull’Europa e sull’Italia quando è all’estero?


«Di una grande attrazione che il nostro paese esercita nei confronti degli interlocutori stranieri. In Asia c’è una grande domanda di Italia a tutto campo dal Sudest asiatico al Pacifico. Io stesso in una quindicina delle tante missioni di natura politica che ho svolto sono stato accompagnato da importanti imprenditori. Penso sia importante creare queste occasioni di contatto tra economia e politica, e il governo Monti ha centrato questo obiettivo. Solo in Cina negli ultimi tempi ci sono state varie visite di colleghi di governo, oltre a quella del presidente del Consiglio la scorsa primavera. Lo stesso posso dire anche di mercati emergenti che stanno uscendo dall’isolamento con l’avvio di riforme democratiche».


Potrebbe fare qualche esempio?


«Sono stato il primo ministro degli Esteri a visitare il Myanmar, ricevuto dal presidente Thein Sein e ho avuto un toccante ed emozionante incontro con Aung San Suu Kyi. La Birmania sta mostrando una faccia del tutto nuova, e un forte desiderio di intraprendere rapporti. Ma potrei citare anche il Vietnam, il Mozambico, l’Egitto del presidente Morsi, con cui abbiamo instaurato un rapporto unico e che dimostra come l’Italia in un momento così travagliato per la vita del popolo egiziano sia il principale punto di riferimento. Proprio l’altro ieri abbiamo avuto a Milano un importante incontro con una delegazione libica di esponenti del governo e uomini d’affari».


Alla crisi economica si aggiungono preoccupazioni a livello geopolitico. In primis quanto accade tra Israele e Palestina e il voto di giovedì scorso all’Onu.


«La priorità è rilanciare il processo di pace. Il voto all’Assemblea Generale dell’Onu è stata una decisione sicuramente ponderata, la linea del governo italiano è stata espressa dalla presidenza del Consiglio ed è stata chiarita nel comunicato del presidente del Consiglio».


Cosa accade ora?


«Sappiamo che ci sono reazioni del momento, che spero possano essere riportate a un clima di mutua partecipazione e collaborazione tra israeliani e palestinesi. Questi ultimi si impegnino a tornare al tavolo dei negoziati con Israele senza precondizioni, a non sfruttare questa vittoria per avviare procedimenti presso la Corte penale internazionale e a vedere nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza una chiave fondamentale per portare avanti il negoziato».


E i rapporti con Israele?


«L’Italia è molto convinta del suo rapporto di amicizia con il Paese».


Proprio sulla questione israelo-palestinese l’Europa ha dato un’immagine di sé sempre più frammentata . È d’accordo?


«Nonostante l’impegno italiano, l’Europa non ha trovato una posizione di voto comune in Assemblea Generale. Sul piano più generale dell’integrazione e della stabilizzazione dell’Eu-rozona, affinché non si abbiano più crisi dell’euro come quella che abbiamo vissuto, non è un’immagine realistica. Per questo nell’attività di governo, insieme agli altri principali Paesi dell’Eurozona, siamo impegnati a comunicare questa realtà europea, far capire che gli investimenti in Europa avvengono in un contesto stabile, promettente, rivolto al futuro e basato sull’innovazione. In Cina e in molte altre realtà del mondo l’Europa viene vista come esempio di integrazione economica e monetaria, ma anche con una prospettiva di stabilità in tutte le aree di crisi cui si sta rivolgendo».


Ma la divisione all’Onu non rischia di indebolire il ruolo dell’Europa nella crisi mediorientale? L’Italia aveva proposto la riattivazione della missione europea di osservatori.


«Abbiamo fatto questa proposta per riaprire in condizioni di sicurezza il valico di Rafah e anche gli altri valichi: ciò richiede un approfondimento e un negoziato con le parti in causa. È importante riuscire a levare la motivazione che ha causato, o almeno giustificato strumentalmente, gli attacchi contro Israele: la sensazione di un soffocamento della popolazione di Gaza».